🪲Ventiduesimo capitolo 𓂀

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Erdie lesse mentalmente la stele:

" Chi ode le mie parole, gli rattristerà il cuore. Io ero la giovane figlia di Imhotep, leggera come la piuma che presto peserà il mio cuore.
La mia devozione si è sempre espressa per gli dei e per la mia famiglia. La mia vita è stata breve, costellata di piccole gioie che mi sono state concesse.
Ho strappato la mia amata sorella dal triste destino a cui io invece sono stata consegnata. E ho lasciato dietro di me ogni cosa che ho amato, lasciando vuoti i cuori di chi mi ha amata.
Loro adesso vorrebbero terminare il loro cammino, mia sorella ancora urla il mio nome abbracciata al suo corpo come unico sostegno.
Ora prego gli dei di condurmi altrove dal resto delle anime morte dove vivrò, di appellarsi alla mia innocenza per sopperire alla disfatta del mio corpo. Non ho peccato nella mia vita."

Per ultimo vi era stato inciso il nome accostato all'appellativo "figlia di Iside".

La figura di Mineptah rappresentata come una dea spiccava luminoso e colorato. Il disegno cercava di riprodurla come se fosse ancora viva, come se bastasse parlarle e lei avrebbe risposto, avrebbe riso.
Ma Mine non avrebbe mai più parlato, non avrebbe mai più sorriso: era solo colore steso sapientemente su una fredda parete bianca. Solo colore.

Erano giunti con un carro fino all'entrata sotterranea del piccolo sepolcro, poi suo padre l'aveva delicatamente presa fra le braccia e condotta lungo il colonnato camminando senza difficoltà sulla terra sabbiosa.

Giunti all'entrata della tomba Erdie aveva insistito per poter camminare da sola. Il corpo le doleva ad ogni movimento, ma non aveva mollato e, appoggiandosi al padre, aveva percorso ogni passo che la separava da quel epitaffio.
Il male che provava era nulla in confronto a quello che sua sorella aveva sopportato.

Krio era dietro di loro, con in mano delle ceste votive che avrebbe lasciato subito sotto. Le mani le tremavano visibilmente, gli occhi chiari ancora così gonfi di lacrime.

Per lei non c'erano tombe o sepolcri in cui recarsi e lasciare doni, per lei non c'era neanche più una terra dove tornare*.

Imhotep aveva ornato il sepolcro con splendidi dipinti dai colori sgargianti. Gli dei erano stati rappresentati benevoli verso la giovane ragazza morta. Vi erano anche molte statuette in oro di gatti, gli animali che amava più di tutti e accanto ad esse grandi scorte di cibo e di acqua.

Era magnifico. La luce del sole morente rendeva i disegni ancora più realistici e vivi facendo scintillare l'oro nella stanza.

Pregarono con accanto ad sacerdote fino al comparire della dea Nut nei cieli**.
Guardò per un'ultima volta il ritratto di Mine, sfiorando dapprima la roccia fredda e dopo posandole un delicato bacio sulla guancia.
Non riuscì a non piangere ancora una volta, quel freddo contro la sua pelle era insopportabile.

Erano sempre state insieme, sempre unite. E quel gelo che aveva ora accanto era insopportabile.

«Non volevo lasciarti andare...» sussurrò aggrappandosi alla roccia. «Non merito però il tuo perdono. Se non ti avessi costretta ad uscire, se non mi fossi intromessa nel vostro amore, tu adesso saresti ancora con me...»

Imhotep le bació il capo chiudendo gli occhi con forza. C'era troppo dolore, e non era neanche più così sicuro di riuscire a sopportarlo.
Aveva provato con tutte le sue forze a resistere, ma lo sconforto lo stava sopraffacendo. L'unica speranza a cui si era aggrappato era il trasferimento a Iunu. Sperava che lasciando i morti a Za'Net quel dolore sarebbe rimasto con loro.

Erdie invece non voleva andar via: la prerogativa del viaggio le appariva come un ennesimo tradimento, un abbandonarla ancora una volta ad un destino di solitudine.
Decise che quando la morte sarebbe giunta anche su di lei voleva che la sua figura fosse aggiunta a quella della sorella per poter tornare al suo fianco.

Intanto il Ka, la forza vitale di Mine, poteva nutrirsi dell'effige che era stata realizzata sulla stele finché anche il nome di Erdie non gli avrebbe fatto compagnia. E non sarebbe trascorso molto tempo.

***

Un'ora dopo erano di ritorno a casa, lasciare la tomba di Mine fu come abbandonarla nuovamente.
Il cuore di Imhotep e di sua figlia era straziato.

Erdie entrò nella sua stanza come se fosse la prima volta dopo la morte di sua sorella, portata in braccio da suo padre. Era tutto talmente silenzioso che lei poteva sentire indistintamente perfino i propri respiri.

Guardò ancora il letto vuoto, immutabile da quel maledetto pomeriggio.
Erano passati più di sei mesi dalla sua morte ma Mine non aveva ancora lasciato quella casa. O almeno, non lo aveva fatto il suo pesante ricordo.

Iniziò a piangere per l'ennesima volta. Il cuore le opprimeva la trachea impedendo all'aria di raggiungere i polmoni. Il dolore le attanagliò ogni parte del corpo senza darle tregua. Sua sorella era morta, lei ora era sola. Sola per la prima volta.

Ogni cosa in quella stanza la soffocava.
Le lacrime la trascinarono nel sonno e si addormentò al suolo. Nessun sogno l'avrebbe attesa, lasciandola nell'oblio del suo incubo reale.

Note autore: * Krio è un'antica Minoica, popolo che abitava Creta nel III millennio a

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Note autore:
* Krio è un'antica Minoica, popolo che abitava Creta nel III millennio a.C.
Non si sa come i Micenei chiamassero se stessi, essendo di loro rimaste principalmente delle testimonianze greche ed egizie.
Non ho trovato fonti che dichiarino la nascita della scrittura nel 3000 a.C. in quella zona, ma vi erano contatti commerciali con l'Egitto.

**Si credeva che la via lattea, all'epoca visibilissima poiché la terra era prima dell'inquinamento luminoso, fosse la dea del cielo.

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