Capitolo 34: margherita sfiorita -2°parte

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Trattenne il fiato prima di abbassare la maniglia di ferro

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Trattenne il fiato prima di abbassare la maniglia di ferro. Non appena varcò la soglia si guardò intorno spaesata. L'aula era molto più grande di quanto aveva supposto. Sfarzosa fino all'inverosimile. Ogni parete era ricoperta da quadri fiabeschi. Non mancavano piccoli bracieri ai quattro angoli della stanza che rilasciavano oltre a un calore piacevole, anche una fragranza gradevole. Il pavimento poi era una scacchiera di rombi bianchi e verdi. Tuttavia era il soffitto che la fece traballare dallo stupore. Collocati fra intrecci di legno, che replicavano una barca rovesciata, due lampadari di cristallo tempestati di gemme. Così grandi e raffinati che le venne un capogiro al pensiero di quante ore occorrevano al personale per accendere le centinaia di candele incastonate sui gigli di cristallo. Un schiarimento di voce la fece sobbalzare, e solo allora si accorse che una donna molto elegante le stava porgendo una mano. Noemi non ci pensò due volte a ricambiare la stretta, e accennò a un breve inchino. Gesto che venne accompagnato da risate e commenti, tali da indurla a raddrizzarsi subito la schiena. Si sentì a disagio per ogni sguardo puntato su di lei. Per ciascun dettaglio degli abiti che indossavano i giovani. Un tripudio di colori, sete, damaschi e ricami da far destabilizzare chiunque. Dando un'occhiata veloce al suo abito stropicciato, le sembrò di essere una margherita sfiorita in mezzo a un campo di dalie appariscenti.

«Mancavate solo voi, signorina Noemi. Benvenuta nella scuola del Sole. Sono Caterina, la vostra insegnante di letteratura. Per cortesia potreste recarvi in biblioteca a prendere il libro di poesie?» le chiese innervosendosi per l'aumentare dei bisbigli che stavano echeggiando nella stanza.

«Sì, lo farò con piacere» le rispose perplessa uscendo fulminea dall'aula, ipotizzando che fosse la punizione per essere arrivata in ritardo.

Non appena la porta si chiuse alle sue spalle, la quindicenne compì dei respiri profondi. Altrettanti le occorsero per calmare il suo animo tormentato dai dubbi. Si sarebbe mai sentita a suo agio in una scuola così tanto sfarzosa e tempestata da una moltitudine di regole? Scosse la testa tremando. Il suo posto era a Ventalun, fra le braccia di sua zia. Eppure non ci mise un solo secondo a ribaltare opinione. Non era una codarda, e mai si sarebbe arresa di fronte alle difficoltà. Ancora meno avrebbe osato infrangere la promessa pronunciata sull'altura della città. Ricacciò le lacrime che stavano per fuoriuscire dagli occhi, e compì falcate veloci nel corridoio. Nel battito di ciglia seguente, si fermò di scatto dandosi una pacca sulla fronte. Come sarebbe riuscita ad arrivare in biblioteca senza un'indicazione? Ritornare indietro dall'insegnante le sembrò una pessima idea. Considerò migliore l'alternativa di richiedere informazioni al primo soldato che avrebbe intravisto pattugliare il piano. Tuttavia manciate di secondi trascorsero senza scorgere alcun militare. Non aveva alternative. Doveva recarsi all'ingresso del castello per ottenere la risposta. Solo lì era certa di trovare due guardie a vigilare l'ingresso del castello.

Corse a perdifiato sulle scale raggiungendo in breve tempo l'entrata dell'edificio, e come aveva supposto vide i fanti seduti sui gradoni della scala. Non ci mise più di mezzo minuto per avvicinarsi a loro. Meno di un secondo per dischiudere le labbra.

«È al quarto piano. La sesta porta a sinistra della scala» gli rispose uno di loro indicandole con la mano una finestra del castello. La più ampia di tutto l'edificio.

«Q-quarto piano? Vi ringrazio» pronunciò rientrando fulminea all'interno del castello.

Lo capì quando i suoi muscoli iniziarono a farle male. Lasciarsi alle spalle così tanti gradini metteva alla prova perfino un fisico abituato a scalare le vette delle montagne. Ciononostante non rallentò la corsa. Ogni minuto era prezioso. Ogni secondo non andava sprecato. Nemmeno per massaggiarsi i polpacci.

Non appena arrivò al quarto piano, la fanciulla fissò una porta sorvegliata da due guardie, e quando finì di contare ne ebbe la conferma. Si trovava di fronte alla biblioteca. Porgendo agli uomini armati un breve inchino trattenne il fiato nell'attimo in cui varcò la soglia della stanza. Ciò che vide, nel respiro seguente, la lasciò di stucco. Scaffali di diverse dimensioni e colori erano collocati in vari punti della stanza dandole l'impressione di trovarsi di fronte a un labirinto districato. I mobili più alti, invece, erano appoggiati contro le pareti. Ruotò il capo in diverse direzioni osservando lo stesso scenario: dovunque posasse lo sguardo non c'era un solo ripiano privo di volumi. Un istante dopo sbuffò presa dal panico. Cercare il libro di poesie era come trovare un ago nel pagliaio.

«Siete Noemi, Noemi da Ventalun?» percepì una voce maschile alle sue spalle accompagnata da un ticchettio di stivali.

Sobbalzando, la quindicenne si voltò di scatto e d'istinto arretrò. Quel tanto che bastò per mantenere una distanza discreta. Viola le aveva insegnato che bisognava sempre diffidare degli sconosciuti. Fintanto che non si conoscessero le loro intenzioni. Anche quel giorno seguì la raccomandazione di sua zia. Lo squadrò partendo dal basso, soffermandosi sull'abbigliamento che lo rivestiva dai piedi alle spalle. Stivali in cuoio. Pantaloni di cotone della stessa tonalità delle nocciole. Una tunica in damasco blu cinereo, e un ampio mantello rosso che sfiorava la superficie del pavimento. Osservò guardinga quelle labbra sottili che stavano accennando a un breve sorriso. Soprattutto quegli occhi verdi che le parvero piccoli smeraldi incastonati in un viso dai lineamenti gradevoli. Non aveva alcun dubbio: era lo stesso ragazzo che aveva intravisto nel giardino la sera precedente. Lo stesso giovane che era rimasto a fissarla con la schiena appoggiata contro a un albero, mentre Andrea le aveva spiegato le regole della scuola. Altresì nobile, come aveva intuito quella stessa mattina incrociandolo nel corridoio. Dedusse che avesse ascoltato a lungo la conversazione tra lei e il vice capitano. Come poteva spiegarsi altrimenti che l'aristocratico conoscesse il suo nome e perfino il suo paese natio?

«Sì, sono io» gli confermò proseguendo a fissarlo negli occhi nell'attesa di scoprire che cosa volesse da lei.

«Ieri sera non abbiamo avuto modo di chiacchierare a lungo. Com'è andato il viaggio?» le chiese Ademaro con spiccata curiosità porgendole un istante dopo una mano.

Noemi non poté fare a meno di corrugare la fronte e compiere un passo indietro. Non aveva scordato il tono severo che il giovane le aveva rivolto la sera precedente. Né tanto meno aveva dimenticato la sensazione di malessere provocato dai fiori della Magnolia delle cento Lune, trattenuti in quelle stesse dita che ora reclamavano una stretta di mano.

Lo capì quando interpretò l'espressione della fanciulla. Lei non avrebbe mai abbassato la guardia. Nel respiro seguente ritrasse il braccio. Doveva escogitare un altro modo per conquistare la sua fiducia. Affinché avesse l'occasione di assicurarsi che si fosse del tutto ripresa dagli effetti della pianta magica. Prima però doveva prendere una decisione definitiva. Ovvero se fosse meritevole di restare nella scuola del Sole.

«Bene, anche se a causa di una tempesta di sabbia sono arrivata in ritardo» gli confidò schiudendo le labbra. «Alle sette di sera» precisò un istante dopo.

«Avete per caso avuto difficoltà a camminare nel giardino considerato che era già buio?»

«No, per fortuna il giardino era illuminato» gli rispose senza aggiungere una sola parola in più.

Ademaro si rallegrò, e abbozzò un sorriso sbieco. Era ciò che voleva udire per metterla alla prova. Compiendo due passi in avanti, si avvicinò a lei guardandola dritta negli occhi. «Quindi avete visto le torce accendersi da sole?»

Ora era lui a squadrarla, ma dall'alto verso il basso. A osservare ogni piega e dettaglio del vestito celeste che indossava. L'abito le nascondeva le forme armoniose, ma non poteva in alcun modo celare quanto le tremassero le braccia. Si compiacque di se stesso. Di vederla sobbalzare, e colta alla sprovvista. Aveva messo in difficoltà il vice capitano tempestandolo di domande e di osservazioni. Una più spinosa dell'altra. Ma di fronte alla nobiltà. Al cospetto di un aristocratico, nessun popolano poteva competere. Né tanto meno considerarsi alla pari della classe sociale più illustre del reame. Soprattutto lei. Una contadina cresciuta in un borgo sperduto fra le montagne. Plebea ora comprendi quanto siamo intelligenti noi nobili? pensò fra sé attendendo che la fanciulla dischiudesse le labbra. Aspettando con trepidazione di udire la risposta che avrebbe pronunciato negli istanti successivi.

La Fenice del vento - Fiore di PeoniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora