Capitolo 11.3

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Alle dieci il locale era ancora semivuoto. Il martedì era sempre la serata più fiacca. La musica accompagnava la ragazza di turno sul palco mentre le altre giravano con calma tra i pochi tavoli occupati, Mattia al bancone puliva e sistemava i bicchieri per avere qualcosa da fare, Sergio bloccava l'accesso ai camerini delle ragazze, Ares piantonava la porta del privée nonostante non fosse occupato, perché era un'ottima posizione per rimanere defilato pur riuscendo a non perdere di vista né i clienti né le ragazze.

Si riscossero tutti all'improvviso quando la porta di ingresso fu spalancata e un gruppo di otto uomini entrò facendo un gran fracasso. Erano tutti abbastanza alticci, e si sgolavano a sfottere il più alticcio di tutti, evidentemente il futuro sposo, dandogli pesanti pacche sulle spalle. Una ragazza controllò la prenotazione e li accompagnò al loro tavolo, proprio davanti al palco in modo che il condannato potesse godersi a pieno quella che doveva essere la sua ultima serata da uomo libero. Cati portò loro i drink mentre Ares li teneva d'occhio, ma erano giovanotti sulla trentina, ed erano lì più per la tradizione dell'addio-al-celibato-con-spogliarello che per allungare davvero le mani.

Sentì il cellulare vibrare nella tasca della giacca, lo estrasse sperando inconsciamente che fosse la rossa. Invece era Rosco. Si spostò nel suo ufficio per evitare la musica. Il tirapiedi voleva solo sapere come procedeva la serata.

«Non posso passare al club stasera, qui c'è gente importate.»

Ares lo ragguagliò senza tante chiacchiere, ma quando accennò all'assenza della rossa Rosco si infuriò.

«Quella puttana sta iniziando a stancarmi. Se non ha voglia di lavorare sarà meglio che qualcuno gliela faccia venire. Pensaci tu. Insegnale un po' di educazione, o la prossima volta che salta la serata la porto alla torre.»

Il pugno di Ares si strinse con violenza. Se avesse avuto Rosco davanti l'avrebbe massacrato. Chiuse la telefonata e abbatté il pugno sulla scrivania, facendo saltare tutto ciò che c'era sopra. Si accese una sigaretta mentre avviava un'altra chiamata. Contò otto squilli prima che partisse la segreteria. Provò a richiamarla altre tre volte ma non rispose mai, e alla quarta il cellulare risultò irraggiungibile. Imprecò. Quella stupida non sapeva cosa stava rischiando, non poteva permettere che rischiasse di finire alla torre, con quel suo caratteraccio si sarebbe fatta ammazzare in pochi giorni. Lo sconforto che lo colse alla sola idea fu tanto forte da lasciarlo senza fiato, confuso da un sentimento che non provava più da anni: ci mise qualche secondo per realizzare che era paura. Paura per lei, per quello che le sarebbe potuto succedere.

Sentì una fitta dolorosa all'altezza dei reni, dove il serramanico era affondato in profondità.

Mise una mano sulla ferita, ormai ne rimaneva solo una brutta cicatrice ma la sentiva pulsare con rabbia, quasi lo volesse far tornare vivo, come era stato prima di quel codardo attacco alle spalle.

Con un ruggito ribaltò la scrivania che si schiantò a terra finendo in pezzi. Poi si appoggiò con le mani al muro, a testa bassa, il respiro affannato; si impose di calmarsi per riordinare le idee. Una volta riuscito a riprendere il controllo decise di tornare al suo lavoro.

Percorse il corridoio privato che portava alla sala principale, a ogni passo la musica si faceva sempre più alta, ma riusciva comunque a sentire degli uomini urlare.

«Ci mancava anche l'addio al celibato. Senti che casino fanno quegli stronzi.»

Quando alle urla degli uomini si unirono gli strilli delle ragazze, però, perse in fretta la poca calma appena ritrovata e affrettò il passo, pensando che quei coglioni avevano proprio sbagliato serata se speravano di fare casino e passarla liscia: se quegli animali stavano esagerando con le ragazze li avrebbe buttati fuori a calci.

La scena che intravide al primo scorcio di sala dal corridoio, però, lo fece scattare indietro, con le spalle al muro. Non erano i ragazzi dell'addio al celibato a far strillare le ragazze. Erano gli uomini che stavano entrando nel locale con le pistole puntate verso tutti i presenti.

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