Capitolo 4: I grandi non piangono

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" L'amore è la forza propulsiva più potente al mondo. Spinge i mortali alla grandezza. I loro gesti più nobili e coraggiosi  sono compiuti per amore. " Rick Riordan, "eroi dell'olimpo, il ladro di fulmini"

Quando riaprii gli occhi mi trovavo in una stanza di ospedale, in cui tutto era immerso nel bianco candido: le pareti, le lenzuola del letto, il comodino, le sedie, le tendine... forse anche io ero diventata bianca, mi sentivo simile ad un foglio di carta, che viene prima colorato e poi cancellato, rimane qualche segno, ma è tutto così maledettamente sbiadito.

Mi fecero molti controlli, per poi stabilire ciò che sapevamo già tutti: attacco di panico. La prima volta che successe fu esattamente così, pensai che fosse assurdo il modo in cui all'improvviso diventavo ospite del mio stesso corpo, succube dei respiri e schiava del battiti del mio cuore. Da bambina immaginavo il panico come una grande nuvola nera a cielo sereno, che in una giornata di sole esplodeva sulla mia testa, trascinandomi via con lei e la corrente.

Come ogni tempesta, alla fine usciva sempre il sole e questo per me era di grande consolazione, peccato però, che in preda ai tuoni e ai fulmini io non lo ricordassi mai. Il sole nel mio caso era il dott. Giubbeni, che non vedevo da una settimana esatta, era stato un nuovo record per me, perchè per la prima volta nella mia vita avevo vissuto per una settimana intera o quasi. Per me vivere non è scontato, Anna e Tommaso ad esempio vivono sempre, da quando vanno a dormire il giorno prima a quando si svegliano e ne sono costantemente consapevoli. Io vivo fisicamente ogni giorno, ma ci sono momenti in cui la mente mi abbandona e divento solo un corpo che occupa spazio e consuma ossigeno. Essere soltanto un corpo è bruttissimo, perchè non riesco più a pensare, a provare emozioni, ad essere me stessa, diveto un' inutile sagoma di carne ed ossa. 

Il dottore si avvicinò in camice bianco, pantaloni azzurri con il solito buco sulla caviglia destra e crocs blu, infilò gli occhiali, si siedette sulla sedia e appoggiò il computer sul tavolino, si girò e mi fece un sorriso veloce, rimasi abbagliata dalla luce che riflettevano i suoi denti binachi come la neve fresca. Il computer si accese con un piccolo trillo, un suono che annunciava l'nizio di una nuova seduta, lo schermo che conteneva la maggiorparte dei miei pensieri si illuminò. 

- Allora Rosa, come stai?- La voce del dott. Giubbeni era flautata, talmente sottile che ogni sua parola sembrava soltanto un soffio di aria calda.

Iniziava sempre con questa domanda ed io rispondevo sempre allo stesso modo: - Bene, grazie, lei?- A questo punto il dottore mi guardava negli occhi e si sforzava di capire cosa nascondesse la mia risposta, dato che era chiaro che qualcosa in me non andava per il verso giusto. Eppure nonostante lo conoscevo da anni, non pensò mai di cambiare domanda, invece di cercare indizi nella risposta. Credo fosse soltanto questione di fare le domande giuste, per questo motivo mi ero sempre trovata meglio a parlare con Tommaso, perchè sapeva sempre quali corde far suonare, aveva una mira impeccabile e arrivava al cuore. 

- Mi vuoi parlare di quello che è successo alla festa?- Continuò schiacciandosi gli occhiali contro il naso, che ormai presentava un lungo solco.

- Mi sentivo soffocare- Fu l'unica cosa che fui in grado di dire, le mie risposte scarse erano il motivo per il quale le sedute non mi avevano aiutato a migliorare, mi sentivo in colpa per questo, mi sembrava di far perdere tempo a tutti, ma ero convinta che alcune cose siano indescrivibili. 

- Okay, allora ti va di elencare le cose che ti hanno portato a ciò?- Non potei fare altro che ridere dopo aver sentito quella domanda, il dottore corrugò le sopracciglia e mi squadrò dall'alto in basso. Pensai che dovesse essere davvero stupido se credeva che io sapessi tutte le cause, è vero sarei potuta partire da Anna e Tommaso, ma poi come avrei spiegato "ricordi a galla", come avrebbe mai potuto comprendere un dottore in camice bianco i ricordi che custodivo con loro. Ci pensai a lungo e capii che non ero in gardo di spiegare il significato delle stelle che mi guardavano quella notte, il mare che mi teneva compagnia, la mano di Tommaso e il rossetto di Anna. Era tutto così confuso dentro di me che potevo sentire i pensieri sgomitare e spingere nella mia testa: "Anna e il vestito con lo spacco" era il primo, che iniziò a correre e andò a sbattere contro uno più grigio e sbiadito, "Tommaso che mi offre un gelato", anche questo andava di fretta, ma cadde, ne arrivò un altro e così al'infinito: "Anna che mi giura fedeltà", "mi innamoro per la decima volta", "No, scema, è l'unidicesima", "Giocavamo a nascondino", "Cabina, sesso", "panico", "sabbia"... 

Ricordi a gallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora