Capitolo 11.2

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Raggiunse il palazzo dove abitava la rossa in soli dieci minuti e parcheggiò poco distante dall'ingresso. Stava per scendere quando la vide uscire dal portone. Indossava larghi pantaloni sportivi blu e una semplice maglia bianca, entrambi troppo grandi per lei, un cappellino da baseball e scarpe da ginnastica. Non l'aveva mai vista così trasandata, forse non l'avrebbe neanche riconosciuta se non fosse stato per i capelli: li aveva raccolti sotto il cappellino, ma un paio di ciuffi ribelli erano rimasti ostinatamente fuori, e quel rosso inconfondibile l'aveva tradita.

La vide salire su una macchina in doppia fila che fino a quel momento non aveva notato.

Era una bella Alfa scura tirata a lucido. Si sforzò per riuscire a vedere chi stava alla guida, ma non era abbastanza vicino, riuscì solo a capire che era un uomo, a giudicare dal braccio che reggeva una sigaretta fuori dal finestrino. Chi poteva essere quel tipo? E perché la rossa stava partendo con lui? Non aveva esitato, segno che lo conosceva. Non aveva mai visto quella macchina, quindi era probabile che non fosse un uomo di Taro. Dove la voleva portare?

Continuò a farsi domande mentre l'Alfa partiva, e senza neanche pensarci partì dietro di loro.

In giro non c'era quasi nessuno, l'Alfa viaggiava ben oltre il limite cittadino, passò col giallo al semaforo in fondo a viale Guidoni e svoltò a destra facendo stridere le gomme sull'asfalto ancora caldo. Ares dovette passare col rosso per non perderli di vista, anche se con così poco traffico rischiava che si accorgessero di essere seguiti. Si tenne a distanza lungo tutto il viale Redi. All'ultimo semaforo si fermò proprio alle loro spalle. Proseguirono verso Porta al Prato e svoltarono a sinistra per tornare indietro, oltrepassarono il tunnel sotto la ferrovia e al semaforo di viale Strozzi sembravano diretti verso lo Statuto, ma all'ultimo momento l'Alfa scartò sulla destra per immettersi in viale Lavagnini, guadagnandosi un coro di clacson e insulti dalle quattro auto che avevano dovuto inchiodare per evitare uno scontro. Ares era la terza delle quattro. Non perse tempo col clacson, concentrato com'era sul non perderli di vista. Ma le due auto che avevano inchiodato ci misero quella che gli sembrò un'eternità a ripartire, e quando finalmente raggiunse il viale, nessuna delle auto in vista era quella che voleva lui, e visto quanto aveva corso fino a quel momento non si stupì.

Ruggì un'imprecazione sbattendo il pugno sul volante, ma poi rifletté rapidamente: se avessero girato a sinistra al primo incrocio sarebbero andati verso lo Statuto e invece sembravano averlo appena evitato; se avessero svoltato a destra al secondo incrocio sarebbero entrati in centro e di lì a breve non avrebbero potuto proseguire per via del blocco al traffico; la cosa più logica era che avessero proseguito a diritto verso piazza della Libertà. Così percorse il viale più velocemente che poté, ma arrivato alla grande piazza una nuova scelta gli si pose davanti e dovette scegliere tra continuare sui viali o andare verso Campo di Marte. Si sforzò per vedere le macchine in lontananza; vide almeno tre macchine scure in entrambe le direzioni ma nessuna gli sembrò l'Alfa. Seguendo di nuovo l'istinto, o forse il caso, continuò sui viali. Ignorando tutte le possibili svolte alternative, raggiunse piazza Beccaria e poi proseguì fino alla Torre della Zecca, ma la caccia risultò vana, perché della preda non c'era più traccia.

Continuando a cercare ma senza ormai più speranze, invertì la rotta e tornò verso lo Stardust.

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