🪲Trentaseiesimo capitolo 𓂀

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Il giorno successivo il Lord venne a conoscenza dell'accaduto e prese l'importante decisione di revocare l'aiuto soprannaturale che aveva perpetrato alla corona. Per anni aveva aiutato  le truppe egiziane per proteggere il territorio dai beduini e facilitato la costruzione dei monumenti anche dopo la morte del suo caro amico Snefru.

La sfrontatezza del sovrano aveva stancato il Lord sin dal principio, era snervato dal soprassedere a molte sue spudoratezze e in quel modo avrebbe mantenuto anche l'onore di sua figlia. Il faraone non accettò di buon grado l'insulto, ma era sicuro di sé poiché sapeva di avere molti altri assi nella manica.

Una sera Khufu era dietro le grandi porte in granito del tempio di Erdie, chiamandola a gran voce. Forse perché stufa della caciara, la vampira scese e aprire la porta dagli schiavi.
Dopo quell'estenuante salita e svariate maledizioni a coloro che la progettarono, il faraone si trovò nella grande stanza della vampira, adornata come la camera reale di una regina.

Aveva ancora il respiro pesante, i polmoni necessitavano di un quantitativo d'aria enorme. E quella stanza ne sembrava sprovvista. E dello stesso avviso erano le guardie che lo seguivano poco distante.

Senza neanche presentarsi e con una gran dose di spavalderia il faraone penetrò nel tempio, bloccato subito dai possenti ruggiti delle grandi tigri bianche di Erdie. Non osava più neanche respirare.

«Bastet! Kephri! Ankh! Tornate ai vostri posti! » tuonò la voce della vampira echeggiando terribilmente in tutta la grande sala. I tre felini, come gattini spaventati, abbassarono le orecchie e tornarono a sdraiarsi sui loro cuscini in lino bianco, accanto a cumuli di ossa umane.

L'improvviso silenzio consentì al sovrano di poter udire altri rumori. All'interno del tempio rimbombavano i sospiri di qualcuno a cui la sorte aveva destinato il compito di sfamare Erdie.
Seduta sul suo sarcofago, era concentrata a succhiare sangue dal collo di una donna ancora viva. Tra le sue braccia ella giaceva pallida come una pezza. Solo quella preda poteva sapere cosa si provasse nel sentire la vita prosciugarsi lentamente.

Alla vista di quella scena Khufu rimase paralizzato. Era la prima volta che osservava un vampiro nutrirsi e la scena gli trasmetteva un flusso di sensazioni contrastanti: paura e fascino, orrore ed eccitazione.

Passarono dei secondi o forse dei minuti scanditi da poche gocce scarlatte che scendevano dai corpi della preda e del predatore come un amplesso sacrilego, ma alla fine le braccia della donna crollarono lungo i suoi fianchi.

«Hai fatto molta strada per venire qui. Vuoi chiedere ammenda per il tuo gesto? » interruppe il   silenzio con parole impiastrate di sangue.
Il faraone si schiarì la voce. «Sì, ammetto di essere qui anche per chiedere perdono» mentì abilmente, ma non abbastanza da ingannare completamente Erdie.

«L' "anche" cosa introduce?» domandò lei. Questa volta cercò di essere più attenta ai movimenti dell'uomo.
« Sono giunto qui per dirti che io, figlio di Ra, voglio avere te nel mio harem e far crescere nel tuo grembo il mio primo erede» Sembrava quasi convinto delle sue parole e di fronte a tanta ignoranza Erdie rise di gusto.

«Non dovresti ridere di un mio desiderio».
La vampira fece cadere la donna ormai morta al suolo lasciando che le tigri la trascinassero al lato per smembrarla. Ormai priva di coperture lasciò che il suo volto, imbrattato e schizzato di sangue, apparisse al faraone in tutto il suo macabro orrore.

«Un vampiro non può avere figli, può solo concedere l'immortalità ad altri umani. E in ogni caso non giacerei mai con nessun mortale. Voi siete solo cibo».

Gli occhi dell'uomo divennero cupi. «Tu verrai con me» fu l'ultima cosa che disse.
Erdie non riusciva a capire da dove quell'umano tirasse fuori quella sfronta sicurezza. Non poteva essere solo il considerarsi "figlio degli dei" a donargli tanta saccenteria.

Dalla cintura Khufu prese una scatolina che aprì velocemente.
La vampira si sentì invadere istantaneamente da una forza rovente che sembrava comprimerle il cervello e da cui non riusciva a sottrarsi. Intanto lui estrasse dall'interno un ciondolo dove appeso vi era un serpente senza coda che circondava una grossa gemma circolare di colore viola pallido.

La raggiunse scandendo ogni passo nel dolore che aumentava fra le membra di lei. Il ciondolo che tratteneva a mezz'aria brillava piegando in due il corpo straziato della ragazza. Dolori così acuti li aveva provati solo fu trasformata.

Incominciò ad urlare, cercando di sfuggire ai raggi dolorosi della gemma, ma non riusciva a scappare. Ad ogni mossa il dolore aumentava e aumentava. Le sembrava che tutto il suo corpo prendesse fuoco e si strappasse. Se questo significava morire voleva che tutto si consumasse in fretta.

«Questo è un piccolo dono che mi hanno fatto delle creature che tuo padre conosce bene e da cui sta disperatamente fuggendo. Adesso puoi appartenere a me».

Erdie svenne e mentre la fine del dolore la trascinava in un sonno profondo udì numerosi passi circondarla.

Erdie svenne e mentre la fine del dolore la trascinava in un sonno profondo udì numerosi passi circondarla

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