30. Arthur

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Io Sto Bene Così.

Arthur non aveva mai realmente superato la perdita di sua madre. I primi tempi si trovava a piangere e a piegarsi in due dal dolore senza neanche accorgersene. Le immagini di quella notte si ripresentavano davanti a sé senza preavviso e più volte si era ritrovato a vomitare da quanto era rigido e teso, come se fosse in un continuo stato d'allerta.

Viveva nella costante paura che potesse succedere qualcosa a sua sorella. Aveva agito spinto da essa, ma convinto di star facendo la cosa giusta. Tutt'ora non rimpiangeva le sue scelte, soprattutto visto il carattere di Kaya. Ma a lei doveva tutto. Lei lo aveva salvato dall'abisso in cui altrimenti sarebbe sprofondato. Lo distraeva con i suoi bisogni, i suoi pianti da placare e la sua necessità di uscire e fare amicizia con gli altri bambini.

Anche Sigrid, la sua vicina, lo aveva aiutato. Lei e suo marito avevano permesso ad Arthur di seguire le lezioni e di studiare per arrivare ai livelli che il governo chiedeva ai suoi studenti, pagandogli i libri e la divisa e tenendo Kaya con loro quando lui non poteva. Cucinavano per loro e facevano in modo che non stessero mai da soli.

Fu il marito di Sigrid, Daven, a portare Kaya alle cascate la prima volta. Ogni bambina al compimento dei sette anni veniva portata dal proprio papà a visitare le cascate della montagna, che loro avevano proprio dietro casa. Si facevano un veloce bagno freddo e mangiavano frutta secca mentre cercavano di riscaldarsi.

Era una delle strane tradizioni landorriane e fu uno dei giorni più tristi per Arthur. Pianse nuovamente l'assenza di suo padre, si arrabbiò con sua madre per non essere stata più prudente, perché lei lo sapeva che sarebbe successo e avrebbe potuto evitarlo, invece li aveva abbandonati. Pianse per non aver potuto portare lui Kaya alle cascate, perché ancora troppo piccolo per essere visto come un accompagnatore e troppo sopraffatto dallo studio per permettersi distrazioni.

Ma non riuscì a leggere nemmeno una frase dei suoi libri. Riviva il terrore di quella notte, tremava come una foglia e quando Sigrid entrò per portargli la cena, lo vide rannicchiato davanti al camino, scosso dalle lacrime, mentre balbettava un nome femminile a lei sconosciuto.

Negli anni aveva imparato a gestire la sua tristezza e a non farsi prendere impreparato dai ricordi e dalle emozioni. Era uscito dalla scuola con il massimo dei voti in tutte le materie, con l'intenzione di entrare nell'esercito quando sarebbe stato il momento giusto. Intanto iniziò a lavorare, per ripagare Sigrid e Daven di tutto il loro aiuto. Kaya cresceva e con lei la sua ribellione e la sua voglia di fare come voleva, ma lui aveva imparato a gestire anche questo, a gestire lei e a rimproverarla con le parole giuste.

Era certo e sicuro di non essere il fratello migliore del mondo, ma era il fratello di cui aveva bisogno. Non avrebbe commesso l'errore di sua madre. Non avrebbe abbassato la guardia.

Non aveva un momento per sé, ma non gli importava, anzi era contento, così i suoi pensieri non avevano tempo di stuzzicarlo. Questo almeno finché non calava la notte. E anche se sotto lo sguardo della luna aveva iniziato a distrarsi con i combattimenti e in seguito con Roxana, la cameriera, i suoi pensieri e i suoi ricordi trovavano comunque un modo per tornare in superficie.

Era rabbia quella che provava, una rabbia talmente forte che si sentiva in grado di ribaltare il paese intero. Voleva vendetta. Voleva far provare al re quello che aveva provato lui. Lo voleva vedere piegato in due dal dolore, gli voleva togliere ciò che per lui era più caro. E cosa poteva essere di più caro al re, se non il suo primo erede?

Eppure Aslan lo guardava con un sorriso ingenuo e fanciullesco, mentre faceva sbattere il loro bicchieri in un piccolo brindisi. Si domandò quanto sapesse, se fosse complice di quella mentalità antica. Sembrava solo un ragazzo a una festa.

Il Matto, Il Carro, La Torre, La LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora