Capitolo 12.2

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Rimasero in quella posizione per qualche minuto, in silenzio, immobili, senza guardarsi, né accarezzarsi, entrambi troppo presi a realizzare cosa era appena successo.

Quando il loro respiro tornò regolare, Ares la rimise con i piedi a terra, poi si rivestì dandole le spalle mentre anche lei si rimetteva i suoi abiti, e quando ebbe finito raccolse le sue poche cose ancora in giro e le mise nel borsone che lei aveva già quasi riempito. Il rumore della cerniera che si chiudeva sembrò assordante nel silenzio. Senza guardarla si caricò in spalla il borsone e andò verso la porta. Non sembrava intenzionato a dirle alcunché.

«Dove vai?» chiese Lotti in un sussurro.

Ma lui non rispose.

«Dove vai?» chiese ancora, alzando la voce, anche se le tremava.

Ancora nessuna risposta.

«Dove cazzo stai andando?» lottò con se stessa perché il suo tono non fosse troppo stridulo.

Lui si fermò sulla porta, si voltò a guardarla.

«Cosa vuoi da me?»

«Dove andrai?»

«Non sono affari tuoi» rispose risentito. «Io non ti conosco, non so chi sei. Cazzo, non so nemmeno come ti chiami» aggiunse sferrando un pugno sullo stipite. Lei sussultò, ma poi gli andò incontro tendendogli la mano. Era assurdo presentarsi dopo tutto quello che era successo, ma si sentì in dovere di fare le cose nel modo giusto, quasi come a voler ricominciare tutto da capo.

«Mi chiamo Carlotta.»

Ares non le strinse la mano, non la guardò nemmeno, troppo intento a fissarla negli occhi con rabbia.

«Bene. Ora lo so. Addio» e voltandosi riprese la sua strada verso l'uscita.

Imboccando il corridoio era sicuro che lei l'avrebbe seguito, invece poco dopo, accompagnato da una serie di parolacce borbottate, riconobbe il suono familiare di pugni contro il saccone di pelle che tante volte gli aveva fatto compagnia negli ultimi due anni.

Si fermò nel corridoio ad ascoltarla mentre continuava a sfogarsi: era proprio uno scaricatore di porto, la sentì imprecare come non gli era mai successo. Scosse la testa mentre un sorriso gli increspava la bocca. Appoggiò il borsone a terra e la schiena al muro, incrociando le braccia. La rossa andò avanti qualche minuto tra pugni e imprecazioni. Poi uscì nel corridoio e cacciò uno strillo trovandosi Ares davanti. Aveva gli occhi gonfi di pianto, e apriva e chiudeva le mani livide e doloranti mentre lo guardava in cagnesco.

«Hai finito?» le chiese con un sorriso provocatorio.

«Fanculo.»

«Non me l'avevi ancora detto stasera. Quasi non ti avevo riconosciuta.»

«Perché sei ancora qui? Vuoi fare un'altra uscita a effetto da vera prima donna?»

«Finiscila. E fuori di qui» la prese per un gomito e la portò all'esterno. Guardò le auto rimaste nel parcheggio.

«Immagino che tu voglia anche un passaggio» chiese fingendo fastidio. Lo guardò impermalita, poi si limitò a raggiungere la Golf in attesa che la aprisse. Quando furono entrambi a bordo le chiese dove fosse diretta e lei gli dette un indirizzo di Coverciano.

*

«Ti devi disfare di questa macchina.»

«Come, scusa?»

Erano le prime parole che si scambiavano da quando avevano lasciato il club.

«Ti devi disfare di questa macchina.»

«Non ci penso nemmeno. Ma come ti viene in mente?»

«Dopo che hanno portato via tutti, hanno preso le targhe delle auto nel parcheggio, per controllo, nel caso qualcuno fosse riuscito a scappare.»

Lo vide stringere con forza le mani attorno al volante. Aveva tentato di non pensare al fatto che era una poliziotta, ma quel riferimento ai suoi colleghi sbirri lo riportò bruscamente alla realtà.

«Al massimo tra mezz'ora si accorgeranno che questa macchina è sparita e inizieranno a cercarla, non ci vorrà molto prima che arrivino a te.»

«Che mi trovino allora. Chi se ne frega.»

«Non dire stronzate. Se ti trovano vai in galera.»

Ares contrasse la mascella e strinse ancora di più il volante, cercando di reprimere la rabbia.

«Non mi disfarò della macchina. Fine della questione.»

«Bene, allora fai come ti pare. Comunque, quando la smetterai di impuntarti come un bambino capriccioso fammelo sapere. Ho un garage ma non lo uso, quindi se vorrai potrai lasciarci la tua preziosa macchina truccata illegalmente. Nessuno verrebbe mai a cercarla là dentro.»

La lotta interiore che lo animava era piuttosto evidente ai suoi occhi attenti: non voleva darle soddisfazione, non voleva il suo aiuto, non voleva continuare a essere in debito con lei, ma d'altra parte si rendeva conto di non avere alternative. Imprecò a denti stretti, dette una manata sul volante, la macchina sbandò leggermente. La soddisfazione la fece sorridere.

Ok, ce l'hai fatta. Hai vinto il primo round, ma cerca di non gongolare troppo.

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