Capitolo 5.3

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La guardò per qualche secondo, chiedendosi come mai non si stesse divincolando per sfuggirgli. Sembrava che lo stesse studiando. Non volendo sottostare a quell'analisi, sempre tenendola per i fianchi la allontanò da sé staccandosi dalla parete e riprendendo a torreggiare su di lei, che fece un passo indietro.

«Che cazzo stavi facendo?»

Lotti guardò di sfuggita la finestra. In una frazione di secondo decise che non gli avrebbe reso le cose facili.

«Prendevo una boccata d'aria» il tono ironico fu sottolineato da una smorfia della bocca.

Lui, spiazzato, dapprima si accigliò, poi però si fece sfuggire un mezzo sorriso divertito.

«Non ti arrendi proprio mai, eh? Ma lo sai che sei davvero una rompicoglioni?»

Lotti affilò lo sguardo, offesa, piantandosi le mani sui fianchi.

«Vaffanculo. Lasciami andare!»

Ares sospirò platealmente mandando gli occhi al cielo.

«Ti ho già detto che per oggi rimarrai qui. Non ti riporterò a casa adesso» era calmo ma irremovibile.

«Ma perché?» chiese, esasperata da tanta calma. Era sicuro che avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.

«Perché non ne ho voglia» la provocò, facendo spallucce.

La vide diventare rossa in viso e stringere i pugni. Stava per esplodere; Ares si chiese se sarebbe riuscita a trattenersi, e per un attimo sperò di no. Sarebbe stato divertente.

La osservò per qualche secondo; colse nei suoi occhi la lotta tra il buon senso che le impediva di aggredire un uomo come lui e il suo carattere forte che invece avrebbe voluto affrontarlo. La tolse dall'indecisione oltrepassandola per uscire e limitandosi a suggerirle di tornare a letto. Si sentì colpire alla schiena da qualcosa che poi cadde a terra. Si fermò, poi si voltò lentamente. Lei lo guardava ancora rabbiosa, a terra la saponetta stava rotolando sotto il lavandino.

La guardò duramente e fece due passi verso di lei, che però non perse il suo cipiglio agguerrito. E fu allora che lei gli sentì fare una cosa che non credeva possibile: Ares scoppiò a ridere. Fu una risata breve, ma così spontanea che stupì tanto lei quanto lui, che non ricordava quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva riso in quel modo.

Approfittando del fatto di averla lasciata per la prima volta senza parole, la prese delicatamente per un polso e la portò nella camera. La fece sedere sull'unica sedia, prese dal frigo due bottiglie di birra, si sedette sulla coperta a terra, accese due sigarette e gliene porse una insieme alla birra che aveva stappato con l'accendino. Lei prese sigaretta e bottiglia continuando a guardarlo ancora leggermente stranita. Quando lui alzò la sua birra verso di lei in una specie di brindisi, lei replicò il gesto meccanicamente e bevve.

Per un paio di minuti non dissero niente. Mentre fumava a occhi chiusi con la testa appoggiata al muro, Ares poteva sentire su di sé lo sguardo della ragazza che continuava a osservarlo con fastidiosa ostinazione. La ignorò fino a quando la sentì muoversi. Socchiuse leggermente le palpebre per scrutarla senza farsi notare. Vide che ora i suoi occhi erano fissi sul posacenere, sui pezzetti rossi del cartoncino che le aveva preso dalle mani quando l'aveva trovata addormentata nel suo letto. Gliel'aveva sottratto perché sapeva che se la persona sbagliata avesse scoperto che l'aveva preso, sicuramente avrebbero chiesto a lui di farle passare la voglia di impicciarsi, e non gli andava proprio di doversi occupare anche di quello.

Non sapendo di essere osservata, la ragazza iniziò a recuperare i pezzetti rossi. Li estrasse uno a uno con delicatezza per non far cadere fuori la cenere e i mozziconi, li scosse con perizia per ripulirli, e invece di nasconderli o riprenderseli, li ricompose come fossero un puzzle e si limitò a fissarli. Ares era certo che non avesse realmente bisogno di rileggere le poche cose che c'erano scritte e si chiese come mai si fosse fissata tanto su quell'affare.

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