Capitolo 5.4

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Lotti non si alzò, non colse al volo l'occasione che aspettava da quando si era alzata, non si precipitò alla porta; guardò le chiavi e poi lui. Non riusciva proprio a capirlo.

«Che hai adesso? Scommetto che c'è qualcosa che non ti sta bene.»

«No... no... niente» disse lei incerta, mentre usciva diretta al camerino. Quell'uomo così scostante e indifferente aveva visto più in profondità di quanto avrebbe immaginato. Com'è stato possibile? Confusa dalle parole di Ares, non si rese conto della presenza dell'impresa di pulizie finché non andò a sbattere contro un uomo con uno spazzolone in mano. L'uomo la squadrò con un'occhiata vorace, appuntò gli occhi sulle sue gambe nude e non trattenne un sogghigno che dette alla ragazza un moto di nausea. L'istinto la fece quasi tornare verso Ares, ma poi passò rapidamente oltre, sentendo gli occhi dell'uomo addosso finché non si chiuse nel camerino.

Si rivestì in fretta, e quando finalmente ebbe addosso la sua biancheria, i suoi jeans, una maglietta della misura giusta e le sue fedeli Converse consunte dei tempi del liceo, si sentì come protetta da un'armatura. Adesso sarebbe potuta tornare dal viscido inserviente per dirgliene quattro. Sì, avrebbe potuto, ma non lo fece. Invece, si rollò una sigaretta. Controllò il telefono, Cati non aveva ancora visto il messaggio, sicuramente stavano ancora dormendo tutte.

Attraversò il locale per uscire. L'uomo con cui si era scontrata le si piazzò davanti con lo stesso sguardo viscido di prima.

«Ehi bella, dove vai così di fretta? Perché non fai un bel balletto anche per me e i miei amici?»

Nell'attimo di esitazione in cui stava decidendo se ignorarlo o prenderlo a pugni vide l'uomo mutare espressione e fare due passi indietro. Si voltò; Ares era emerso dall'ombra alle sue spalle e guardava l'uomo. Non volendo creare problemi, si limitò a oltrepassarlo e, ignorando le risate dei colleghi dell'uomo che lo sfottevano, uscì nel parcheggio.

Finalmente fuori, la luce del sole la investì; trovò un posto all'ombra e si accese la sigaretta.

Esalò il fumo guardando il cielo del mattino. Erano due mesi che non lo vedeva a quell'ora e rimase incantata da quell'azzurro tanto intenso e dall'odore della pioggia di quella notte che era ancora nell'aria.

Lo scatto di un accendino attirò la sua attenzione. Ares era uscito e si stava avviando verso il furgoncino. Lo raggiunse e fu sul punto di dirgli qualcosa, ma lui salì e mise in moto, quindi lo imitò e partirono.

***

Nessuno dei due disse una sola parola. Lotti odiava i silenzi imbarazzanti e per tutto il tempo pensò a qualcosa da dire, anche fosse una cosa stupida, pur di rompere il gelo che si era creato nonostante i trentadue gradi della calda mattinata, ma non le venne in mente nulla.

Finalmente, dopo venti minuti di quel silenzio che sembrava infastidire solo lei, il furgoncino si fermò davanti al portone.

«Grazie» disse lei con un filo di voce.

Ares mugugnò qualcosa di incomprensibile in risposta.

«Per il passaggio» chiarì lei. «E per ieri sera» aggiunse.

Altro borbottio indistinto. Lo guardò, ma lui non ricambiò lo sguardo, quindi scese ed entrò nel portone. Quando si voltò per guardarlo ancora, il furgoncino era già sparito. Non prese l'ascensore. Non aveva più tutta la voglia che aveva avuto qualche ora prima di tornare a casa, quindi si avviò per gli otto piani di scale. Scalino dopo scalino ripassò mentalmente tutto quello che era successo dalla sera prima: il furto del cartoncino, il cliente stronzo, il ghiaccio sull'occhio, il risveglio, il primo tentativo di fuga, poi il secondo e infine la scioccante consapevolezza che Ares aveva capito di lei più di quanto avrebbe voluto ma che avrebbe fatto finta di nulla. Ma perché dovrebbe star zitto? Cosa vorrà in cambio? Perché vorrà di sicuro qualcosa. Figuriamoci.

Magari pretenderà un pagamento in natura.

Di sicuro! Ma che stronzo!

Ma poi si rese conto che stava facendo tutto da sola. Lui non le aveva ancora chiesto niente, e non gli erano certo mancate le occasioni.

Eravamo soli nel locale, avrebbe potuto farmi qualunque cosa e nessuno se ne sarebbe accorto. E invece non mi ha neanche sfiorata, non ha fatto battute allusive, non mi ha mai neanche guardata in quel certo modo nonostante fossi praticamente nuda.

Non se ne rese conto, ma quel pensiero la punse come una zanzara, quel tipo di puntura che non dà dolore ma che prude fastidiosamente; da qualche parte nel suo inconscio la sua femminilità si era offesa a morte per quello che le aveva detto. Troppo magra? Ma che cazzo di ragionamento è? Da quando "magra" è un insulto? Con tutto quello che ho passato per essere così. Ma che grandissimo stronzo!

Quando arrivò alla porta dell'appartamento si fermò un secondo per riprendere fiato. Non aveva fatto due scalini alla volta come suo solito, ma otto piani erano tanti. Faccio schifo, mi devo rimettere in forma. Da dentro sentì le voci delle sue amiche, parlavano di lei; curiosa com'era non riuscì a resistere, appoggiò l'orecchio alla porta e le ascoltò. Iana chiedeva dove fosse finita quella sciagurata e Cati cercava di spiegarle che non si doveva preoccupare, che le aveva scritto un messaggio, che andava tutto bene. Ma Iana non demordeva, insisteva a dire che le era successo qualcosa e che se invece così non era, gliene avrebbe dette quattro. Lotti sorrise per l'affetto delle sue amiche e per il loro buffo modo di dimostrarlo. Attese un momento di silenzio per un'entrata a effetto. Appena aperta la porta fu investita da entrambe, poi, mentre la tirava dentro, Iana la sgridò per averle fatte preoccupare e infine fu subissata di domande. Rispose che avrebbe parlato solamente una volta sdraiate in terrazza a prendere il sole. E così fecero.

***

Quando attaccò a parlare in rumeno, per un attimo la sua mente tornò ad Ares e le sue parole le risuonarono in testa: "Tu sei l'unica italiana che fa finta di essere rumena". Come aveva potuto fare un errore così banale? Scrollò la testa e iniziò il suo racconto, evitando accuratamente tutto ciò che riguardava il cartoncino rosso e i diecimila euro.

A differenza di Cati, che la ascoltò in silenzio per tutto il tempo, Iana la interruppe con mille domande. Voleva sapere tutto il possibile su "quel bestione stronzo che però è così tanto bello!". Pretese un'accurata descrizione di com'era mentre dormiva, di cosa aveva nella sua camera e nel suo bagno, di come era vestito, del tono che aveva usato, dello sguardo che aveva lanciato al tizio delle pulizie. Alla fine, per mettere un freno a tutte quelle domande, Lotti si alleò con Cati per sfottere l'amica e la sua enorme cotta per Ares. Iana per un po' negò l'evidenza facendo l'offesa, ma finì per scoppiare a ridere travolgendole.

Esaurito l'argomento si sistemarono sui teli stesi a terra e si dedicarono all'abbronzatura.

Prima di scivolare nel sonno, l'ultimo pensiero di Lotti andò al cartoncino rosso. La data era quella del giorno successivo.

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