Capitolo 30.

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MI SVEGLIO IN OSPEDALE.

                                           Tre giorni dopo

Quando aprii finalmente gli occhi vidi soltanto un soffitto bianco. Diverse voci provenivano da uno spazio accanto alla stanza in cui ero.
Mi guardai intorno. Ero in una stanza d'ospedale. Il lenzuolo bianco che mi copriva il corpo, la benda che mi fasciava la spalla indolenzita...tutto mi gridava in faccia che il mondo era ritornato come prima, pieno di cose funzionanti e persone. Ma tra tutte quelle persone solo un nome mi rimbombava in testa. Non mamma, non papà. Fred...
Se ne era andato per sempre...
La parte razionale del mio cervello cominciò a tartassarmi di frasi come: 'Devi rassegnarti', 'È morto, non tornerà più', 'Fattene una ragione'; ma quella volta la parte più emotiva del mio cervello ebbe la meglio. Mi diceva che potevo fare qualcosa per salvarlo, che potevo correre via e cercare aiuto, senza curarmi della sua mano gelida e pallida stretta morbosamente attorno al mio polso per non farmi andare via.
Tutti questi pensieri però non fecero altro che farmi scoppiare a piangere lì, in mezzo alla stanza d'ospedale vuota.
Forse era colpa mia, forse potevo fare veramente qualcosa, forse ero soltanto una buona a nulla. Sì, perchè Fred aveva una vita brillante e di successo davanti, ne ero certa, ma per un capriccio di uno psicopatico era andato tutto all'aria...
Cazzo, potevo fermare in qualche modo l'emorragia, potevo...potevo...
No, ormai era morto. Era inutile darsi colpe. E con questo pensiero, che non mi convinse affatto, mi asciugai le lacrime dalle guance, quando sentii la porta della stanza aprirsi.
Le mie labbra si incresparono in un sorriso quando vidi i miei genitori farsi avanti accanto al mio letto e stritolarmi in un abbraccio.
"Oh, Diana! Ti sei svegliata finalmente! Sei stata coraggiosissima! Siamo così fieri di te!" esclamò mia madre mentre mi scoccava un bacio rumoroso sulla testa.
Risi piano e il mio viso assunse un'espressione preoccupata.
"Piuttosto voi state bene? Siete feriti? Quella dimensione era terribile, lo so, e...".
"Diana, stiamo bene. Abbiamo solo qualche graffio qua e là, ma va tutto apposto".
È quando la voce di mio padre mi arrivò alle orecchie che mi accorsi che stavo parlando a raffica. Sorrisi sollevata.
Mio padre si sedette sullo sgabello  accanto al letto e il suo sguardo diventò serio.
"Senti Diana, abbiamo sentito parlare di quel ragazzo...Fred Williams".
"Ci dispiace così tanto, tesoro".
Quando il suo nome arrivò alle mie orecchie, trassi un respiro profondo e guardai fuori dalla finestra. Non volevo che i miei genitori mi vedessero con gli occhi ludici. Tendevo a non piangere mai davanti a loro. Cercai di concentrarmi sul sole che picchiava sui tetti delle case fin troppo forte per essere...che giorno era? Guardai l'orologio digitale sul comodino: erano le dieci del mattino del 2 aprile?! Quanto tempo era passato dalla morte di Fred?
Riportai gli occhi sui volti di mamma e papà estremamente preoccupati, poi distolsi nuovamente lo sguardo.
"Mamma, ricordi quando mi dicevi sempre che l'odio è un sentimento inutile? Che odiare una persona non porta a nulla se non a rovinarsi la vita e a riempirla di rancore?" dissi io, sviluppando in quel momento un particolare interesse per le mie dita intrecciate.
Mia madre annuì e io la guardai di nuovo.
"Beh, credo che su questo ti disobbedirò. Non smetterò mai di odiare Bekval per quello che ha fatto, per avermi portato via voi, per avermi strappato dalle braccia lui. E non dirmi, mamma, che è inutile odiarlo, perchè continuerò a farlo per il resto dei miei giorni!".
Rimasi senza fiato dopo il mio discorso, sbattendo la mano sul materasso con frustrazione.
Dopo un po' guardai mia madre posare una mano sulla spalla di mio padre e mormorargli un sommesso: "Diglielo".
Papà sospirò e mi guardò con ansia.
"Vedi, Diana, io so tutto quello che c'è dietro. So di sua figlia, Isabella, e del suo amico, Arthur, l'antenato di quel ragazzo".
"Cosa?" chiesi aggrottando le sopracciglia.
"La storia di Bekval è stata tramandata per secoli nella mia generazione come una leggenda, una favoletta da raccontare ai bambini prima di andare a dormire...E la raccontavano anche a me da bambino, di come il 'terrificante' Bekval avesse fatto scomparire gli esseri umani dalla Terra e di come sua figlia e il suo amico lo avessero sconfitto con i loro poteri. Nessuno della mia famiglia credeva che...beh, tutto questo fosse realtà. Ed è per questo che hai quel libro scritto in celtico. La sera si leggeva ai bambini qualche capitolo di quel libro e poi si raccontava la storia del 'grande e temuto' Bekval".
Lo guardai spaesata, poi espressi i miei dubbi.
"Ma, quando Isabella ci è apparsa, ha detto che gli esseri umani dopo qualche tempo dimenticarono tutto quello che era successo. Come è possibile che questa storia sia stata tramandata nella tua famiglia?".
"Isabella e Arthur...non hanno mai dimenticato".
Annuii, cercando di metabolizzare il tutto.
"Diana, non prendertela con tuo padre" disse mia madre con dolcezza.
"Non sono arrabbiata con papà, mamma. Non è colpa sua. Tutti pensavano fosse una leggenda" dissi guardando mio padre con un piccolo sorriso.
Lui mi diede un pizzicotto sulla guancia e si alzò, ma prima che ci potessimo salutare, una figura entrò come una furia nella stanza e io mi ritrovai stritolata in un abbraccio di una creatura non identificata. Fu quando percepii la chioma di folti boccoli biondi coprirmi il viso, capii chi fosse quel mostriciattolo impazzito.
"O mio Dio, SEI SVEGLIA! Sei sveglia!".
"Ginny, così mi soffochi però!" dissi con sforzo, ormai consapevole che sarei morta strangolata per mano della mia migliore amica.
Ginevra si staccò di scatto e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Oh, scusa!" fece una risata nervosa, poi riprese a saltellare sul posto.
"Ti sei svegliata, cazzo!".
Si bloccò subito, accorgendosi solo in quel momento della presenza dei miei genitori, e sfoggiò il sorriso più innocente che avessi mai visto nella loro direzione.
"Salve..." mormorò.
Sorrisi divertita.
Mia madre le accarezzò una guancia.
"Siamo felici di vederti in forma, Ginevra. Sei ferita, per caso?" disse con sguardo preoccupato, esaminando la mia migliore amica con premura come se fosse sua figlia.
Sorrisi commossa.
"Sono viva e vegeta, Anna. È tutto apposto" disse Ginevra con un sorriso.
Ero sempre contenta quando chiamava mia madre per nome. Insomma, eravamo amiche da 12 anni e ormai era diventata parte della famiglia, come...come una sorella.
"Va bene, noi vi lasciamo sole" disse mio padre, dopodichè mi lasciò un bacio sulla fronte e, accompagnato da mia madre, uscì dalla stanza.
Ginevra assunse uno sguardo serio, cosa molto rara da vedere sul suo volto, e si sedette sullo sgabello.
"Ho sentito di quel ragazzo, Fred...Non so veramente cosa dire...Per salvarci tutti, ha dato la sua vita".
Mi prese la mano.
"Siete stati molto coraggiosi, tutti e due. Il mondo vi deve un favore".
Sorrisi.
"Non mi serve un favore dal mondo, Ginny. In questo momento voglio lui accanto a me...Non si meritava tutto questo".
Ginevra si sistemò meglio sulla sedia.
"Senti, io non lo conoscevo, quindi non posso sparare sentenze. Ma, da come ne parli, da come i tuoi occhi si illuminano di una luce particolare quando lo nomini...beh, mi sembra di capire che fosse una brava persona".
Abbozzai un sorriso amaro.
"Lo era...nonostante il suo essere insopportabile a volte..." dissi facendo una risatina "però è stata una luce nel buio per me negli ultimi dieci giorni. A proposito, per quanto tempo ho dormito?".
"Tre giorni".
"Cosa?"
Ginevra annuì vigorosamente.
Appoggiai la schiena al cuscino. Fred era morto da tre giorni...
Sgranai gli occhi e mi tirai subito su.
"Ginny, dimmi che non c'è già stato il funerale, ti prego!".
Ginevra sorrise rincuorante.
"Non preoccuparti, Diana. Il funerale ci sarà martedì, tra due giorni. E credo anche che i medici ti faranno tornare a casa al più presto. Prima ne ho sentito uno che diceva che forse ti rimetteranno lunedì".
Sospirai sollevata, poi il suono di una notifica mi riscosse.
Ginevra guardò il telefono alzando gli occhi al cielo.
"È mio fratello. È venuto a prendermi. Devo andare" sospirò alzandosi dallo sgabello e lasciandomi un bacio sulla testa.
Assunsi un'espressione stupita.
"Tuo fratello che viene a prenderti?! Non si è mai vista una cosa del genere!" dissi ridendo.
"Oh, mamma l'avrà costretto" disse Ginevra con un gesto disinvolto della mano.
"In effetti tua madre fa paura a tutti quando comanda qualcosa".
Ginevra rise.
"Quello è risaputo, lo sai!".
Risi, poi, prima che la mia migliore amica lasciasse la stanza, la chiamai di nuovo sorridendo.
Lei si voltò curiosa.
"Non fare cazzate" dissi.
Lei sorrise.
"Me lo dici da anni. È diventato il tuo motto ormai".
Alzai le mani in segno di resa.
"Beh, fatti due domande".
Ginevra spalancò la bocca indignata, ma senza riuscire a trattenere un sorriso.
"Stronza".
E sparì dietro la porta.

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