Capitolo 12: gli ultimi giorni a Ventalun -1°parte

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Ventalun, borgo della regione monte Cielo

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Ventalun, borgo della regione monte Cielo. 31 luglio 495, anno della Lira.

C'erano mattine in cui il Sole tardava a sorgere, alzandosi pigro all'orizzonte. Ma non quel giorno. Destato dal sonno, e innalzandosi oltre le cime dei monti annunciò il suo risveglio illuminando con i suoi raggi ogni foglia e prato di Ventalun. Un bagliore che si riflesse nei rivoli d'acqua del torrente, e che accompagnò la camminata mesta di due sagome femminili legate insieme da una stretta di mano verso una radura.

Le api danzavano sui petali sfiorati dalla gonna purpurea di Noemi, sprigionando nell'aria profumi dolci e variopinti. Sospirando, procedette con andatura lenta tenendo in mano un mazzo di fiori, e osservò spesso sua zia sollevando gli angoli della bocca per rassicurarla che stesse bene. Una parvenza di felicità che celava quanto in realtà fosse difficile per lei avanzare, e giungere di fronte a una lapide poco distante da loro.

«Sto meglio» ripeté più volte a sua zia annuendo con la testa, trattenendo il dolore in una morsa di sorrisi e di apparente calma.

Si guardò intorno osservando gli alberi che circondavano la radura, sfiorati dal soffio del vento. Le loro chiome verdeggianti si inclinarono più volte, come se volessero pronunciare un elogio alla pietra rettangolare adagiata sul terreno. Noemi sentì un nodo alla gola soffocarla passo dopo passo, mentre si avvicinò titubante alla tomba. Ormai solo una piccola manciata di falcate la dividevano dai suoi genitori: il suo primo incontro dopo anni di separazione. Un chilometro distante dalla sua abitazione, poco più di un decennio trascorso nella vana attesa di scorgerli dalla finestra.

Ardeva in lei il desiderio di avanzare sicura, ma a rallentarla era la percezione di sentirsi indegna e immeritevole di presentarsi al loro cospetto. Un passo, e i ricordi di quando era bambina si fecero via via sempre più nitidi. Un altro metro lasciato alle spalle, e il collo le si irrigidì per trattenere i singhiozzi. Aveva perso il conto di quante volte avesse attraversato la radura spensierata. Ma era certa di conoscere il numero esatto in cui si era soffermata a fissare il blocco di pietra. Due occasioni, soltanto due. Spronata da una sinergia di curiosità e di indifferenza. Non si era mai interessata di scoprire il motivo per cui quella pietra fosse stata collocata nella radura. Né tanto meno aveva chiesto a Viola di darle una spiegazione al riguardo. L'ho sempre considerata una pietra di poca importanza pensò fra sé mortificata. Ero convinta che si trattasse di un'opera di uno scultore. Un omaggio alla flora circostante rifletté rallentando l'andatura.

Soltanto il sorriso di sua zia le dette il coraggio di giungere di fronte alla lapide, e di non indugiare oltre. La sua razionalità però le rendeva difficile accettare la verità: che si trattasse di una tomba. Tutte le lapidi del regno erano di forma ovale, posizionate erette. Su ciascuna pietra venivano riportate sia le date che i nomi dei defunti. A fianco delle incisioni, il simbolo della regione d'origine del dipartito. Eppure di fronte ai suoi occhi non c'era nulla di tutto ciò. Provò una profonda rassegnazione nel constatare che non ci fosse alcun nome scolpito sul marmo. D'altronde non nutriva speranze di leggerli. Fin da quando era bambina, Viola si era sempre rifiutata di rivelarglieli senza darle una valida spiegazione. Era convinta, quindi, che sua zia avesse ordinato allo scultore di non far incidere sulla tomba i loro nomi per privarla dell'unica opportunità di scoprirlo. Ma perché farlo? un'altra domanda alla quale non riusciva a trovare una risposta concreta. Ad avvolgerla soltanto il fumo di supposizioni.

La Fenice del vento - Fiore di PeoniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora