32. Kaya

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Mostro.

Si trovava sprofondata all'interno di una poltrona dall'odore di vecchio e muffa, la gamba destra era allungata davanti a sé, col tallone appoggiato sopra un precario sgabello di legno.

La distorsione che aveva preso mentre cercava di stare al passo degli altri era stata talmente grave che si era ritrova a terra nel giro di pochi secondi a soffocare un grido. Sul momento non sapeva come se l'era procurata, quale era stata la mossa sbagliata che aveva commesso. Ma una volta che Khaos l'aveva accompagnata all'interno della torre, tutto le fu chiaro.

Percepiva il suo potere e sentiva la sua presenza, ma di lei non c'era nemmeno l'ombra.

Khaos, Killian e Divakar avevano sistemato sopra a un tavolo di legno chiaro tutte le mappe che la ragazza aveva visto sulla nave. Cercava di concentrarsi su di loro in modo da non pensare al ginocchio che lentamente sembrava gonfiarsi come un palloncino. Aveva anche provato ad alzarsi e raggiungerli ma il dolore provato non appena aveva messo il piede a terra, l'aveva fatta ricadere sulla poltrona e soffocare un'imprecazione.

Killian le si avvicinò e le passò una mano sulla fronte madita di sudore. «Non credevo ti fossi fatta così male...» mormorò scostandole i capelli dalla fronte. «Ora andiamo a cercare se c'è un medico tra i vari turisti.»

«Prima ceniamo» lo corresse Divakar con le mani all'interno dei pantaloni marrone chiaro.

Kaya lo squadrò «non puoi aggiustarmelo con la magia?»

Divakar alzò un sopracciglio «per chi mi hai preso? Io comando la luce, al massimo posso accenderti una candela»

La ragazza sospirò e, mentre i tre uscivano alla ricerca di aiuto o di cibo, Kaya non aveva ancora capito, lasciò lo sguardo scorrere tra le pareti, come alla ricerca di Izumi. Se Divakar era il suo compagno, se ne era scelto uno proprio inutile.

Si strinse a sé e sprofondò ancora di più sulla poltrona, mentre le ore passavano, il sole calava e il freddo aumentava. Ogni rumore della casa la faceva sobbalzare, ogni piccolo scricchiolio o il vento che bussava fuori dalla finestra. I rumori dell'isola e dei turisti erano lontani. Si domandò se tra quelle che udiva vi erano anche le voci di Killian e Khaos, se stavano tornando da lei risalendo la collina o se erano ancora intenti a mangiare o a intrattenersi in uno dei bordelli, che aveva visto mentre raggiungeva la torre quella mattina.

Chiuse gli occhi e stava per lasciarsi andare al sonno, quando le candele intorno a lei si accesero all'improvviso. La ragazza si raddrizzò di scatto, storcendo la bocca per la fitta di dolore al ginocchio. «Divakar?» Chiamò. «Sei tu? Siete voi?» Nessuna risposta. Kaya sospirò e mise le mani in posizione, pronta a evocare un incantesimo, se mai ci fosse riuscita. «Chi c'è?»

«C'è che in quella posizione finirai per romperti anche l'altro ginocchio. Non ti ho proprio insegnato niente.» La voce di Izumi dietro di sé le fece l'effetto di un brivido lungo la spina dorsale. Stava per risponderle a tono quando vide le sue mani nere e sentì il suo tocco freddo sopra i suoi polsi. La strega le aggiustò la posizione delle mani, indossava dei bracciali color oro con delle pietre incastonate o pendenti che producevano un lieve tintinnio.

Kaya ingoiò la saliva e si sforzò di mantenere la voce ferma. «Prima mi fai cadere e poi mi aiuti?»

Izumi si fermò e allontanò le mani, sparendo così dalla sua vista, ma continuava a sentire la sua presenza alle sue spalle. «Te lo sei meritato»

«Non ho fatto niente se non camminare, non vedo come ho fatto a meritarmelo.»

La presa fredda di Izumi le bloccò il collo costringendola a portarsi in avanti e innalzare la schiena. «Dimentichi la tua mancanza di rispetto sopra la Babel.» La lasciò andare spingendola indietro e la ragazza sbattè la testa alla poltrona.

Il Matto, Il Carro, La Torre, La LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora