Capitolo 20.

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UN MIO ANTENATO È UNO PSICOPATICO.

Uno strano uomo, vestito di una palandrana nera molto vecchia, aveva il capo incappucciato. All'inizio non lo riconobbi, poi, quando il cappuccio nero come la notte gli scivolò sulla nuca, sul mio volto si pose un'espressione inorridita. Era lui.  Colui che aveva rovinato tutto. Colui che aveva strappato gli uomini dal mondo in modo brutale. Colui che voleva ucciderci a tutti i costi.
I due amici si voltarono spaventati verso la figura e Isabella esclamò: "Padre!"
Cosa? Che cazzo avevo sentito? Quell'uomo era...suo padre? Quindi, considerando il fatto che Isabella era una mia lontanissima antenata, quell'individuo psicopatico era lontanissimamente imparentato con me. Merda.

                                   *

"Padre! Che ci fate qui?!"
La voce di Isabella si incrinò non poco. Quel pazzo del padre si avvicinò a lei ed Arthur, mentre io e Fred ci avvicinammo di più per vedere e sentire meglio. Infatti, visto più da vicino, notammo che l'uomo portava scritte sul mantello due iniziali: 'P.B'. Dato che quell'uomo era il padre di Isabella, il cognome doveva essere Baker, ma il nome era ancora a noi sconosciuto.
"Voi che ci fate qui?!" sottolineò l'uomo, poi si rivolse completamente alla figlia, afferrandola per un braccio.
"Quante volte ti ho detto di non venire a queste porcherie?!"
"Ma, padre, in quella taverna ci sta gente come noi, della nostra stessa classe sociale. Che c'è di male se festeggio con loro?"
Gli occhi dell'uomo si riempirono di rabbia.
"Non dire più che quegli zotici sono uguali a noi! Noi siamo diversi da loro! Io sono diverso! E cerca di parlare meglio!"
Arthur si mise in mezzo ad Isabella e il padre e, cercando di risolvere la situazione, si rivolse all'uomo.
"Signor Percival, ce l'ho portata io. Non ve la prendete con lei".
Quello che evidentemente si doveva chiamare Percival Baker girò lentamente la testa verso Arthur, guardandolo con enorme disprezzo.
"Arthur Wood..."
Lo squadrò dalla testa ai piedi.
"Ti ho mai detto che ti odio con tutto il cuore?".
Arthur assunse un tono ironico.
"Molteplici volte, signore".
Sul volto di Percival si dipinse uno sguardo estremamente arrabbiato e visibilmente sconvolto. Afferrò violentemente il braccio di Arthur ed esclamò: "Non fare lo spiritoso con me, Wood! Posso farti rotolare giù da quel finto piedistallo in un attimo!".
Arthur fece una risatina amara, poi sbottò: "Quello che deve scendere dal piedistallo siete voi! Voi fate finta di appartenere ad una classe sociale più alta e vi vergognate della vostra posizione! Non è colpa nostra se voi non sapete stare al mondo!"
Percival rimase senza parole, inerme di fronte a tali parole. Avvicinandoci di più, perchè tanto non ci potevano vedere, potevo ancora vedere nei suoi occhi quella scintilla di odio eterno, quella fiamma di disprezzo che non ne voleva sapere di spegnersi.
Si voltò verso la figlia con una lentezza disarmante e inquietante, poi disse con voce bassa, scandendo ogni singola parola: "Tra cinque minuti ti voglio a casa. Niente storie!"
Detto questo, girò i tacchi e si diresse verso un sentiero del bosco, con il mantello nero tipicamente medioevale mosso dal vento autunnale.
"Mi dispiace, Belle".
Arthur posò la mano destra sulla spalla esile di Isabella, la quale guardava mortificata a terra.
"Io non lo capisco" disse la ragazza. "Non capisco tutto questo odio verso tutto quello che lo circonda. Io non riesco a ricordare una volta in cui mi abbia dato una carezza o un abbraccio...forse perchè non lo ha mai fatto. A volte sembra non essere...umano". A queste parole la scena cambiò e Fred ed io ci ritrovammo in un altro luogo. Eravamo in una casetta di legno, abbastanza povera e grezza. In alcuni angoli erano posti grossi sacchi di farina: probabilmente il proprietario di quella casa doveva essere un fornaio.
Le idee si fecero più chiare quando vedemmo su una sedia sgangherata era seduta una figura scura: era Percival. I capelli neri erano spettinati e bagnati, anche perchè fuori pioveva a dirotto. Osservava il vuoto con occhi vacui e si dondolava pericolosamente sulla sedia.
"È inquietante..." disse Fred.
Mi voltai verso di lui: per tutto quel tempo mi ero quasi dimenticata della sua esistenza e non mi ero accorta che si era fatto pallido in volto. Forse lo sguardo d'odio che Percival aveva lanciato su Arthur lo aveva turbato.
"Fred, mi sto spaventando. Tutto ciò non è normale".
Senza che me lo aspettassi, Fred intrecciò la sua mano nella mia in un atto di incoraggiamento. Inutile dire che mi bloccai, sentendo l'adrenalina scorrere lungo il mio corpo come una scarica elettrica.
Stavo pensando a quanto fosse bello avere la mano di Fred nella mia quando la porta sbattè, lasciando entrare Isabella.
Percival si alzò furioso, puntando l'indice ossuto contro la figlia.
"Sappi che è l'ultima volta che ti perdono!"
Isabella cercò di difendersi.
"Padre, perchè fate così? Io non ho fatto niente! Ero lì con Arthur..."
La ragazza venne subito interrotta bruscamente dal padre, che scandì con rabbia ogni singola parola.
"Non. Nominare. Quel. Ragazzo. Sai che lo odio".
"Ma voi odiate tutti, padre".
Isabella provò a mettergli una mano sulla spalla, ma lui si scansò, come se fosse schifato della sua stessa figlia. Potevo vedere gli occhi azzurri di Isabella farsi lucidi di delusione. Una piccola lacrima le rigò una guancia e un filo di voce rotta fuoriuscì dalle sue labbra rosee.
"Io vi voglio bene, padre. Perchè voi non provate lo stesso?"
Per un attimo l'espressione di Percival sembrò addolcirsi, ma la scena venne interrotta da una voce femminile proveniente da un'altra stanza che chiamava il nome di Isabella.
Lo sguardo di Percival ritornò ad essere quello di sempre e i suoi occhi ricominciarono ad essere illuminati da una luce cattiva. In quell'uomo c'era odio. Soltanto odio.
"Vai a vedere cosa vuole tua madre".
Isabella osservò il padre con occhi lucidi sulla soglia della porta della cucina. Dopo una breve pausa protestò, ma venne subito interrotta da Percival.
"Isabella, tu sai che tu ed io abbiamo dei poteri speciali, non è vero?"
Isabella ingoiò la sua saliva come se fosse amara. Evidentemente non voleva toccare quell'argomento, ma, nonostante tutto, mormorò un flebile 'sì'.
Percival agitò la mano e dalle sue dita si sprigionò subito una fiamma ardente. La luce di quel fuoco si rifletteva negli occhi azzurri di Isabella, che ora sembravano ancora più ipnotizzanti.
Poi Percival ricominciò a parlare.
"Beh, tu li usi soltanto in determinate occasioni, mentre io credo che sia più divertente utilizzarli sugli altri, anche per scopi non molto nobili.
Isabella lo guardò come schifata.
"È sbagliato, padre".
Il padre rise.
"Che cosa? Avere poteri?"
"No. È sbagliato il modo in cui li usate voi!".
Dopo alcuni secondi Percival prese una ciotola di terracotta che era stata appoggiata sul tavolo chissà quando. Se la girò e rigirò tra le mani, che ormai non 'andavano più a fuoco'.
Dopodichè la portò definitivamente nella mano sinistra, poi riprese parola.
"Vedi, basta un attimo" schioccò le dita della mano destra e l'oggetto scomparve nel nulla "e posso far scomparire tutto".
Isabella lo guardò con un'espressione di paura mista a disgusto, ma non disse nulla.
"Ora vai a vedere cosa vuole quella".
Isabella rimase spiazzata al 'quella' riferito a sua madre, ma rimase in silenzio e si recò ad aiutare la madre a preparare la cena.

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