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Il fuoco acceso del camino era l'unica fonte di luce e di calore nella stanza e, mentre fissava la fiamma viva e alta bruciare la legna lentamente, Simone era seduto sul tappeto davanti ad esso come ormai ogni sera da quando era andato via da palazzo.

Sospirò passandosi una mano tra i capelli e, portando la ginocchia al petto, si strinse le gambe con le braccia e piegò la testa in avanti poggiando la fronte sulle ginocchia come a cercare un po' di conforto.

Non il conforto che vorrei in questo momento. Erano ormai cinque giorni che non pensava ad altro che a Manuel. A Manuel, a suo padre, a quei due ragazzi chiusi in cella.

Le parole del re continuavano a rimbombare nella sua testa mentre le immagini di lui e Manuel che si baciavano, che ballavano, che ridevano si susseguivano a ritmo di "deviati" "depravati" "sodomia" "criminali" "crimine contro Dio".

Simone non era stupido, era cresciuto in quel mondo e sapeva bene che due persone dello stesso sesso non potevano stare insieme ma, fino al suo compleanno, nessuno glielo aveva sbattuto in faccio con così tanta violenza - e soprattutto quando aveva capito che forse... che forse deviato ci si sentiva un po' anche lui.

Le lacrime iniziarono a cadere silenziose sulle sue guance e, mentre il corpo tremava, Simone si chiedeva perché. Perché a lui, perché doveva essere così, perché non poteva amare come gli altri, perché il suo amore doveva essere visto come sbagliato e schifoso.

«Altezza?» la voce di Stewart lo obbligò ad alzare la testa. Si asciugò le lacrime con la manica della camicia bianca prima di guardare l'uomo che aveva appena fatto capolino sulla porta.

«Mi dispiace disturbarla, altezza. So che non vuole vedere nessuno ma c'è... - Stewart si fermò appena notò gli occhi rossi del ragazzo e il volto pieno di una tristezza che non aveva mai visto in quel ragazzo tanto gentile e umile per le sue origini regali - Lord Ferro è alla porta principale. Insiste per vedervi, non vuole dirmi il motivo però.»

Il volto di Simone si illuminò di colpo ma, subito dopo, il velo di tristezza ricadere su di lui. «Non voglio vedere nessuno, mi sembrava di esser stato chiaro.»

«Lo è stato, principe. Ho provato a mandarlo via ma ha detto che non se ne andrà finché non gli avrete dato udienza, mi è sembrato molto scosso.» Simone tremò a quelle parole.

Guardò fuori dalla finestra vedendo gli alberi flessi dal vento e la pioggia battere sulle vetrate del palazzo. «Fatelo entrare. Preparategli una stanza per la notte, è troppo rischioso tornare in città con la carrozza con questo tempo e-»

«È venuto a cavallo in realtà, altezza.» Simone chiuse gli occhi immaginandosi il ragazzo sotto la pioggia sul dorso di un cavallo sfidare pioggia e vento per vederlo e il primo sorriso dopo giorni di pianti e tristezza spuntò sulle sue labbra.

«A maggior ragione. Dategli la stanza di mio fratello che è la più calda e portategli dei vestiti asciutti da indossare.» Il ragazzo si girò verso la porta che sapeva portare alla stanza di Jacopo dove aveva dormito lui in quei giorni come se l'aura del gemello potesse dargli un po' di conforto.

«Se dovesse chiedere di raggiungervi, cosa dovrei riferirgli?» chiese Stewart vedendo il volto del principe più disteso, «Che lo raggiungerò io a tempo debito.» l'uomo annuì e, dopo aver fatto un veloce inchino, uscì dalla stanza lasciando che piombasse nuovamente nel silenzio.

Simone si alzò ritirandosi nella sua camera, la sua vera camera, vedendo il letto perfettamente intatto e sedendocisi sopra prendendo un respiro profondo.

Devo bere.

-

«Non avete capito, io devo vedere il principe!» disse per l'ennesima volta mentre una guardia lo scortava in una stanza illuminata da centinaia di candele. Il ragazzo si fermò appena ci mise piede sentendo distintamente il profumo di Simone che riempiva la stanza.

The Prince's LoverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora