Capitolo 4

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Mi sveglio con la sensazione del terreno duro sotto di me, al posto del materasso su cui mi sono distesa, e di una presenza al mio fianco. L'avambraccio a cui ho dato, a quanto sembra, il compito di essere il mio cuscino, anche se non ricordo di averlo nemmeno pensato, è intorpidito e gelido, nonostante il tessuto che lo avvolge. Tendo ogni muscolo, cercando di capire dove posso essere finita e soprattutto se la persona vicino a me sia amica.

«Ce ne hai messo di tempo a svegliarti.» commenta una voce maschile in tono divertito vicino al mio orecchio.

Mi alzo a sedere di scatto, le mani strette a pugno, sento la ferita al braccio protestare per quel movimento repentino, sotto la benda che la fascia. Mi sfugge un gemito involontario a quella fitta di dolore.

«Calma.»

Delle dita sfiorano la mia pelle attraverso il tessuto, percepisco nettamente la scia di calore che sembrano lasciarsi dietro, e mi ritraggo, mentre il loro proprietario parla di nuovo, ma mi rendo conto che esse volevano solo spingermi a distendere il braccio destro.

«Così la farai sanguinare di nuovo. Non ti può fare più niente ora, stai tranquilla.» continua la voce maschile vicino a me. Non sono certa di voler sapere a cosa si riferisce, ma mi impongo di rilassarmi. Chiunque sia il giovane al mio fianco, se non mi ha ucciso fino a quel momento, posso considerarmi abbastanza al sicuro in sua compagnia.

«Non saresti dovuta restare da sola. Ti sei persa?»

Sfrutto la sua voce per cercare di mettere a fuoco il viso del mio interlocutore alla luce del sole nascente. Annuisco per prendere tempo mentre cerco di ricordare che cosa ci faccio qui. E soprattutto dov'è il qui in questione.

Il volto davanti ai miei occhi è incorniciato da capelli biondi, lunghi fino alle spalle che hanno qualcosa di selvaggio nonostante i boccoli che formano, sulla pelle bianca quasi lattea risaltano due occhi neri come una notte priva di stelle. Sembrano freddi e distanti finché, accorgendosi del mio sguardo fisso, non si scaldano in un sorriso che coinvolge anche le labbra piene. Ha un volto che sembra quello di un angelo, se non fosse per la tonalità così scura delle iridi, che le rende quasi indistinguibili dalle pupille. È inquietante quel nero quasi lucido in degli occhi umani, per un attimo poi mi sembra che le iridi brillino di luce propria, ma forse è colpa della luce del sole. C'è qualcosa di familiare in lui, come se lo avessi già visto da qualche parte.

La mia mano sfiora un arco e una faretra mentre mi alzo a sedere. Le riconosco come miei proprio grazie ai raggi solari che li illuminano e mi rilasso. Sapere di avere qualcosa che conosco e che avrei saputo usare in un momento di pericolo mi fa sentire meno sperduta, anche se non mi è venuto in mente nulla che possa aiutarmi a capire cosa ci faccio in un bosco all'alba e per di più armata come se dovessi allenarmi con Lorenzo al tiro con l'arco.

Mi sono addormentata in camera mia e per quanto possa essere diventata di colpo sonnambula, non posso aver camminato così tanto da uscire dalla città e ritrovarmi in una foresta che sembra fuori dal mondo. Deve essere un sogno, molto realistico ma solo un sogno.

Mi rendo conto che non ho ancora spiccicato una parola, tutto quello che sono riuscita a fare è stato rimanere seduta per terra a fissare il giovane di fronte a me, di sicuro adesso mi considera un'idiota. Lascio perdere le domande sul dove sono o come ci sono arrivata e mi concentro su di lui.

Allungo una mano come un automa. «Sono Katherine» inizio, ma mi correggo subito, quando mi accorgo di avergli detto il mio nome per intero. «Katy.» dico in tono più sicuro.

Lui la prende e la stringe, presentandosi a sua volta. «Dimitri. Lieto di esserti stato utile, Katy.»

Sorrido, non ricordo come sono arrivata nel bosco attorno a noi, ma perlomeno un punto di riferimento ora ce l'ho.

«Credo di aver visto il tuo gruppo ieri, vuoi che ti riaccompagni da loro?» mi chiede.

Annuisco mentre l'accenno a un gruppo mi porta alla mente lo sprazzo di un ricordo. C'è un motivo se mi trovo lì, anche se in questo momento mi sfugge e, come mi ha appena ricordato questo ragazzo, non sono venuta da sola. Mi sono allontanata dagli altri perché ero arrabbiata con... qualcuno d'importante per me che all'ultimo minuto non è venuto. Mi concentro per far uscire dalla nebbia il suo nome, ma non ci riesco. Lo sguardo mi è caduto di nuovo su Dimitri, che sembra in attesa di una mia mossa, e tanti saluti a tutto il mio impegno per rammentare con chi fossi arrabbiata. Il giovane, vicino a cui mi sono svegliata,  sembra essere a suo agio in questo bosco come se ci avesse vissuto da sempre.

Appunto numero uno: mai avere un gran bel figo nelle vicinanze quando si cerca di concentrarsi, è una causa persa. A meno che l'intenzione non sia quella di fissarlo a bocca aperta, nel qual caso l'obiettivo viene raggiunto con il massimo dei voti e fin troppo in fretta.

Faccio spallucce, fra un po' sarei stata di nuovo con i miei compagni e, se non mi fosse venuto in mente cosa dovevo fare o dove andare, avrei chiesto aiuto a loro, che di sicuro non hanno la memoria a breve termine come la mia.

La mia guida improvvisata si solleva sulle ginocchia per aiutarmi ad alzarmi, allungo la mano per accettare la sua, ma la mia attenzione viene attratta da un luccichio che dondola appena sotto la sua gola. Dimenticandomi del suo palmo teso, le mie dita toccano quello che si rivela essere un ciondolo, il cambio di posizione del giovane ha permesso ai raggi del sole di sfiorarne la superficie metallica. Il metallo è stranamente tiepido sotto le dita come se fosse vivo, aguzzo lo sguardo, quando mi accorgo che c'è un simbolo inciso sulla sua superficie, per vederlo meglio. Ha qualcosa di familiare, come se lo avessi già visto da qualche altra parte.

«Bello. Cosa significa?» chiedo mentre mi poso il ciondolo sul palmo della mano.

Alzo lo sguardo quando non ricevo risposta e trasalisco, vedo le sue labbra muoversi a un palmo dal mio viso, ma la sua voce non arriva alle mie orecchie. La paura che mi invade a quella constatazione viene inglobata da una forte sonnolenza.

Cerco qualunque appiglio mentre sento le palpebre chiudersi contro la mia volontà. Il mio corpo sta scivolando verso il terreno come dotato di vita propria. Voglio urlare, chiedergli di darmi un pizzicotto, qualunque cosa che mi aiuti a non precipitare in quell'abisso nero che mi sta inghiottendo, ma nessun suono esce dalle mie labbra.

Per un attimo sento un braccio caldo circondarmi la schiena con l'intento di sorreggermi, poi anche quella certezza svanisce e cado in un buio senza fine.

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