Capitolo 2.2

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Quando il cellulare vibrò nella sua tasca, Ares imprecò. Una telefonata alle tre di notte non era niente di buono.

«Vieni subito alla villa. Due coglioni hanno fatto casino. C'è da ripulire.»

Nient'altro. Ma purtroppo sapeva a cosa si riferiva e conosceva già la procedura.

Parlò con Sergio, avrebbe pensato lui al locale finché non fosse tornato, poi prese il minivan e partì. A quell'ora di notte gli ci vollero solo venti minuti per attraversare la periferia e salire sulla collina fino alla villa.

Davanti all'entrata secondaria trovò Rosco, era al telefono. Prese un borsone dal bagagliaio lasciandolo aperto, ci si sedette e aspettando la fine della telefonata si accese una sigaretta.

Rosco andava avanti e indietro, fumava nervosamente, non riusciva a inserirsi nello sproloquio di Taro, che era incazzato nero, Ares poteva sentirlo anche senza vivavoce.

«Sì... non ti preo'... Sì... No no... Ho chiamato... Sì lo so... Ho... Ho chiamato Ares... Sì... Sì glielo... glielo dico... Sì...»

Quando finalmente riattaccò, Ares lo guardò indifferente asciugarsi il sudore dalla fronte e riprendere fiato accendendosi un'altra sigaretta. Borbottò qualcosa prima di rivolgersi a lui.

«Sono stati due nuovi. Sono venuti una volta la settimana scorsa. Taro non li voleva perché sa che sono delle teste di cazzo, ma hanno pagato tre volte il prezzo normale e questo ovviamente l'ha convinto.»

«Non me ne frega nulla. Dimmi solo dove.»

«Primo piano, stanza verde.»

Ares buttò la sigaretta a terra e si incamminò verso l'interno.

Quando passò accanto a Rosco, quello lo afferrò per un braccio.

«Vedi di non fare come l'ultima volta.»

Ares guardò infastidito la mano sul suo braccio. Poi, con un gesto rapido la agguantò e la torse in una posizione innaturale.

«Vedi di farti i cazzi tuoi, visto che non hai le palle per farlo tu.» Aspettò che Rosco cedesse in una supplica prima di lasciarlo andare spingendolo con tanta forza da farlo cadere. Poi entrò.

Salì al primo piano. La stanza verde era chiamata così perché la parete più grande era affrescata con uno splendido paesaggio bucolico, con prati, pascoli, boschi e colline. In mezzo a tutta quella natura, adagiato sul grande letto matrimoniale riposava il corpo di una ragazza.

Era nuda, mani e piedi legati a dei lacci che spuntavano da sotto il materasso, molti lividi le decoravano il corpo, e il viso che fino a poche ore prima doveva esser stato bello ora si stava trasfigurando nel pallore della morte. Attorno al collo aveva una sciarpa di seta blu, la cui bellezza svaniva al pensiero che fosse stata l'arma che aveva interrotto quella breve e sfortunata vita.

Ares si avvicinò al letto infilandosi dei guanti di lattice. Liberò i polsi e le caviglie della ragazza, disponendo braccia e gambe in una posizione più naturale. Allentò la sciarpa intorno al collo, quasi come se farlo potesse farla respirare di nuovo, ma non la tolse, per lasciare coperto il collo livido e straziato. Dal borsone che aveva con sé prese dell'intimo femminile, una maglietta e dei pantaloni di morbido cotone. Rivestì il corpo con gesti rudi ma attenti, parlando sommessamente a delle orecchie che non potevano più sentire. Spostò il corpo sul divano vicino al letto, cacciò le lenzuola dentro il borsone e se lo caricò in spalla, riprese il corpo tra le braccia e tornò al piano di sotto. Quel vigliacco di Rosco ovviamente si era già dileguato. Meglio così. Rivedere la sua brutta faccia gli avrebbe solo fatto venire voglia di spaccargliela una volta per tutte.

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