🪲Nono capitolo 𓂀

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Era la mattina del secondo giorno sacro, Akerat comparve davanti alla porta della stanza del suo padrone e bussò appena per annunciarsi.

L'uomo era seduto su uno sgabello in alabastro accudito da molte schiave giovani che lo lavano e lo radevano con cura.
«Signore, mi avete fatto chiamare e ora sono qui».
«Bene Akerat, entra».
La donna sospirò appena entrando poi con grazia felina.
«Ditemi signore».
«Come si sono comportate le mie figlie durante la mia lunga assenza? »

Era voltato di spalle, ma la guardava con la coda dell'occhio e anche se non la vedeva bene riuscì ad accettarsi che la bellezza della donna il tempo non l'aveva sciupata.

Dopo la morte della sua prima moglie non si era più risposato, anche se non aveva rinunciato alla dolcezza delle grazie femminili. E tra tutte le donne che aveva avuto, Akerat era rimasta la sua preferita. L'aveva invitata molte volte nel suo letto quando le sue figlie erano piccole, ma con il tempo aveva preferito evitare. Entrambe le bambine erano convinte che il suo cuore e il suo corpo fossero devoti alla loro madre naturale.

Siphta era stata la migliore donna che potesse esistere, si erano scelti fin da bambini e quel sentimento li aveva accompagnati per anni. L'aveva amata con tutto il suo cuore e la sua morte lo aveva profondamente segnato.

Akerat gli era stata vicino e la sua compagnia aveva spesso reso l'assenza della moglie meno insopportabile. Molti atteggiamenti erano così simili a Siphta che temeva talvolta di confonderle.
Entrambe erano orgogliose e determinate, tanto che Akerat, piuttosto che sostituire un amore passato, accettò di farsi da parte.

Era passato molto tempo da allora, ma in realtà nessun sentimento era cambiato.

Quando le donne ebbero finito di prendersi cura di lui, l'uomo si alzò, ancora nudo e si avvicinò alla schiava di sia figlia. Akerat avvampò; Imhotep senza abiti era sempre stato un bello spettacolo da osservare.

Era un uomo sulla trentina, dalla carnagione molto scura e i muscoli ben delineati sotto la pelle. La sua forma fisica era dovuta al fatto che il più delle volte aiutava in prima persona i suoi operai. Akerat cercò in ogni modo di non spostare la vista da terra ed evitando il corpo nudo che aveva davanti per non sembrare preda della lussuria.
Dopo una breve pausa la donna rispose alla domanda.

«Le sue figlie sono sempre delle egiziane modello. Sono solo un po' preoccupata per Mine signore» Imhotep tornò serio e preoccupato. «Mine? Sicura che tu non ti stia confondendo con Erdie? »

«No padrone, conosco benissimo le due ragazze. È Mine che mi preoccupa. Il suo cuore l'ha portata ad amare qualcuno con cui non potrà avere futuro».

L'uomo spalancò gli occhi «Vado subito a parlare con mia figlia! »
«No, Imhotep! » lo fermò la donna prendendolo da un braccio prima che l'uomo afferrasse un abito per coprirsi e uscire dalla stanza.

Tutte le altre schiave si guardarono smarrite, non avevano mai assistito ad un'insolenza del genere e temevano una punizione esemplare per la loro compagna. Un castigo che però non arrivò.

«Mine si fida di me, non permettere che lei perda la fiducia in me» continuò la donna.
Lui la guardò per qualche istante, poi rilassò i muscoli tesi «Chi è costui che ha rubato il cuore di mia figlia? »
Akerat gli raccontò tutto ciò che sapeva su Hapy, assicurando il suo padrone che quel ragazzo non avrebbe mai osato far del male alla ragazzina. Che l'amore di Mine era ampiamente e devotamente corrisposto.

Nella voce della donna vi era però malinconia e l'uomo capì subito il motivo. «Akerat, sai che se le condizioni fossero state diverse, tu adesso saresti mia moglie» le disse con dolcezza, accarezzandole il viso con la premura di un amante.

«Sì Imhotep, abbiamo già affrontato questo discorso tempo addietro».
I loro occhi si incontrarono, ma la donna li distolse subito. Imhotep era un vizir, lei una schiava.
Lui le aveva spesso ripetuto che quel suo status se l'era guadagnato e non voleva rischiare di perderlo. E sposare una schiava non era una mossa saggia.

E la stessa cosa avrebbe dovuto fare Mine, rinunciare al suo amore per salvaguardare la sua famiglia. E sapeva anche che non sarebbe stato facile, quando si tratta del cuore, nulla è mai semplice.

L'uomo non resistette, sentì il bisogno di baciare Akerat, ma appena le loro labbra si sfiorarono lei si scostò.
«Farò in modo che vostra figlia Mine dimentichi quel ragazzo, padrone» concluse la donna uscendo dalla stanza senza voltarsi indietro appena in tempo prima che una lacrima le scendesse lungo il viso.

Imhotep non le corse dietro anche se il dolore che serbava nel petto era enorme. Mine avrebbe dovuto davvero dimenticare quel ragazzo prima di ridursi come lui e convivere con una rinuncia così grande.

 Mine avrebbe dovuto davvero dimenticare quel ragazzo prima di ridursi come lui e convivere con una rinuncia così grande

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