Capitolo 9: calendario stellare- 1°parte

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Luesor, regione monte Opale

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Luesor, regione monte Opale. 29 luglio 495, anno della Lira.

Ancora un chilometro e Carlo avrebbe lasciato alle spalle il deserto. Eppure non ebbe un briciolo di entusiasmo nel scorgere che era a pochi passi dalla capitale. Si limitò a incitare il cammello ad avanzare nell'ultimo tratto sabbioso. La sua mente era altrove. Vagava fra le dune di informazioni che aveva letto mezz'ora prima. Aveva pianto, urlato e scosso la testa di fronte alle pagine che aveva bruciato nella completa solitudine. Seppure fossero diventate polvere, le parole trascritte in quella carta si erano trasformate in macigni che gli soffocavano il cuore. A tal punto che si confidò con l'animale pur di ottenere un briciolo di sollievo.

«Mi sento uno stupido! Un perfetto sciocco per aver creduto fino a oggi che il sovrano è equo e generoso con la popolazione» esordì accarezzandolo sul muso. «Ora lo so. Non è un privilegio, ma una condanna essere un aspirante mercante. Nessun plebeo riesce a completare la tessera poiché il re impartisce l'ordine ai mercenari di uccidere chiunque è in procinto a concludere i cento viaggi. Ti rendi conto?» gli riferì sospirando.

«Sai, un giorno verranno a cercare anche me per eliminarmi non appena compirò l'ottantesima consegna. Più ci rifletto, e più mi rendo conto che la speranza di aspirare a tale lavoro è soltanto un'illusione. Pensa. Avevo tutti gli indizi davanti ai miei occhi per capire l'entità dell'inganno. Le tasse che opprimono e che creano malumore. La prepotenza della nobiltà che è sempre più feroce. Ecco perché il sovrano si è prodigato a scrivere un decreto appropriato per placare gli animi del ceto umile, e al tempo stesso evitare ribellioni» scosse la testa per poi puntarsi un dito contro al petto.

«Sono uno stolto! Non sono nient'altro che questo. Un ragazzino che riponeva fiducia incondizionata al re. Se solo l'avessi capito prima quanto ero cieco dall'ingenuità!» esclamò proseguendo il suo monologo. «Sei fortunato rispetto a me. Non devi preoccuparti del cibo, delle tasse e neppure di essere assegnato a una classe sociale. Per noi umani è diverso. Il destino non ci permette di scegliere in quale famiglia nascere. Di conseguenza se i nostri genitori sono dei popolani, rimarremo così anche noi per il resto della nostra vita. Un'esistenza di fame e di miserie. Alessandro ha fatto leva su questo principio per ingannare noi plebei. Ci ha dato l'opportunità di cambiare il fato facendoci credere che potessimo raggiungere il benessere degli aristocratici. Ti rendi conto di quanto sia astuto il sovrano?»

Carlo approfittò di essere arrivato in cima a una minuscola duna per irrobustire la voce. Da flebile divenne forte e decisa. Desiderava che le sue parole giungesse in ogni angolo del deserto per essere udite dai viandanti che come lui stavano arrivando alla capitale. «Diplomatici, medici e giudici sono solo alcune delle mansioni prestigiose che sono state concesse a noi popolani affinché avessimo l'opportunità di riscattarci dalla miseria. È ovvio che per riuscirci dobbiamo dimostrare di esserne degni. Le clausole sono poche, ma non impossibili da compiere. Dobbiamo essere in possesso di un diploma. Superare le selezioni, e infine portare a termine un compito a seconda della categoria del lavoro scelto. Tuttavia nel momento in cui ci viene impresso il sigillo al polso non possiamo più ritornare sui nostri passi. Se ci rifiutassimo di proseguire gli studi in accademia, o se decidessimo di abbandonare i cento viaggi senza concluderli saremo giustiziati. Una regola spietata per scoraggiare i codardi a non candidarsi.»

Il ragazzo strinse il pugno di una mano nel rammentare le altre informazioni che aveva appreso dal diario, e non esitò un solo attimo per divulgarle ad alta voce. «Isidoro ha annotato con minuzia ciò aveva udito nelle taverne dei regni limitrofi. Alcuni scorci del passato dimenticato. Altrettanti argomenti sugli incantesimi. Soprattutto ciò che riguarda il nostro compito. Non è un onore essere a conoscenza dell'esistenza della magia. Né tanto meno si può considerarla la prova inequivocabile che il sovrano ci considera dei prediletti. È l'esatto opposto. Solo grazie alle pagine che ho sfogliato oggi ho appreso la verità che mi è sempre stata negata di sapere. Negli altri reami, la magia è sbandierata ed esibita in tutte le vie perciò l'avrei scoperto in ogni caso. Per questo motivo il sovrano dà l'ordine agli insegnanti di rivelare il minimo indispensabile a noi aspiranti mercanti. Al tempo stesso il sigillo che abbiamo sul polso ci impedisce di riferire a qualunque abitante del regno l'esistenza della magia. Lo sai perché se parliamo male della famiglia reale davanti alle persone non ci accade mai nulla?» gli chiese fissandolo negli occhi consapevole che non avrebbe mai udito alcuna risposta.

«I soldati non perdono tempo ad arrestare dei condannati. Ci pensa la spietatezza del deserto e i predoni che scorrazzano fra le dune a eseguire la sentenza. Solo se sopravviviamo allora la ferocia dell'acciaio interverrà tranciando le nostre vite» concluse a parlare infuriato.

Falcata dopo falcata, Carlo raggiunse infine la passerella di vetro che permetteva a chiunque di oltrepassare l'anello di Loto. Con un balzo fulmineo scese dalla groppa del cammello e afferrando le briglie si fece largo fra il fitto fogliame e gli steli dei lunghi fiori. Si sentiva cambiato mentre la brezza fresca lo investì portandogli refrigerio sulla pelle. Non aveva più paura e quell'esperienza gli aveva fortificato il carattere. Era diventato più maturo, più determinato a realizzare il suo sogno. Per completare la tessera c'era un solo modo per riuscirci. Seguire alla lettera tutti i consigli che gli aveva rivelato Isidoro. Vestirsi in modo diverso ogni volta che completava una consegna. Permettere alla barba di crescere, e nel mese seguente tingersi i capelli. Solo attraverso questi stratagemmi i mercenari avrebbero avuto difficoltà a riconoscerlo. Se un giorno avesse incontrato Tristano nel suo cammino, l'avrebbe battuto a colpi di spada.

Senza indugiare, il giovane proseguì a camminare spedito sulle assi lignee dello stretto ponte levatoio che conduceva a una delle otto porte della città. A ogni passo che compiva, ne ebbe la certezza. Luesor era ancora più bella vista da vicino. E quando si trovò di fronte alle sentinelle che sorvegliavano l'ingresso, sollevò in alto il capo per ammirare la statua di una gazzella collocata sull'arco. Sarebbe diventato agile, scaltro e guardingo come quel mammifero scolpito nel candido marmo. Promise a se stesso che se mai fosse riuscito a divenire un mercante avrebbe scelto lo stesso animale come disegno da apporre sulle sue merci. Rallentando l'andatura si scordò la missione, si acquietarono i pensieri non appena posò gli occhi sulle vie della capitale. File di alberi di osmanto ed eucalipti gli diedero il benvenuto così come i tessuti ricamati che ricoprivano i ciottoli delle strade. Tuttavia quando scorse da lontano il castello cinereo, l'espressione dipinta nel suo volto mutò divenendo seria quanto le nuvole che stavano a poco a poco velando il Sole.

Non poteva negare che la facciata principale del castello fosse magnifica. Gli affreschi che decoravano l'edificio erano intrecci di colore, oro e perle luccicanti che brillavano in armonia con la polvere di diamante cosparsa sull'intera superficie della parete. Eppure non gli fece scordare che all'interno di quelle mura ci fosse la persona che aveva stroncato la vita a Isidoro. Fissò con rabbia la terrazza della sala del trono. Gli ribollì nel cuore la vendetta mentre osservò gli arazzi che erano appesi sotto le bifore nei quali era impresso un fuoco, lo stemma del regno. La stessa fiamma che a mala pena scorgeva sul tetto. Ciononostante ne intravedeva le punte roventi agitarsi per il vento che si faceva a ogni minuto più intenso. Fu allora che si ricordò di un appunto del diario. Quel rogo non veniva alimentato con la legna. Era stato acceso dal primo drago nero creato secoli prima, e non si era mai spento. La prova che Luesor un tempo fosse la capitale di Nottambra.

Una goccia gli scivolò all'improvviso sulla spalla arrossata comprendendo che presto un acquazzone si sarebbe abbattuto sulla città. Dette un'ultima occhiata alla finestra più grande del castello per poi posare una mano sulla groppa del suo cammello. Anche l'animale che accarezzava era finto, quanto il sorriso che esibiva il sovrano davanti al pubblico. Promesse, patti e leggi gli apparivano via via crudeli e spietati quanto l'asprezza incontrata nel deserto. Ciò che Isidoro aveva iniziato, ora lui l'avrebbe portato a termine. Andando contro i desideri di un re che voleva impedire ai plebei di essere considerati e rispettati alla pari dei nobili.

La Fenice del vento - Fiore di PeoniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora