15. Arthur

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Incubi.

Nella cabina della piccola imbarcazione c'era a disposizione solo un letto. Asteria lo occupava momentaneamente, avvolta dal sonno e dai sogni. Arthur si sedette così a terra, le spalle appoggiate a un mobile dal legno scricchiolante. 

Non gli piaceva discutere, non riusciva a gestire la frustrazione che provava quando gli altri non vedevano ciò che vedeva lui, quando andavano contro le sue affermazioni o quando le argomentazioni che portavano a favore della loro posizione erano totalmente stupide. 

Non si sentiva più intelligente degli altri, semplicemente lo metteva a disagio il fatto che non riuscissero a comprenderlo. La sensazione spiacevole che provava, inoltre, peggiorava a causa della sua incapacità di esprimersi, di fare un respiro profondo, spiegarsi e far spiegare agli altri. Tutto questo lo faceva arrabbiare ancora di più.

Per questo motivo si era allontanato dalla principessa, qualche ora prima. Aveva già fatto troppe gaffe dimenticandosi di stare al suo posto, non gli sembrava il caso di rischiare di mettersi a urlare cercando di farle capire perché non poteva fidarsi di lei, o meglio, non riusciva e non sarebbe mai riuscito a fidarsi di qualcuno che non fosse stato Kaya.

Era un comportamento tossico, lo sapeva, ma era l'unico che conosceva e l'unico che il suo corpo gli permetteva di mettere in atto nel momento della discussione. Dunque, per ovviare a questo problema, si allontanava ogni volta che iniziava una.

Stressato da quanto avvenuto nelle ultime ore, sperava di potersi riposare un po', ma non appena il suo corpo iniziò a rilassarsi e il respiro a farsi pesante, i sogni presero il comando. 

Si trovava in ginocchio davanti al re di Makai. La corona di corallo gli pesava sulla testa, mentre lo osservava con serietà sul suo trono fatto dello stesso materiale degli scogli. Eppure, quello non era il re, non quello vero. Il suo viso aveva qualcosa di familiare, quegli occhi lui li conosceva, così come le rughette tra le ciglia e il labbro arricciato. 

Il re si alzò e con passo pesante si portò davanti a lui. «Dov'è?» Gli chiese piano.  

Arthur fece per parlare, ma la sua bocca era impastata e la lingua arricciata. «I-i-i…io… io non…» si azzittì accortosi che stava balbettando.

«I-i-i…» lo imitò lui. «Parla!» Urlò. «Dov'è? lei dov'è? asteria dov'è?» Delle gocce di saliva gli arrivarono sul volto.

Non fiatò. Sapeva che avrebbe balbettato e non voleva che accadesse. Strinse le labbra e scosse con forza la testa. 

Il re gli prese le guance tra le mani e gli tirò il viso verso il suo. «Mi hai deluso, figlio» 

Sentì un vuoto dentro di sé, e questo vuoto era pesante.

«Gli mostrerai come sei diventato bravo!» La voce di una bambina. 

Il profumo di biscotti al cioccolato di sua mamma si sparse all'interno della sala reale e fece sparire il re. Al suo posto apparve lei.

Fece per chiamarla, come era solito fare, ma dalla sua bocca non uscì nulla.

«Ei, respira.» Lo rassicurò lei. Si sedette al suo fianco. Lui ancora in ginocchio.

Arthur scosse la testa. Aveva paura di balbettare nuovamente. 

La bambina si alzò, la sua faccia deformata in un'espressione di rabbia, gli diede una spinta e lui sprofondò nel vuoto.

Precipitò, mentre dentro di sé prendeva forma la consapevolezza che le caratteristiche del re che tanto gli risultavano familiari, in realtà appartenevano a suo padre e nella testa il nome della bambina veniva ripetuto in un loop che sembrava infinito.

Il Matto, Il Carro, La Torre, La LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora