Capitolo 23: Si ama una volta sola

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" Ti amo come solo le stelle sanno amare: da lontano, in silenzio, senza spegnersi mai" Erin Doom, "fabbricante di lacrime".

Dopo pochi minuti eravamo di nuovo a casa di Tommaso, zuppi d'acqua, infreddoliti e scossi da piccoli brividi misti a risate.

Il vestito blu di Anna, si era attaccato alla pelle bagnata, mettendone in evidenza le sue curve dolci, la pancia piatta e le gambe toniche e snelle. 

Quella sera sembrava una ninfa del mare, sarebbe potuta diventare la nuova musa ispiratrice di qualche poeta, faceva concorrenza a Beatrice di Dante, per via della grazia e della bellezza. 

I capelli corvini le incorniciavano il viso, grondanti d'acqua, quando si muveva,  lasciavano cadere alcune goccioline ghiacciate sulle spalle, che scendevano silenziosamente verso il seno, seguendo traiettorie dissestate. 

Mentre la guardavo riprendere fiato, pensai che quella sera era il vestito ad indossare lei, come se si volesse sacrificare per mostrare la bellezza di quel corpo giovane, che non possedeva cicatrici e non conosceva mani cattive. 

Il rossetto rosso era leggermente sbavato all'angolo destro della bocca, le ciglia che probabilmente non aveva truccato, erano più definite grazie all'acqua, questo non faceva che dimostrare la semplicità del suo volto, che ella non riusciva ad apprezzare.

Forse era a causa di tutta quell'acqua che le era caduta addosso, mostrando la natura della sua bellezza, che non mi accorsi delle goccioline incastrate nelle sue iridi verdi. 

Ricordo che guardavo i suoi occhi, ma era come se non riuscissi a vederla davvero, come se cercasse ancora, nonostante tutto quello che ci eravamo detti, di nascondermi qualcosa.

Cosa mi nascondi, Anna? Cos'è che non vuoi dirmi? 

Avrei voluto chiederle quella sera, ma non ci riuscii, avevo paura di non essere in grado di capirla, se avesse deciso un giorno di essere completamente sincera con me. 

Fu così, che scoppiò a piangere, mi guardava e i suoi occhi verdi pesavano come macigni sulle mie spalle, le lacrime rendevano quegli occhi due specchi, in cui riucivo a intravedere il mio viso, preoccupato e confuso.

Io e Tommaso ci guardammo, silenziosamente ci chiedemmo a vicenda cosa dire, cosa fare, mentre il suo pianto si trasformava velocemente in un lamento, i singhiozzi la scuotevano, facendole sobbalzare le spalle e le braccia sottili. 

Ricordai quando l'avevo vista piangere da bambina al funerale del nonno, il visino rosso a causa delle lacrime, possedeva due solchi lungo le guance. Poi, quella volta che pianse per la scomparsa del suo gatto, gli occhi e il naso irritati.

Ma quel pianto era diverso, era rumoroso, irrefrenabile, imprevedibile, come se il mondo le fosse appena caduto sulle spalle e lei, non riuscendo a reggerne il peso, ne fosse rimasta schiacciata per troppo tempo.

Mentre la pioggia in giardino si confondeva con le sue lacrime, creando una gran confusione di piccole gocce tutte uguali, capii che quello non era il pianto di Anna, ma di qualcun altro, qualcuno che io non avevo mai conosciuto, ma che aveva sempre vissuto dentro di lei, nascosto da occhi indiscreti, aveva sofferto in silenzio, finchè un giorno non si era liberato. 

- Mi dispiace, Rosa... mi dispiace...- sussurrò ed io non seppi cosa dire, non aveva nulla di cui scusarsi, le avevo appena detto che era una delle persone più importanti della mia vita, come avrei mai potuto nasconderle un astio?

- Non è successo nulla, Anna, cosa ti succede?- Chiese Tommaso venendomi in aiuto.

- LO SAI!- Urlò improvvisamente lei e fu come se tutta la sua voce fosse concentrata in quelle poche sillabe.

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