Capitolo 10.2

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Porca miseria, un'intera mattinata buttata via per niente. Mi pareva troppo bello beccare il posto giusto al primo tentativo.

Non potevi avere tanto culo.

È chiaro che questo posto non c'entra nulla. Si vedeva che la tipa non era molto contenta che fossi lì, non si è persa in stupidi convenevoli o chiacchiere sul matrimonio, però le ho fatto mille domande e non ha mai fatto una piega, mi ha fatto vedere tutto quello che c'era.

E non c'era nemmeno granché da vedere poi... Nessuna stanza equivoca, niente telecamere di sicurezza, nemmeno un buttafuori dall'aria sospetta.

No, infatti. Niente. Un cazzo di niente! Che palle!

Una lepre spuntata fuori dai cespugli le tagliò la strada all'improvviso. Inchiodò e la ruota posteriore slittò sullo sterrato facendole perdere il controllo e trascinandola a terra. L'istinto le fece tirare su la gamba giusto un attimo prima che rimanesse incastrata sotto il motorino. Poi l'inerzia la fece rotolare per diversi metri. Riuscì a raccogliere le braccia contro il petto, e quando tutto finì, rimase immobile a terra qualche secondo prima di rendersi conto che sarebbe riuscita a rialzarsi.

Quando lo fece si scoprì illesa, a parte qualche graffio su gomiti e ginocchia; a quel punto la paura prese il sopravvento sull'adrenalina che invece la stava abbandonando, dovette tornare a sedersi per terra perché iniziarono a tremarle le gambe. Si sistemò all'ombra ai piedi di un gelso. Fece dei profondi respiri guardandosi intorno, cercando la calma nella bellezza della campagna che la circondava. Il campo in cui la lepre si era tuffata era più in basso rispetto alla strada e si stendeva a perdita d'occhio, una meravigliosa marea di girasoli di un giallo tanto intenso che sembravano brillare di luce propria. Li osservò a lungo, un lieve alito di vento li fece ondeggiare e Lotti si cullò insieme a loro, in un movimento ipnotico e rassicurante, accompagnata dal silenzio immobile di quel paesaggio senza tempo. Smise di tremare senza neanche accorgersene. Appoggiò la schiena al tronco del gelso che le offriva riparo, alzò gli occhi per osservare i piccoli coriandoli di cielo tra le foglie, il contrasto tra il verde e l'azzurro, interrotto solo da piccole gocce di sole che adornavano la folta chioma.

Il rumore di un motore che si avvicinava la riscosse. Voltandosi nella direzione del castello, vide arrivare una vecchia Centoventisei bianca. Incredibile, c'è ancora qualcuno che va in giro con un tale gioiellino... Sorrise nostalgica al ricordo della Centoventisei di suo nonno. Quella del nonno però era rossa! Era la prima macchina che aveva guidato, aveva solo undici anni quando il nonno gliel'aveva fatta provare, ma ricordava perfettamente quanto si era divertita, e quanto aveva brontolato la mamma quando glielo avevano raccontato. Persa in quel ricordo, non si rese conto che il motorino ancora a terra bloccava la strada. La Centoventisei si fermò, dal lato del passeggero scese un ragazzo.

«Tutto bene?»

Lotti annuì, appoggiandosi al tronco per rialzarsi.

«Serve una mano?» accennò al motorino, e senza attendere la risposta lo afferrò per il manubrio e la sella, rimettendolo in piedi sul cavalletto. Dall'auto scese anche il guidatore, un uomo anziano, a occhio e croce sui novanta, che da vero gentiluomo d'altri tempi la salutò alzandosi il cappello. Lotti gli sorrise di rimando.

Quando il ragazzo la guardò, le sembrò che avesse un'aria familiare; aveva capelli biondo scuro e un sorriso genuino che gli illuminava anche i begli occhi castani. Li guardò per un attimo, il taglio di quegli occhi, il naso dritto e un po' all'insù, la bocca sottile, ogni particolare le ricordò la donna conosciuta quella mattina, quindi quello che aveva davanti era quasi sicuramente "quel delinquente del fratello della Lucia", dell'agriturismo nel paesino di vecchietti.

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