"Quanti minuti per cambiare una vita?"
"Un etnologo nel metrò" di Marc Augè
I giorni passarono lenti, come foglie trascinate dal vento si rincorrevano in ordine sparso e confusionario. Stavo ricominciando lentamente a prendere parte nella mia vita e tutto sembrava nuovo ed ostile.
Tornai a scuola verso metà Settembre, ricordo ancora gli occhi di tutti appiccicati addosso ogni volta che camminavo e i sussurri che mi inseguivano, commentavano ogni mia azione e raccontavano ad un orecchio teso la mia storia, arricchendola di dettagli immaginari e tristi.
Tutti sembravano essere interessati a me, ma nessuno aveva il craggio anche solo di salutarmi. Evitavano scrupolosamente di guardarmi negli occhi ed io presto imparai a fare lo stesso.
Poi, una mattina di Ottobre, decisi di sollevare la testa, perchè tutti potessero vedermi in volto per pochi minuti e da quel momento, quel sottile lasso di tempo imbarazzante si allungo sempre di più. A Novembre non avevo più paura di guardare dritto in faccia chi sussurrava alle spalle.
Dei primi mesi scolastici ricordo in particolare lo sforzo per restare al passo con lo studio, i compiti, le ricerche, i programmi. Ciò però, non fu la cosa più difficile, anzi lo facevo voleteri, perchè mi permetteva di tenere la testa occupata.
Avevo imparato che quando qualcosa non va, ci sono due modi per risolverla: il primo è cercare il problema, identificarlo e trovare delle soluzioni, finchè non lo si risolve. Un processo logico, lineare, apparentemente semplice e veloce. In realtà era tutt'altro, motivo per il quale decisi di seguire il secondo metodo: riempire le giornate di attività, impegni ed orari da rispettare, così da non avere più il tempo di pensare al problema.
Passavo i pomeriggi a studiare in camera, la luce del sole mi faceva compagnia entrando leggera dalla finestra, ma ogni giorno che passava, aumentavano sempre di più le ore in cui leggevo e scrivevo con la luna e le stelle.
Questo non vuol dire che all'improvviso diventai la pù brava della classe, anche se continuavo ad avere una buona media, semplicemente scoprivo in continuazione cose nuove e mi piaceva stupirmi davanti notizie scioccanti e curiosità.
Più di tutto però, adoravo il modo in cui il mio cervello faceva i collegamenti più assurdi e allo stesso tempo geniali tra le varie materie, ero innamorata dell'ordine che lo studio poneva alla mia testa. I pensieri di fronte un libro diventavano limpidi e trasparenti, tutto sembrava calmarsi e per ore intere esisteva soltanto ciò che dovevo imparare. Fu così che lo studio mi salvò.
Eppure in ogni cosa riuscivo a trovare qualcosa di familiare, sensazioni che sapevo di aver vissuto, emozioni che credevo di aver dimenticato, alla fine giungevo sempre allo stesso pensiero: Tommaso.
Lo vedevo quando Dante descriveva il saluto di Beatrice e la sensazione di gioia, mischiata all'entusiasmo e allo stupore. Mi sembrava di leggere di lui, quando nei libri di storia iniziava un periodo di prosperità e pace, contornato da una leggere tensione che sanciva l'inizio di un nuovo scontro.
Ero fortemente convinta che ogni cosa che leggessi o studiassi comprendesse in qualche modo anche lui, mi scoprivo a ripetere sottovoce il suo nome quando durante la lezione di scienze la professoressa spiegò come nasce una stella.
Ricordai tutte le volte in cui avevo avuto bisogno di lui, quando capii che seno e coseno in fisica, in qualche modo, stanno sempre insieme.
Pensai che ogni filosofo che fosse presocratico o meno, avesse conosciuto quella stessa meraviglia, che io provavo davanti i suoi occhi color cioccolato e finalmente mi sentii fortunata.
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Ricordi a galla
RomanceRosa è una ragazza di 16 anni, che come ogni anno trascorrerà l'estate con i suoi amici da una vita: Anna, testarda, orgogliosa e sicura di sè e Tommaso, gentile, affettuoso, amichevole e sempre pieno di domande. Tutti e tre molto diversi, ma a tene...