Capitolo 18: Alosia -1°parte

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A qualche chilometro da Alosia, città della regione Opale

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A qualche chilometro da Alosia, città della regione Opale. 4 settembre 495, anno della Lira.

Viola aveva ragione. Leggere un libro o vedere con i propri occhi i luoghi descritti in quelle pagine non era la stessa cosa. Per quanto fossero dettagliati i volumi, non erano in grado di trasmettere le stesse emozioni. Gli scrittori potevano solo avvicinarsi alla realtà, ma mai racchiudere in un pugno di parole la sconfinata bellezza dei prati. La potenza dei fiumi che scendevano a valle. Il suono dei getti d'acqua delle cascate che si scagliano contro le pietre levigate. Allora basterà fissarli nella mente pensò fra sé Noemi per poi scuotere la testa. Prima o poi il tempo e la vecchiaia avrebbero in parte sbiadito quelle immagini. Si chiese a quel punto se ci fosse un modo alternativo per imprimere per sempre ciò che si stava riflettendo nelle sue iridi. Non impiegò nemmeno un secondo per pensare perché le era appena venuto in mente: disegnare.

Incurante degli scossoni che le rendevano difficile mantenere l'equilibrio, la ragazza trascinò verso di sé la valigia e l'aprì. Rovistò tra i calzini di lana e gli abiti che erano riposti alla rifusa per poi estrarre fulminea un quaderno di carta. Frugando fra le boccette di tintura trovò infine ciò che cercava: un astuccio in cuoio contenente una serie di barrette di grafite. Sfiorandoli con i polpastrelli afferrò il più sottile e non si preoccupò di richiudere la valigia. Le interessava soltanto raffigurare ciò che finora aveva visto da quando era partita da Ventalun perciò decise di concentrare tutte quelle immagini in un unico foglio. In pochi minuti aveva replicato la sagoma della catena montuosa. Le distese dei colchici ricoperti dalla rugiada ai margini del sentiero, e poi l'arco in pietra che aveva attraversato due chilometri prima. Ma erano illustrazioni prive di colori che solo quando sarebbe giunta a destinazione avrebbe dipinto per evitare di sporcarsi. La mancanza delle tinte sgargianti non era però la causa del suo malumore. Imbronciandosi, fissò il disegno e lo scrutò con attenzione riponendolo in seguito a fianco a lei.

Per quanto fosse stata precisa a inserire i più piccoli particolari, comprese le nervature dei petali piegati dalle goccioline di condensa, il disegno appariva una bozza mal riuscita. Era solo un insieme di minuscoli istanti. Un microscopico scorcio di quella porzione di regno che le sembrava appartenere a un mondo favoloso. Lei lo notava dal finestrino quanto quell'ambiente fosse vivace e pulsante di vita, e nonostante tutto il suo impegno non era riuscita a rappresentarlo nella sua interezza. Le immagini che aveva raffigurato non si muovevano. I petali dei fiori non profumavano. Alla fine lo capì. Era questo il suo limite. Per quanto si sforzasse a intrappolare il panorama sulla carta non sarebbe mai riuscita nell'impresa. Perché era troppo vasto e immenso per racchiuderlo in una pagina sottile quanto lo spessore di una foglia.

Tuttavia ci teneva ad avere un ricordo del suo primo viaggio, e nonostante fosse certa che avrebbe realizzato solo uno schizzo provò comunque a riportarlo sulla pergamena. Stiracchiandosi le braccia impugnò la barretta di graffite, e senza indugiare pressò la sua punta a contatto con la superficie di un foglio candido. Promise a se stessa, mentre abbozzava l'orizzonte che scorgeva, che nei successivi cinque anni si sarebbe impegnata a migliorare le sue abilità per raggiungere un obbiettivo ambizioso: donare alle persone l'impressione di venire trasportati all'interno dei suoi dipinti. Tracciò un'altra linea e a poco a poco altre ne seguirono. Sbuffò quando la carrozza cambiò direzione modificando di conseguenza prospettiva. Inspirando quanta più aria possibile, girò il lato della carta e lo rifece da capo. Questa volta aumentò la velocità con cui tracciò i ciuffi d'erba. Dette delle rapide occhiate al foglio, e in seguito alle prime dune che circondavano i prati sempre meno verdeggianti. Non scordò di raffigurare la nuvola che di tanto in tanto oscurava la luminosità del Sole facendo cambiare posizione alle ombre impresse sulla sabbia. L'ultimo dettaglio era stato impresso sulla pagina, e ora poté godersi il meritato riposo sistemando tutti gli oggetti che erano sparpagliati intorno a lei.

Non appena si alzò in piedi per affacciarsi alla finestra, si pentì per essere stata precipitosa nell'aver riposto la barretta di grafite all'interno della valigia qualche minuto prima. Una sola cosa però era ancora in tempo a compierla scrutando un puntino luminoso divenire sempre più grande e meraviglioso. Seguire il consiglio di sua zia: aprire le ali. Con l'entusiasmo pulsante nel petto spalancò entrambe le braccia all'esterno della carrozza simulando di abbracciare quella grande città delimitata da una cinta muraria color ocra.

Noemi non dischiuse le labbra per chiedere al cocchiere il nome del centro urbano. Lo conosceva seppure non l'avesse mai visto prima d'ora. Fra le pagine sfogliate nel grosso volume di geografia le era rimasta impressa la descrizione di una località. La stessa che si stava riflettendo nelle sue iridi. Era Alosia, situata al confine tra la regione Cielo e quella del monte Opale nonché la città più bella dopo la capitale Luesor. Dalla forma di un giglio, svettavano al centro di essa due alte torri come se fossero i pistilli del fiore. Tenendosi salda al bordo della finestra si sporse ancora di più per domandare all'uomo se si sarebbero fermati a visitarla.

«Sì» le confermò voltandosi verso di lei per un breve momento. «I cavalli necessitano di riposo. Inoltre sono quasi le undici perciò ci fermeremo anche per pranzare.»

Man mano che gli animali procedevano spediti, la ragazza poté simulare di sfiorare con la mano il viale di palme da dattero che scorgeva a pochi metri da loro. E quando la carrozza si addentrò all'interno di essa, rimase ancora più incantata. Giochi di luce e rapidi abbagli filtrarono attraverso le foglie ampie e vibranti a fianco a lei facendo brillare ancora di più il mezzo di trasporto. Soltanto la polvere sollevata dal trotto dei cavalli offuscarono la visuale che aveva di fronte a sé. Ciononostante poté scorgere l'ampia arcata che fungeva da porta d'ingresso. Fissò ciascuna pietra di marmo dell'arco rimanendo perplessa sul perché ci fossero scolpite le sagome di draghi. In un regno in cui si dava la caccia a quelle creature feroci le sembrò un decoro insolito e per nulla appropriato. Tuttavia non poté proseguire a fissare i denti della grata che era sopra di lei e nemmeno scorgere i dettagli dei motivi geometrici intagliati sulle ante spalancate del portone. Si ritrasse fulminea dalla finestra schivando per un soffio le lance dei picchieri che sorvegliavano l'entrata, per poi riaffacciarsi di nuovo.

Appena la carrozza si addentrò all'interno della città, la ragazza ebbe la conferma di quanto fosse stata superficiale la descrizione che aveva letto sul volume di geografia. Non c'erano solo case dai tetti piani. Botteghe dalle facciate ricoperte da affreschi, ma un ampio teatro dorato nella piazza centrale. Ai lati dell'edificio le due torri che aveva intravisto da lontano. Passando di fronte a loro, riuscì a distinguere ciò che raffiguravano le statue collocate sopra di esse: il re e la regina del reame. Sculture in marmo che davano l'impressione che stessero vegliando dall'alto ciascuna persona che camminava nelle vie. 

Per un attimo ebbe l'impressione che entrambi gli occhi del sovrano si fossero mossi puntando nella sua direzione, ma poi scosse la testa supponendo che avesse avuto un'allucinazione. Notando che il cocchiere stava dando l'ordine ai cavalli di rallentare, strinse con forza la maniglia dello sportello per evitare di cadere sul pavimento. E mentre la lampada appesa al soffitto oscillò frenetica, i cavalli compirono l'ultimo trotto. Tuttavia non attese che l'uomo l'aiutasse a scendere dal mezzo di trasporto. Si alzò di scatto tirando in giù le maniche arrotolate all'altezza dei gomiti per poi spalancare lo sportello. Un rapido salto e poi si guardò intorno mentre alcuni passanti la indicarono disapprovando il suo atteggiamento. Scendere dalla scaletta era una delle prime regole che si imparava fin da bambini, e quindi per molti sembrò un comportamento poco consono per una fanciulla.

«Sembra una selvaggia» mormorò una nobile prima di proseguire a camminare tenendo per mano un giovane del suo stesso lignaggio.

Ma a Noemi non le importavano i commenti e le risate che provenivano alle sue spalle. Era cresciuta in un borgo dove saltare sui sassi del fiume e compire dei balzi era la quotidianità delle giornate. Copricapi e vestiti eleganti si alternarono alle immagini dei carretti che veloci sfrecciavano a fianco a lei. Solo quando abbassò lo sguardo per distendere alcune pieghe sull'abito lillà che indossava, si accorse dei mosaici che stava calpestando. Fiori, pavoni e aironi decoravano ogni centimetro della piazza. E poi c'era lui che la fece rabbrividire. L'illustrazione di un drago nero collocato in mezzo al basamento delle due torri. Percependo che qualcuno le appoggiò una mano sulla spalla si voltò di scatto per poi riprendere fiato.

«Non era mia intenzione spaventarvi. Purtroppo non possiamo restare qui a lungo. Ci stanno aspettando» pronunciò l'uomo facendole un cenno a seguirlo. Notando che la ragazza si voltò in più direzioni, riprese a parlare. «È la prima volta che venite qui?»

Noemi annuì. «Sì. In realtà non ho mai viaggiato. Sono sempre rimasta a Ventalun.»

L'uomo sorpreso si fermò di scatto. «Quindi è la prima volta che prendete una carrozza?»

«Sì» gli confermò dando una breve occhiata alle piante grasse delle aiuole che di tanto in tanto scorgeva nelle vie.

La Fenice del vento - Fiore di PeoniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora