Capitolo 48

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Fisso la luce tremolante del lampione di fronte alla mia camera che penetra da una fessura della persiana imponendomi di calmarmi. Solo che più me lo dico e più sento l'ansia attanagliarmi lo stomaco. Sono ormai le due e mezzo, anzi le due e trentatré per essere precise, ho controllato per l'ennesima volta sul cellulare solo pochi secondi fa.

Sono quattro ore che cerco di dormire. Ho provato di tutto: musica rilassante, latte caldo, a cui ho aggiunto persino il miele, anche se non mi piace, sperando che mi aiutasse a cadere nelle braccia di Morfeo. E, dopo aver esaurito anche il rimedio di contare le pecore, non so più cosa fare per riuscire a prendere sonno. Non ho mai sofferto d'insonnia finora, non posso cominciare proprio adesso! Non avrei potuto risvegliarmi nel recinto, se non mi fossi addormentata in questo mondo!

Continuo a lambiccarmi il cervello alla ricerca di rimedi per l'insonnia, ma non riesco a rispettarne la prima regola: stare calma. Mi viene in mente un bagno caldo magari con i sali profumati e mi illumino. Sto quasi per correre a riempire la vasca quando mi ricordo che ora è. Avrei svegliato tutta la casa, vanificando gli sforzi che ho fatto fino a quel momento per tranquillizzare i miei genitori, oltretutto non è neanche detto che funzionasse.

Scivolo fuori da sotto le coperte e mi avvicino allo zaino che ho lasciato vicino alla scrivania. Forse è successa la stessa cosa al fratello di Caterina e nel suo diario ha descritto il rimedio che ha funzionato con lui. Torno a letto con il quaderno fra le mani e inizio a sfogliarlo fiduciosa, da quello che ho potuto leggere fino a quel momento, la sua esperienza è stata simile alla mia in modo a tratti persino inquietante, solo declinata al maschile.

Itak, come dice di chiamarlo affettuosamente la prozia di Matteo, parla di un momento d'insonnia nel suo diario. Ci trovo pagine scritte in preda alla stessa angoscia che attanaglia me in questo momento per non riuscire a raggiungere la sua vita nell'altra dimensione.

Le leggo con attenzione sperando di trovarmi sulla pista giusta fino a ritrovarmi a uno stacco, l'ansia finisce lì e nella pagina successiva scrive che l'insonnia lo ha abbandonato. Nessuna indicazione sul come il sonno sia tornato, non ha ritenuto importante trascriverlo nel suo diario. Maledizione!

Lancio a terra il diario, è quello il punto fondamentale che cerco e non è stato scritto. Avrei fatto meglio a non cercare la soluzione in quel diario, adesso oltre all'angoscia si è aggiunta l'ira per una persona morta da decenni che ha tralasciato un dettaglio per me importantissimo.

Ora è successo quello che ho desiderato quando la mia vita è uscita in modo brusco dai binari della normalità. La porta che mi conduce all'altra mia esistenza si è chiusa lasciandomi bloccata di qua.

Affondo le dita nelle ciocche arruffate in cui ho ridotto i miei capelli mentre la mia mente si impegna per evocare scenari sempre peggiori di quello che sarebbe potuto succedere in questo momento ai miei amici. Avrebbero potuto essere costretti a fronteggiare un'orda di demoni proteggendo il mio corpo inerte. Elisa non avrebbe mai permesso agli altri di abbandonarmi, anche se ci siamo lasciate arrabbiate, e tantomeno Alec credo. O forse sono già morta, per questo non riesco a tornare, non c'è più un altro corpo ad attendere la mia anima.

Non posso nemmeno contare sull'aiuto di Caterina, anche tralasciando il «dettaglio» che ormai siano quasi le tre di notte. La prozia di Matteo sarebbe partita fra circa tre ore insieme a un'altra decina di ospiti della casa di riposo per una gita-pellegrinaggio e non sarebbe tornata prima di una settimana. Per fortuna sono andata a trovarla ieri pomeriggio, così almeno ho potuto salutarla. Se solo avessi saputo cosa sarebbe successo questa notte le avrei chiesto aiuto allora, invece ora avrei dovuto cavarmela da sola, se solo avessi saputo come.

Se vestirmi e truccarmi con cura per andare a dormire può essere considerato un gesto stupido da una mente razionale, quello che ho intenzione di provare a fare adesso sarebbe stato come minimo giudicato folle dalla stessa. Ma sono al limite della preoccupazione e i tormentati scenari su quello che i miei amici possano vivere in quel momento nel recinto mi danno la spinta necessaria a rischiare il tutto per tutto. Non mi ferma nemmeno il pensiero che, se mi avesse visto all'azione, avrei terrorizzato mia madre di nuovo, dopo tutto l'impegno che ci ho messo a tranquillizzarla.

Scendo le scale a piedi nudi per non far rumore e mi dirigo verso la porta che dà sul giardinetto del retro, poco più di uno spiazzo di terra battuta con quattro alberi, uno per ogni angolo. Quando scivolo oltre la soglia, rabbrividisco, ho svuotato tre cassetti per colpa di un ricordo e per lo stesso motivo sto rischiando il congelamento. Secondo il pensare comune i riti magici riescono al chiaro di luna e le sacerdotesse sono quasi sempre mostrate abbigliate con una lunga veste bianca.

La luna fuori c'è, anche se per essere piena le manca qualche pezzetto. Mi convinco che può bastare e per rimpiazzare la veste candida ho scovato quella camicia da notte color panna che è stata un regalo, mai usato, della mia nonna materna. È il massimo che posso fare e posso solo sperare che basti.

Abbandono lo stretto sentiero di pietra che attraversa il giardino per avventurarmi sulla terra ricoperta da un velo di brina. Rabbrividisco di nuovo, ma dopo alcuni passi mi sento meglio, come se stessi facendo la scelta giusta. Non sento più freddo ai piedi, ma quello forse è perché si sono già congelati per via della «mite» temperatura di quella notte di febbraio, ossia sotto lo zero.

Mi avvicino all'albero più vicino, il secondo a sinistra, che ha parecchi giovani rami alla mia portata e ne stacco uno. Ne stringo un'estremità fra le dita e mi avvicino al centro del giardino. A quel punto se qualche dubbio sull'assurdità di quello che mi appresto a fare mi è rimasto, deve essere morto assiderato. In compenso il ciondolo che mi ha donato Dimitri ha iniziato a scaldarsi, quasi voglia incoraggiarmi.

Mi chino e inizio a disegnare un cerchio abbastanza grande da poter stare in piedi nel suo centro, accorgendomi subito che tracciarlo sulla superficie della terra gelata non è facile come farlo su un foglio di carta. Stringo la presa sul legno anche con l'altra mano impuntandomi sul disegnare qualcosa che assomigli almeno a un cerchio. Poi passo a tracciare all'interno di esso una stella a cinque punte.

Non si vede molto alla luce della luna, ma deve essere venuto fuori un pentacolo parecchio incerto. Me lo sarei fatta bastare, mi disfo del ramo che ho usato e spuntato a forza di trascinarlo sulla terra gelata, prima di mettermi al centro della stella.

Alzo il viso al cielo, a fissare quella luna quasi piena e prego qualunque sia l'essere soprannaturale che guida le esistenze degli esseri umani di permettermi di tornare al fianco di Elisa. Non succede nulla a parte il fatto che inizia a scendere la foschia, ma non lo interpreto come un segno che la mia preghiera sia stata udita.

Una voce femminile si insinua nella mia mente nello stesso momento in cui avverto il ciondolo d'argento, che qui sembra d'oro, scaldarsi. È familiare, sembra la stessa che ho sentito nella testa quando ho toccato la strana voglia e che mi ha aiutato nello scontro con i demoni capitanati dal ragazzino senza palpebre. Pronuncia un'unica parola: Tamara.

Penso solo dopo al fatto che anche la madre di Dimitri porta quel nome, in questo momento mi aggrappo a esso come alla mia unica ancora di salvezza e invoco l'aiuto di Tamara, chiunque sia la donna che intende la voce. Un allarme scatta facendomi sobbalzare e mi affretto a coprirmi le orecchie con le mani, ma non è molto d'aiuto.

Rientro in casa e torno di corsa in camera mia smettendo di preoccuparmi dei possibili scricchiolii degli scalini di legno, tanto la sirena che ulula copre ogni rumore che potrei fare. Mi infilo sotto il piumone raggomitolandomi in posizione fetale per scaldarmi, ora che l'allarme ha spezzato l'atmosfera sento gli effetti dello stare fuori in camicetta da notte.

Ci metto parecchio a smettere di tremare, ma quando ci riesco, mi alzo dal letto per togliermi la camicia da notte e rimettermi il pigiama. Spero di riuscire a prendere sonno questa volta e soprattutto di riuscire a svegliarmi accanto a Elisa.

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