Capitolo 1

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Apro gli occhi e fisso la sveglia sul comodino. Non è stata lei a svegliarmi questa mattina, i numeri rossi mi dicono che avevo ancora dieci minuti di sonno. Accendo l'abat-jour di fianco al mio letto e guardo la mia camera come se fosse quella di un'estranea. Sono sorpresa di essere nel mio letto, anche se non saprei dire perché o dove altro mi aspettassi di essere a quest'ora del mattino.

Mi alzo e vado in bagno, mentre passo davanti allo specchio un luccichio attira la mia attenzione. Per un attimo sono sicura di aver visto qualcosa di metallo alla base della gola, sembrava un ciondolo dorato. Torno indietro, accendo la luce e mi osservo il collo, sposto i capelli castani che sono una massa arruffata. Non c'è nulla. Lo sguardo mi cade sulla mano con cui ho spostato le ciocche, c'è qualcosa sull'interno del polso, sembra una voglia. La avvicino per guardare meglio, mi sembra il disegno stilizzato di un albero, la cosa strana è che non riesco a ricordare se l'ho sempre avuta. La tocco con la punta delle dita.

Potremmo dare vita a un futuro peggiore di quello che stiamo cercando di evitare.

Non mi importa.

Allontano i polpastrelli dalla pelle come se mi fossi scottata. Quei pensieri da dove venivano?

La voce che ha pronunciato la prima frase era femminile, non era la mia, ma è familiare eppure sono sicura di non averla mai udita prima. La seconda era la mia, ma non lo sembrava, non del tutto. Sono sicura di aver pronunciato quelle tre parole molte volte nella mia vita, ma le due frasi mi sono sembrate collegate come se fossero state parte di un dialogo.

Fisso la voglia, la tocco di nuovo, ma questa volta non succede nulla. Nessun scambio di voci nella mia testa, solo io che me ne sto in piedi davanti allo specchio a fissare esitante qualcosa che probabilmente è sulla mia pelle dalla nascita.

Il suono della sveglia, che proviene dalla mia camera, mi riscuote da quella specie di trance, non l'ho spenta e ora corro a farlo. Lo smartphone sul comodino vibra appena zittisco la sveglia, mi siedo sul letto e lo prendo in mano. È un messaggio di Matteo, strano non è mai stato un tipo mattiniero, di solito non mi scrive mai prima delle undici.

Oggi pranzo con i miei. Vengo a prenderti a scuola.

Fisso quelle due frasi, non so se siano più strane come siano state scritte, Matteo che scrive due frasi per intero senza emoticon e con tanto di punto a separarle, o cosa dicono. Pranzo con i suoi?! Dopo sei ore di scuola. Non so nemmeno cosa dovrei mettermi per conoscere i suoi genitori, ho diciotto anni, ci conosciamo da tre mesi, non siamo ancora andati oltre qualche bacio e lui vuole già presentarmi mamma e papà come se fossimo prossimi all'altare?

La vibrazione mi comunica l'arrivo di un altro messaggio, forse si è reso conto di quello che mi ha scritto e vuole dirmi che stava scherzando. Lo apro contiene due sole parole: Ok, piccola?

Fisso quelle due parole chiedendomi quanto ci ha dato dentro con l'alcol ieri sera. Tutto quello che so delle cene, o in questo caso dei pranzi, di presentazione, a parte quello che mi hanno raccontato i miei genitori, viene dai film romantici che guardo con Jessica e Chiara. Nei film indossano sempre vestiti eleganti e tacchi alti, ma non posso mica andare a scuola vestita così!

Confermo e appena ho inviato la mia risposta fisso il messaggio, non so perché mi sembrasse la cosa giusta da fare. Non sprizzo di entusiasmo all'idea di fare una conoscenza ufficiale, ma non trovo nemmeno un motivo valido per non farlo. Mal che vada scroccherò un pranzo gratis che non sia a base di cibo surgelato o riscaldato, come faccio di solito. Non può essere più imbarazzante di quando ho fatto scena muta all'interrogazione a sorpresa di storia.

Mi metto un paio di jeans e un dolcevita carino, Matteo dovrà accontentarsi, non sono il tipo che si fa sei ore di scuola in gonna perché lui ha deciso all'ultimo minuto di allestire un pranzo ufficiale. Mi trucco velocemente prima di fare colazione e uscire di casa.

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