Entro come una furia nella camera di Caterina e mi siedo sulla poltrona, anche se di solito la prozia di Matteo mi invita a prendere posto accanto a lei sul letto. Sono contenta che stavolta non sia fuori in giro per il giardino, non avrei sopportato di dimostrare la mia debolezza in pubblico. Abbasso lo sguardo a fissare le mie mani in grembo.«Che cosa sono io?» mormoro, sento le lacrime premere per uscire. È stata una settimana d'inferno, non riesco a conciliare la mia vita di qua con quella dell'altro mondo.
Mia madre continua a trattarmi con i guanti bianchi, neanche fossi una disturbata appena uscita da un ospedale psichiatrico. Non ha preso bene il fatto che mio padre mi ha accompagnato agli allenamenti lo stesso giorno che sono uscita dall'ospedale. E ora mio padre la segue a ruota, di sicuro è riuscita a fare sentire in colpa anche lui. Non mi lasciano in pace da sola e, quando sono costretti a farlo, trovano innumerevoli deboli scuse per chiamarmi ed essere sicuri che vada tutto bene. Sono diventati assillanti e io non so più come farlo notare senza ferirli.
Lorenzo non è contento degli allenamenti di tiro con l'arco. Mi rimprovera di continuo dicendomi che non mi impegno abbastanza, che non voglio davvero vincere. Se solo potessi dirgli che faccio pratica ogni notte e che non c'è niente di più motivante di tirare per proteggere la propria vita o quella delle persone che si amano. Non sono diventata pigra e svogliata tutt'a un tratto, sono solo stanca!
Stanca perché i sogni sono diventati impegnativi, non si dissolvono una volta che apro gli occhi andando nel dimenticatoio. Rimangono a preoccuparmi in quello che all'inizio credevo fosse il mio mondo, mentre penso meno spesso ad altro quando sono di là. Certo, di cosa avrei potuto preoccuparmi?
Dei dispetti che Serena mi avrebbe fatto il giorno successivo? Di compiti e verifiche? Sono sciocchezze in confronto al terrore di svegliarmi e scoprire che un altro dei miei amici è morto e io non sono stata al suo fianco per almeno tentare d'impedirlo.
Ho paura di guardare negli occhi Caterina e trovarvi solo fastidio, scoprire che mi considera solo una mocciosa piagnucolosa che sarebbe stata definita come la prima volta che mi ha visto: «strega», ma mi costringo a farlo. C'è dell'irritazione, ma è solo un accenno che tenta di venire a galla fra la comprensione e la tristezza. Forse lei può trovare una parola per quello che sono che non sia «errore».
Mi prende la mano con la sua. «Non esiste un nome per quelli come te, perché sono molto rari, e al tempo stesso ne esistono infiniti. Tutti presi in prestito dalla letteratura fantastica, quello che mi piace di più è viaggiatrice tra i mondi, ma forse quello più adatto è anima perduta fra le pieghe dell'universo.» sorrise. «Troppo lungo anche se poetico, vero? Allora perché non lo restringiamo in "anima perduta"? Oppure "lost soul" giacché adesso usare parole inglesi fa molto cool?» Mi fa l'occhiolino e capisco che sta scimmiottando Matteo, nel tentativo di tirarmi su di morale, non posso fare a meno di sorridere. Però lost soul mi piace sul serio, è proprio vero che basta dare un nome a una cosa per sentirla più normale e parte di sé.
Ripenso all'altro motivo che mi ha condotto da lei, com'è possibile che adesso i ricordi «sbagliati» affollino la mia mente?
«È perché non sei più così certa del mondo a cui vuoi appartenere.» mi risponde quando le giro la domanda.
«Ma perché non mi sono mai accorta prima di tutto questo? Le due vite sono rimaste come separate finora.» rifletto quasi fra me.
«Perché non erano così diverse, al punto che i ricordi dell'una potevano sostituirsi, con volti diversi, in quelli dell'altra. Adesso la vita in quel mondo ha preso una piega che questa non può seguire, non sono più intercambiabili.»
La guardo. «È così complicato. Mi sembra di star distruggendo entrambe.»
«Lo so.» dice solo la prozia di Matteo e sembra capire sul serio. Si china ad aprire un cassetto del comodino. Ne estrae un quaderno che mi porge. «L'ho conservato in memoria di quello che è successo. Ora credo sia giusto che lo abbia tu.»
Esito ad accettarlo, colta da un dubbio. «É» mi interrompo a disagio, ma Caterina annuisce, «Non posso.» dico. «É un ricordo che appartiene a te.»
Lei prende la mia mano e posa quel libretto sgualcito sul mio palmo. «Sono sicura che vorrebbe che lo avessi tu. Non aveva una guida che l'aiutasse e ha fallito. Con il suo aiuto tu puoi riuscire e quello che è successo non sarà stato vano.»
Messa su questo piano, non posso più rifiutare. Ricambio lo sguardo di quegli occhi acquosi fissi nei miei, annuisco e chiudo le dita su quelle pagine piene di ricordi. Non posso fare a meno di pensare a chi le ha scritte e sento un groppo in gola al terrore di aver davanti il suo stesso destino. Ne guardo la prima pagina, c'è scritta un'unica parola come se fosse una firma: Itak. Curioso suona come un nome, o forse un nomignolo.
«Era come permetteva solo a me di chiamarlo e solo in privato.» dice Caterina, mi sta fissando come se si aspettasse da me una qualche reazione. Sembra tesa, ma al tempo stesso trepidante.
«Suona come un nome da eroe nordico.» commento, non sapendo bene cosa si aspettasse da me, e lei sorride triste.
«Sì, un eroe mancato.» conviene, anche se mi sembra in parte delusa, come se avesse sperato e al tempo stesso temuto che dicessi qualcos'altro.
Comprendo che è venuto per me il momento di lasciarla da sola, la nostra conversazione ha toccato un tasto doloroso e la mia presenza diventerà invadente, se decido di trattenermi ancora. Spero di trovare davvero quello di cui ho bisogno fra queste righe, mentre ripongo il quaderno con cura nella borsa prima di uscire dalla stanza. Mia madre è in corridoio, sta parlando con un altro visitatore.
«Katy, tesoro, ti raggiungo fra un minuto. Aspettami in atrio.» mi dice e io annuisco mentre lei torna a parlare con il signore davanti a lei.
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Progetto Alexander
Fantasy[in revisione] Katy ha diciotto anni e non crede ci sia nulla di speciale in lei. La sua vita scorre normale fino a uno strano sogno più vivido degli altri in cui fa parte di un progetto militare denominato Progetto Alexander. Crede sia tutto frutto...