Capitolo IX

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La monaca di Monza Gertrude

Il suo aspetto poteva ricordare una ragazza sui venticinque anni. A primo impatto la sua bellezza particolare colpiva, ma aveva un "non so che" di sbattuto. Il suo velo nero era stirato sulla fronte, sotto il velo una bianchissima benda di lino cingeva e un'altra fascia circondava il viso. La sua fronte si raggrinziva spesso come se dovesse liberarsi di un dolore, i suoi occhi neri fissavano le persone con curiosità, ma spesso gli occhi le cadevano giù come se stesse cercando di nascondersi. Un bravo osservatore avrebbe notato come i suoi occhi chiedessero pietà, compassione e affetto, altre volte sembrava emanassero odio e un qualcosa di minaccioso. Le guance delicate e graziose che contrastavano al suo lento dimagrimento. Le labbra tinte di un roseo sbiadito, il suo corpo ben proporzionato e armonico il quale spesso attirava l'attenzione per via di molti atteggiamenti non da monaca. Pure nel vestire c'era qualcosa di trascurato che la rendeva "unica". tuttavia sotto la sua benda scendevano due ciocche di capelli che mostravano il disprezzo nella regola del tagliare i capelli, in più aveva un piercing alla lingua: luogo scelto per tenerlo nascosto, portava delle calze a rete e per mettere in evidenza la sua vita stretta aveva una cinta Gucci. Infine sotto le vesti, sulla costola sinistra vi era un tatuaggio che rappresentava una piccola mela morsa con un serpente che saliva piano piano intorno ad essa.
Ella era l'ultima figlia di un uomo benestante, costui era un grand'uomo milanese che si poteva considerare tra i più ricchi della città. Quanti figli avesse non si sa, l'unica cosa che si sa con certezza è che aveva già deciso il futuro di coloro che non erano primogeniti. La nostra sfortunata di trovava ancora nel ventre della madre quando il suo futuro era già deciso restava solo da capire se sarebbe stata un monaco o una monaca, decisione alla quale lei non avrebbe messo parola. Quando nacque, il padre ci tenne a darle un nome che ricordasse l'ambito religioso, così la chiamò Gertrude. I suoi primi giocattoli furono barbie vestite da suore: vestite così segretamente dal padre, poi le vennero regalati giochi da tavola riferiti sempre alla religione. Aggiungendo puntualmente un commento da parte dei genitori del tipo: "Bello vero?". Quando i fratelli o i genitori volevano fare un complimento alla ragazza se ne uscivano sempre con frasi tipo: "Madre superiore di con un convento" ma nessuno in famiglia le ha mai detto esplicitamente di doversi fare monaca, era una cosa di cui si parlava accidentalmente, sopratutto quando si parlava del suo futuro. Anche se qualche volta Gertrude compieva degli atti un po' arroganti e incontrollabili, una voce nella sua testolina le ricordava: "Tu sei una ragazzina" le veniva pure detto "Queste maniere non sono da te. Quando sarai madre comanderai e farai quello che vuoi". Tutte queste parole stampavano nella mente della ragazza l'idea continua di diversi fare monaca. L'atteggiamento del padre era paragonabile a quello di un dittatore, ma quando si parlava del futuro dei suoi figli mostrava sempre una specie di "gelosia" come per ricordare e mostrare la sua volontà e il suo potere. Nel monastero dove l'abbiamo vista, ella era appena entrata e fu subito chiamata: la Signorina. Fu ben accolta con tipo delle carezze senza fine, riusciva ad attirare i ragazzi per la sua superiorità. Nonché, tutte le monache volevano portare nella trappola la povera alle quali il pensiero di sacrificare una figlia a mire interessate, avrebbe fatto ribrezzo. Anche se una delle sue coetanee nonostante le sue azioni, se ne pentiva, Gertrude si prendeva la briga di consolarla nei migliori dei modi possibili, anche se a sua insaputa c'era qualcosa sotto di misterioso, Gertrude non se ne accorse. Tra le sue compagne di educazione ce n'erano molte consapevoli che si sarebbero sposate, Gertrude per via della sua idea di superiorità, in quanto "principessa" del monastero, un giorno, avrebbe sposato un grande uomo, procurando così invidia alle altre ragazze e a sua sorpresa alcuni se la prendevano male. Nella testa di Gertrude una luce di speranza che un giorno sarebbe andata via da lì. Per non stare al di sotto delle sue coetanee e dimostrarsi superiore, rispondeva dicendo: che il velo in testa non glielo poteva mettere nessuno senza il suo permesso, che poteva spostarsi e che poteva godersi la vita. L'idea del suo consenso le era sempre stata una cosa immaginaria, ma in quel momento si stava manifestando con prepotenza. Si sapeva che una giovane non poteva diventare monaca senza esser stata controllata da un ecclesiastico, senza che ella voleva di sua spontanea volontà e inoltre l'esame non poteva esserci se non dopo un anno che ella avesse esposto il suo desiderio per iscritto. Quelle monache che avevano messo in testa tutto ciò a Gertrude l'hanno fatta arrivare a scrivere la supplica. Infine, per indurla più facilmente non mancarono di dirle di ripetere che era una semplice e pura formalità, la quale (questo era vero) non poteva avvenire se non da altri atti che dipenderebbero dalla sua volontà. Con tutto ciò la lettera non era giunta al destinatario perché si era già pentita di averla scritta. Si pentì doppiamente con il passare dei giorni e i mesi, in un tornado di sentimenti negativi. Non disse nulla alle coetanee, per finire di esporre la sua obiezione a una buona decisione per vergogna di un errore grave. Ma vinse il desiderio di sfogarsi cercando di ottenere un consiglio e un incoraggiamento, vi era un'altra legge che una giovane non fosse ammessa all'esame della vocazione se non dopo aver passato un mese fuori dal monastero dove era stata educata. Era già passato un'anno dalla lettera che era stata mandata, e Gertrude fu avvertita che a breve sarebbe stata portata nella casa paterna, e rimanerci un mese. Il padre e il restante della famiglia erano sicuri che ella a breve sarebbe diventata monaca, ma la ragazza aveva tutt'altro in testa: invece di pensare di fare un passo in avanti, pensava a fare un passo indietro. Tali dubbi vengono risolti aprendosi con le sue compagne: in particolare con una. Questa le suggerì di avvertire il padre della sua decisione con un messaggio, così prese il suo telefono nascosto e scrisse il messaggio al padre con delle parole ben studiate; Gertrude stava già con una grande ansia dietro le spalle, per una risposta che non arrivò mai se non che alcuni giorni dopo la sorvegliante la fece venire nella sua stanza con un atteggiamento misterioso e di compassione, l'avvertì della collera del padre e di una colpa che lei aveva commesso, presa dal panico lei non osò chiedere nulla. Arrivò il giorno tanto temuto, che segretamente sapeva di andare incontro a un combattimento, l'idea di lasciare il monastero, lasciare quel luogo dove era stata rinchiusa per ben otto anni, lo scorrere della macchina per le campagne e il rivedere della città, furono sensazioni piene di gioia. Riguardo al "combattimento" la poveretta, seguendo le indicazioni di quelle compagne con cui aveva scritto la lettera e già aveva in mente alcune reazioni da parte della famiglia -o mi costringono con la forza- pensava -ma non sarà un altro sì ad essere detto da parte mia. Oppure mi guarderanno e io sarò ancora più buona: piangerò, pregherò, li prenderò con la compassione- ma si sa, possono capitare delle previsioni; cioè non avvenne né una e né l'altra. I giorni passavano e nessuno le parlò della supplica. Si sa solo che la guardavano come una colpevole, una maledizione misteriosa pareva dietro le sue spalle, lasciandola con la famiglia solo quando bastava per farla sentire in soggezione. Nessuno le rivolgeva la parola o quando lei provava timidamente ad accennare anche una sola parola, nessuno le rispondeva o veniva risposta con uno sguardo indignato, descriminanatorio. Gertrude allora vista la situazione era costretta a rifiutare i suoi primi passi-segni di benevolenza e dovette inoltre accorgersi che uno di loro molto giovane provava per lei della compassione di un genere particolare. Una mattina fu sorpresa dalla cameriera, nel mentre piegava di nascosto un pezzo di carta, questa rimase nelle mani della cameriera e poi passò nella mano del padre. In Gertrude scorreva il terrore nelle vene solo a sentire i suoi passi: si poteva immaginare quel padre irritato e lei la colpevole. Ma quando apparve d'innanzi a lei con quell'espressione severa e con quella carta in mano, voleva stare sottoterra. Le parole furono brevi ma terribili: con tono minaccioso fu rinchiusa in quella stessa camera sott'occhio della cameriera, lei iniziò a immaginare che dietro poteva esserci un ulteriore castigo ben peggiore di questo. Erano lei è il suo battito accelerato, con la vergogna, con il terrore del futuro e con la sola compagnia di quella donna che tanto odiava. La donna altrettanto odiava Gertrude. Nella fantasia di Gertrude vagano pensieri strani, una delle tante più probabile era quella di essere mandata ancora al monastero e non essere più la cosiddetta "Signorina" ma essere una colpevole e di rimanere rinchiusa lì dentro per chissà quanto tempo e con quali trattamenti, era un'immaginazione piena di dolore.

[La ragazza ormai costretta a una vita da carcerata, e come compagna di cella, l'insopportabile cameriera come testimone delle sue colpe, che spesso la spaventata o la rimproverava, Gertrude cominciava a pensare al convento come un luogo di pace]

Dopo quattro-cinque giorni lunghi di prigionia, una mattina, la ragazza esausta, andò a nascondersi in un angolo e si nascose la faccia tra le mani e si divorò dalla rabbia. Sentì un bisogno elevato di vedere altre facce oltre a quella della donna tanto odiata, pensò alla sua famiglia. Le venne in mente che dipendeva da lei trovare in loro degli amici, e provò una strana sensazione di gioia. Di alzò di lì, si avvicinò al tavolino, prese la penna con cui aveva scritto il biglietto e scrisse al padre una lettera piena di entusiasmo e di abbattimento, di speranza implorando il perdono e condividendo l'idea di voler tornare al convento e farsi subito monaca come avrebbe voluto. La lettera fu subito mandata dal padre e nemmeno il tempo di mezz'ora di attesa, la porta si aprì. La ragazza appena sentì il solo rumore della porta vide la speranza del perdono e la sua fantasia si immaginò il padre con un sorriso stampato sulla sua faccia per la decisione della figlia se lo immaginò con le braccia aperte pronto ad accoragliela. Ma si sa-la speranza è l'ultima a morire- Entrò il padre sempre con aria severa, la guardò senza sentimento, con la lettera in mano, le sue parole non furono così brevi come suo solito fare, ma il loro significato fece un dolore assurdo in Gertrude.
"Sono davvero compiaciuto dal suo senso di colpa, ma non sarà una lettera a farti perdonare dal tuo errore." "In quanto ho pensato alle tue parole, ma tranquilla andrai in un convento, ma non sarà il solito convento che ti aspetti". -Battito accelerato-ansia- terrore- Gertrude era scioccata dall'ultima parola del padre, non immaginava che potesse spingersi così tanto da mandarla in una chiesa ospedaliera.

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