venticinque

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Grimmauld Place, numero dodici

«Che cos'è l'ordine della fenice?» esordì Abigail

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«Che cos'è l'ordine della fenice?» esordì Abigail.

«Non qui, ragazza!» ringhiò Moody «Aspetta che siamo dentro»

Le sfilò la pergamena dalla mano e la incendiò con la punta della bacchetta. Mentre il messaggio si arricciava tra le fiamme e fluttuava sino a terra,
Abigail guardò di nuovo le case. Erano davanti al numero undici; guardò a sinistra e vide il numero dieci; a destra, tuttavia, c'era il numero tredici «Ma dov'è...?»

«Pensa a ciò che hai appena mandato a mente» disse Lupin piano.

Abigail pensò e, non appena ebbe raggiunto la parte che riguardava il numero dodici di Grimmauld Place, una porta malconcia affiorò dal nulla tra i numeri undici e tredici, seguita in fretta da muri sudici e finestre incrostate di sporco. Era come se una casa in più si fosse gonfiata lì in mezzo, spingendo da parte quelle ai lati.

Abigail la guardò a bocca aperta, poi si girò verso il fratello, che aveva la sua stessa espressione. Lo stereo al numero undici continuò a pulsare. A quel che pareva, i Babbani all'interno non si erano accorti di nulla.

«Andiamo, presto» ringhiò Moody, incoraggiando i gemelli con un colpetto sulla schiena.

Abigail salì i consunti gradini di pietra, fissando la porta che si era appena Materializzata. La vernice nera era scrostata e graffiata. Il batacchio d'argento aveva la forma di un serpente intrecciato. Non c'erano serratura né cassetta delle lettere.

Lupin estrasse la bacchetta e picchiò alla porta una volta. Abigail udì molti rumori metallici e quello che suonava come i tintinnio di una catena. La porta si aprì con un cigolio.

«Entrate in fretta» sussurrò Lupin, «ma non andate troppo in là e non toccate niente»

Abigail varcò la soglia per ritrovarsi nell'oscurità quasi totale dell'ingresso. Fiutò umidità, polvere e un odore dolciastro di marcio; il luogo dava la sensazione di un edificio abbandonato.

Si guardò alle spalle e vide gli altri entrare dietro di loro, con Lupin e Tonks che trasportavano i bauli e le gabbia degli animali. Moody era sul gradino più alto, intento a liberare le sfere di luce che lo spegnino aveva rubato ai lampioni; volarono al loro posto dentro i bulbi e la piazza brillò per un istante di luce arancione prima che Moody entrasse zoppicando e chiudesse la porta, così che l'oscurità fu completa «Ecco...» batté forte con la bacchetta sulla teste di Harry e di Abigail, che si sentì scorrere lungo la schiena qualcosa di caldo, questa volta, e seppe che l'Incantesimo di Disillusione si era interrotto.

«Ora tutti fermi, che procuro un po' di luce» sussurrò Moody.

Le voci soffocate degli altri infondevano in Abigail un tetro presagio: era come se fossero appena entrati nella casa di un morente. Udì un sibilo basso e poi vecchie lampade a gas tornarono in vita sputacchiando lungo le pareti, gettando una luce tremolante e inconsistente sulla tappezzeria scollata e sulla moquette lisa di un lungo, cupo corridoio, dove un candelabro coperto di ragnatele brillava sopra di loro e
ritratti anneriti dal tempo affollavano i muri.

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