🪲Ottavo capitolo 𓂀

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Mine entrò di soppiatto nel giardino di casa, alcune guardie russavano poggiate ai lati degli alberi o delle colonne colorate.
L'alba si stava distendendo sulla città di Za'Net in fretta, illuminando i resti di una popolazione sopraffatta dai festeggiamenti.

Neferet, la gatta prediletta di Mineptah, dal manto nero come la notte, le si avvicinò miagolando affamata. Il numero dei gatti era aumentato e quelli dei topi visibilmente diminuito ed essendo Neferet la più timida di tutti i felini tenuti nella dimora signorile, finiva per mangiare sempre poco.

La ragazza la prese in braccio e la portò dentro. Scoperchiò un cestino e le diede dei pezzi di carne cotta che la gatta mangiò con appetito.
«Brava Neferet, mangia tutto prima che arrivino quegli ingordi dei tuoi fratelli».
Continuò ad accarezzare la sua bestiolina finchè sentì Krio dire: «Signorina aspetti! Non le ho ancora tolto tutte le gemme dalla schiena! »
Stava parlando con Erdie che nel frattempo cantava e ballava felice, volteggiando nella loro stanza.

Mine si poggiò alla porta, osservando la sorella ballare e ridere euforica. Era così bella con il viso disteso come uno spirito del Nilo, e il cuore leggero come una piuma.
Akerat arrivò con un grande cesto dove andavano conservate le parrucche sacre e i due nemes, sorridente come accadeva spesso durante quei giorni di festa.

«Oh Mine, eccoti. Come mai hai gli abiti bagnati? »
«Ho fatto delle abluzioni al fiume insieme a papà e gli altri sacerdoti, per ringraziare il dio Hapy».
Aveva imparato a mentire così bene che si sentiva quasi in colpa. E il farlo con Akerat le faceva ancora più male.
«Eri con tuo padre?» chiese ancora la donna, un po' scettica.
«Sì sì» concluse in fretta la discussione la ragazza, entrando in fretta nella sua stanza.
Di rimando Akerat sospiró pesantemente, evitando di continuare un discorso che avrebbe potuto portare a galla verità scomode.
E questo perché era abbastanza sicura che Imhotep non era stato con sua figlia dopo la cerimonia.

Non appena Erdie vide sua sorella si bloccò, le si avvicinò e le afferrò le mani facendola roteare insieme a lei.
«Perché sei così felice sorellina? » le chiese l'altra assecondando i saltelli danzanti della sorella.
«Hesyra mi ha detto che vuole sposarmi! » si fermò e riprese fiato, ma senza lasciare la presa.

«Mi sembra magnifico! Raccontami tutto! »
Per una volta fu Erdie a tempestare di parole la sorella, raccontandole di quel primo bacio con il ragazzo che tanto desiderava e di come lui le avesse proposto di diventare sua moglie.

Hesyra l'aveva attesa nel tempio, le aveva chiesto di seguirlo fin davanti alla statua del dio.
"Conoscendoti so che già immagini perché ti ho chiesto di essere qui con me" le aveva detto con un sorriso compiaciuto.
"Beh adesso però voglio sentirlo dire dalla tua bocca".
Hesyra allora l'aveva baciata con passione, e le aveva chiesto di diventare sua moglie. "

Lo raccontava con una naturalezza ed un entusiasmo senza pari.
«Papà ne sarà entusiasta! » disse ancora Mine, con un tono sconsolato forzatamente celato.

In cuor suo quella notizia l'aveva spezzata e non riusciva ad essere davvero felice per Erdie come avrebbe dovuto, questo perché tra lei e Hapy non sarebbe mai potuto essere lo stesso.
Eppure si sforzò di mascherare tutto. Sua sorella sembrava così diversa dal solito, non solo perché l'henne le rendeva la pelle ancora molto scura, ma perché quella felicità genuina aveva come creato una bolla rosa attorno a lei tanto che mai si sarebbe accorta del vero stato d'animo dell'altra.

Mine si recò nella sua stanza, Noferet era rimasta nell'atrio.
Gettandosi sui cuscini morbidi ripensó intensamente ai tocchi di Hapy sulla sue pelle, quelle mani gentili da cui senza pudore, ambiva di più.
La verità era che neanche lei era più una bambina, il sogno di diventare solo una grande sacerdotessa non le bastava più. Ogni fibra del suo corpo ambiva sembrava chiederle di cedersi a lui, senza preoccuparsi di nessuna conseguenza.

Decise che solo a lui avrebbe donato la sua innocenza, solo con lui sarebbe diventata una donna. Soprattutto perché ormai non aveva nulla da perdere.

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