🪲Quarantesimo capitolo 𓂀

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Il Lord attese che Hetepheres si risvegliasse nella piramide rossa che suo marito aveva fatto costruire per il vampiro.
La donna aprì gli occhi scuri e restò qualche istante a fissare il vuoto scuro sopra di lei. Era spaesata, confusa. La sua mente non riusciva a riesumare alcun ricordo.

I suoi occhi scuri possedevano lo stesso sguardo nuovo che ebbe sua figlia agli inizi della trasformazione: spaventati, spaesati, immersi in un mondo che non avevano mai visto.
La realtà diventava così diversa vista attraverso le pupille di un immortale.

Il Lord la guardava, notò quanto fosse cambiata, quanto tutte le rughe che avevano infestato il suo viso da umana si fossero appianate rivelando un volto anziano, ma estremamente affascinante. Non avrebbe mai immaginato che renderla un'immortale avrebbe significato donarle anche una bellezza fuori dal tempo.

«Nutriti» le disse soltanto, lanciandole ai piedi un umano annichilito dal suo potere. Hetepheres si avventò sulla preda come una leonessa affamata, e non lo lasciò finché non lo ebbe prosciugato.

Quando i rumori umidi smisero di uscire dalla bocca della vampira, Hetepheres alzò il viso verso l'uomo che torreggiava sopra di lei. Lo vedeva finalmente con un dio, la luce filtrava fra i suoi capelli argentati diffondendo deboli riflessi azzurri e gli occhi felini risplendevano come topazi su quel viso marmoreo.

«Adesso onora il resto del patto. Io ti ho dato l'immortalità, tu adesso devi darmi l'amuleto».
La donna si alzò in piedi, il sangue le imbrattava il viso e le vesti logore e sporche.
«Come saprò che dopo non mi ucciderai?» gli domandò, la bocca che trasudava sangue in maniera oscena.
«Non lo farò. Tu non hai detto a tuo figlio di avere l'amuleto perciò io manterrò la mia promessa. Avrai salva la vita».
«L'ho nascosto in un luogo che sarei stata certa restasse un segreto».

La donna gli parlò della sua tigre da compagnia, un felino ormai anziano che dormiva sempre nella sua stanza. L'animale non dava mai confidenza a nessuno che non fosse la sua padrona e gli eunuchi schiavi della donna si limitavano a pulire timorosi i suoi escrementi mentre si nutriva poco distante.
«Cerca nell'orbita del suo occhio destro. La troverai l'amuleto che vuoi».

Il Lord sorrise: quella donna era geniale. Molto probabilmente come vampiro sarebbe riuscita a cavarsela e questo lo preoccupò. L'esistenza di Hetepheress come secondo vampiro di stirpe umana avrebbe segnato lo sfaldamento di un patto che il Lord aveva stretto con qualcuno millenni prima.
Però qualcosa in lui, gli consigliava di risparmiare quella vita, sussurrandogli che sarebbe tornata utile proprio per i segreti che conosceva.

«Mi fiderò delle tue parole» le disse dopo una piccola pausa. Le posò una mano sulla testa e applicò il suo potere su di lei. Obbligò il suo volere a condurla al suo palazzo, fingere la sua morte e poi scomparire oltre la grande distesa di mare che l'avrebbe condotta in un continente sconosciuto. Lì avrebbe vissuto nell'ombra finché il richiamo del suo creatore non la obbligasse a ritrovare sua figlia Erdie e a rivelarle tutto ciò che sapeva.

L'ex regina d'Egitto mantenne l'intero accordo, il suo sarcofago sarebbe stato rinvenuto vuoto e sigillato tremila anni dopo.
Il vampiro uscì dalla sua piramide per addentrarsi nel palazzo reale e recuperare la gemme. La donna era stata di parola, l'amuleto si trovava nell'orbita vuota dell'anziano animale.

Quella parte di edificio per fortuna non era caduto sotto il peso della sua rabbia quando aveva liberato sua figlia dalla gabbia creata dal faraone Kufhu.

Sorrise pensando al volto di quel ragazzetto. L'amuleto che voleva era a pochi passi da lui.
Lasciò il palazzo dirigendosi verso la grande statua del leone che puntava il suo volto a oriente, avrebbe nascosto l'amuleto lì, dove sua figlia lo avrebbe trovato quando sarebbe giunto il momento.

Nella grande sala dei documenti, il Lord si concesse un istante per osservare ancora quella pietra. Dall'ultima volta che l'aveva vista erano trascorsi settemila anni; ormai aveva iniziato a credere che fosse ormai andata perduta. E invece adesso era fra le sue mani.

Nascose l'amuleto sulla corona della dea Maat, fiero del fatto che a prescindere della conseguenza a cui l'avrebbe portato quel gesto, aveva fatto la cosa giusta. Giusta per sua figlia che tanto amava, per ridarle il passato che le aveva strappato.

***

Cheope si trovava in una piccola stanza del suo palazzo, di fronte a lui vi era l'immagine di Erdie; l'aveva fatta dipingere con accuratezza dai migliori operai.

«Ti ritroverò» disse rivolgendosi all'immagine che venerava quasi ogni giorno, accarezzando quelle labbra rosee e piatte. «Perché tu sei mia, sei mia Erdie».
Una guardia bussò lievemente alla porta, giusto un tocco sommesso.

«Entrate» disse il faraone, attendeva le sue guardie già da molto tempo.
«I nostri omaggi, vostra maestà» dissero, inchinandosi e abbassando la mano destra fino al ginocchio.

«Giungete qui nuovamente con brutte notizie? » neanche si era voltato per guardare il volto cereo dei suoi soldati.
«Abbiamo perlustrato ogni caverna nubiana, ma non abbiamo trovato la donna che cercate».
«Vi siete spinti fino alla fine dei cunicoli? » domandò nuovamente il faraone, questa volta infilzando gli uomini con i suoi occhi neri.
«Non potevamo maestà, sono troppo profondi... »
«Siete solo sterco di vacca! » li aggredì ruggendo, agguantando con una mano la sua frusta reale.

«Tornate lì e perquisite ogni singola galleria giungendo anche all'ingresso della Duat! » continuò l'uomo alzando la sua frusta e scagliandola con uno schiocco sulle guardie impaurite. «Adesso andate! »

Cheope aveva lo sguardo sbarrato di un folle, il viso imperlato di sudore. «Se non perlustrate con cura ogni angolo del mio regno vi farò decapitare, bruciare e spargerò le vostre ceneri per tutte le strade di Kemet! » concluse.
Le guardie si inchinarono in silenzio, terrorizzate da quella minaccia e uscirono.

Il faraone guardò verso il soffitto, in direzione di una delle finestre della stanza. «Troverò tua figlia, Lord! » strillò verso il cielo in tramonto. «La troverò perché sono io l'unico dio fra gli uomini! »
Il Lord, nascosto dietro le fronde di una palma, ascoltò quelle parole e sorrise. "Ti insegnerò che un dio non è nulla senza un popolo."
Dalle alte palme un falco simile all'Horus dorato, prese il volo scagliandosi contro il cielo.

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