Capitolo 46

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Avverto una presenza vicino a me, forse il demone è tornato nonostante l'argento e prendo una terza freccia prima di alzare lo sguardo.

«Ancora?» esclamo con un verso irritato. Questa volta giuro a me stessa che avrei fatto in modo che il colpo fosse davvero mortale.

Mi alzo in piedi incoccando il dardo. Deve essere un demone di livello superiore a quello dell'umanoide che ho ferito e messo in fuga pochi minuti fa, quello che ho davanti. Sono contenta di non aver ancora scagliato la freccia che mi ha regalato Dimitri. Quest'illusione sembra così reale, a differenza dell'altra può contare anche sulla presenza del mio regalo al vero Dimitri per confondermi.

Strano che il suo viso non tremoli davanti ai miei occhi, disturbato dall'influenza del medaglione. L'espressione stupita in quelle iridi d'ebano sembra così vera anche quando le sue dita allentano con circospezione la presa sull'elsa dello spadone e lo appoggiano a terra, come per scongiurare una reazione brusca da parte mia.

Mi chiedo se, una volta colpito, il mostro si sarebbe mostrato almeno a tratti per quello che è. Prendo la mira pronta a scoccare, aspettando che si comporti come gli altri due con cui ho già avuto a che fare. Questo è il momento in cui cercano di convincermi a non colpire, ma questo demone non lo fa. Si limita a restare immobile a fissarmi attendendo che la mia freccia lo colpisca.

All'improvviso comprendo che cosa c'è di strano che rende tutto così irreale: c'è silenzio, troppo silenzio. Il ciondolo d'argento che porto al collo non emette alcun brusio di avvertimento contro l'umanoide che ho di fronte.

Smetto di tenere tirata la corda dell'arco, ma senza lasciare la presa sulla freccia per impedire che parta. Ho compreso cosa vuole dirmi il silenzio dell'argento che porto al collo.

«Dimitri.»

Faccio un passo avanti mentre arco e freccia sono dimenticati nella presa non più tanto sicura delle mani abbandonate lungo i fianchi. Non posso fare a meno di pensare che mi sono sbagliata a giudicarlo. Forse dopotutto ha intenzione di rischiare e io conto qualcosa di più di una ragazzina da proteggere ai suoi occhi.

Lui si china per appoggiare due frecce, che non mi sono accorta avesse in mano, a terra e recupera lo spadone, prima di indietreggiare al mio successivo passo avanti. È attento a mantenere la stessa distanza tra noi e io sono tarda a capire cosa voglia dirmi con quel comportamento.

Mi fermo comprendendo che è inutile continuare ad avanzare, non si sarebbe lasciato avvicinare da me. Sarebbe rimasto sempre sul limite del mio campo visivo, come un miraggio, visibile ma irraggiungibile per quanto io mi impegnassi.

Gli volto le spalle con decisione, anche se il gesto mi costa molto, non avrei continuato a corrergli dietro come una stupida. Irrigidisco le spalle e stringo gli occhi quando li sento pungere. Non mi sarei inginocchiata a implorarlo di restare, anche se una parte di me avrebbe voluto farlo.

Se non ha il coraggio di affrontare i suoi demoni, quasi ridacchio istericamente a quel modo di dire pensato proprio all'interno di questo recinto, per me, lo avrei ignorato anch'io. Disubbidendo quasi subito a questo proposito, mi giro solo per rendermi conto che non c'è più nessuno a cui voltare le spalle.

«Ti odio.» sento la mia stessa voce pronunciare, senza essermi resa conto di averlo nemmeno pensato. Il mio tono dice anche troppo quanto il comportamento sfuggente di Dimitri mi abbia ferito.

«É meglio così.»

Sembra che la sua voce non provenga da un punto preciso intorno a me, è come se è tutto il bosco a parlare.

«Allora avresti dovuto pensarci prima!» esplodo, mentre la rabbia torna a inglobare il dolore per quel rifiuto. «Prima di comparire a complicarmi la vita, codardo!»

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