Capitolo 12.1

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Fece un giro molto ampio così quando arrivò allo Stardust il ghiaccio era sciolto da un po' ed erano le due e mezza. Nel parcheggio sul retro dell'edificio erano rimaste solo la sua Golf e le macchine degli altri che erano stati portati via in manette. Alle porte erano stati messi i sigilli della Polizia.

Rimase nascosto a guardare l'intera area per evitare di incappare in qualche agente rimasto lì a piantonare il locale, ma dopo dieci minuti non aveva ancora visto nessuno, così decise di rischiare, sperando che nel perquisire la sua stanza non gli avessero portato via le chiavi della macchina.

Strappò i sigilli dall'uscita di sicurezza ed entrò; si diresse verso la sua stanza muovendosi con cautela, tutti i sensi pronti a reagire in caso di necessità. La porta della sua stanza era stata sfondata e avvicinandosi sentì che dentro c'era qualcuno. Si mise con le spalle al muro accanto alla porta. Non aveva niente che potesse usare come arma, ma non avrebbe lasciato correre.

Quando sentì i passi spostarsi dalla stanza al piccolo bagno, si portò all'interno facendosi scudo con ciò che rimaneva della porta.

Quando l'intruso tornò nella stanza gli dava le spalle, non si accorse di lui. Era la rossa.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Qualunque cosa stesse facendo, doveva bloccarla prima che si accorgesse di lui, magari ci aveva ripensato ed era lì per arrestarlo. Vide che aveva la pistola nella fondina, doveva agire prima che si accorgesse di lui o avrebbe potuto reagire sparandogli.

Non indossava più il giubbotto antiproiettile, ma aveva ancora la sua maledetta divisa, coperta dalla pettorina su cui spiccava in grande la scritta "POLIZIA" che sembrava prenderlo in giro per l'ennesima volta. Si sentì scuotere dalla rabbia.

Con due passi silenziosi la raggiunse, le passò un braccio intorno al collo e con l'altro le girò un polso dietro la schiena strappandole uno strillo di sorpresa e dolore. Non strinse troppo forte, era talmente magra e leggera da fargli credere di riuscire a trattenerla senza alcuno sforzo. Ma aveva fatto male i suoi calcoli.

La rossa usò il braccio libero per dargli una gomitata nelle costole che gli fece allentare la presa. Poi ruotò leggermente abbassandosi e così liberò la testa. Infine lo colpì di nuovo col gomito sullo sterno e quando le lasciò andare il polso si allontanò quanto bastava per roteare la gamba e colpirlo col piede allo stomaco mandandolo a sbattere contro la parete. Poi si mise subito in posizione di difesa, finché non si accorse di chi aveva davanti.

Si osservarono per un lungo istante in silenzio. Ares si rese conto che lo stava studiando, cercando di valutare il rischio di un'altra possibile aggressione, ma probabilmente era giunta alla conclusione che non sarebbe successo niente perché abbassò le braccia. In quel momento notò il suo borsone sul letto e capì che la rossa ci stava mettendo dentro le poche cose che gli appartenevano.

«Che cazzo ci fai qui? Solo perché porti quella divisa pensi di poter fare come ti pare? Vattene. Non ti...»

«Puoi continuare dopo?» lo interruppe fingendosi scocciata. «Non abbiamo molto tempo. Prendi la tua roba. Sbrigati!»

«Di che parli? Dove vorresti andare? Se pensi che verrò con te sei pazza. Non voglio avere niente a che fare con te» le si avvicinò fino a sovrastarla con la sua mole, avvicinando il viso a pochi centimetri dal suo. «Vattene. Ho avuto pazienza finora ma non durerà ancora a lungo, quindi sparisci, non farti più vedere.»

La fissò duramente, ma lei sostenne il suo sguardo accigliandosi.

«Bel modo di dire grazie.»

«Grazie? Per cosa?» ruggì. «Per avermi preso per il culo per tutto questo tempo? Eh? O perché sei uno sbirro di merda?»

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