Capitolo 7

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Si appisolava sempre quando prendeva il sole sul tetto, e stavolta non era stato diverso, nonostante fosse riuscita a dormire per tutta la notte. Nel dormiveglia molte immagini l'avevano tenuta impegnata, mescolandosi e vagando per la sua testa impazzite come palline da flipper; la sera precedente, la stanza di Ares, il suo viso, il suo corpo, la mano con cui le aveva stretto la gola, la stessa con cui le aveva messo il ghiaccio. L'ufficio di Rosco, il cartoncino rosso. E poi Ares che la consegnava a Taro dopo aver scoperto quello che nascondeva. E Taro che la faceva uccidere e scaricare nel bosco, accanto ai corpi di Iana, Cati e le altre. Si risvegliò con uno strillo che fece saltar su le sue amiche.

«Che succede?»

«Niente... Un brutto sogno... Vado a fare la doccia.»

«Davvero va tutto bene?»

Farfugliò un sì e corse in casa, con le gambe tremanti che la tradirono facendola inciampare per le scale. In camera accese il cellulare e ascoltò il messaggio in segreteria. Poi lo lanciò sul letto sbuffando.

«Lo so, lo so, l'ho visto il telegiornale, non c'è bisogno di mettermi altra ansia!» borbottò tra sé e sé.

Approfittò della doccia per lavare via l'incubo di poco prima. Si concentrò sull'appuntamento della sera successiva; aveva alcune cose da fare prima di allora. Doveva trovare una scusa valida per non andare al club. Doveva decidere cosa indossare. Doveva fare una piccola ricognizione sul posto: lo conosceva, era un albergo di lusso in una traversa di Borgo Ognissanti, c'era passata davanti spesso, ma preferiva comunque andare a dare un'occhiata tanto per farsi un'idea più precisa. Ripensò al messaggio in segreteria e si chiese se fosse il caso di dirlo anche a lui ma poi rinunciò. Si asciugò in fretta, raccolse i lunghi capelli in una coda, indossò i suoi abiti da jogging e si armò di lettore mp3 e cuffie, poi si affacciò in terrazza.

«Vado a correre.»

«Ma dove vai con questo caldo? Sei matta?»

«Starò all'ombra.»

«Fa caldo anche all'ombra! Non potresti evitare? Non hai neanche pranzato. Ti prenderà un colpo.»

«Mi piace il tuo ottimismo, Cati! Non ti preoccupare, torno presto.»

«Stai attenta!»

«Sì, mammina!» concluse facendole la linguaccia mentre scendeva le scale per stroncare sul nascere una paternale di cui proprio non aveva voglia.

Appena in strada accese il lettore, scelse la playlist più adatta per la corsa e partì. Le era sempre piaciuto andare a correre, lo faceva ogni volta che le era possibile. Certo, quella zona non era il massimo con tutta la confusione e il traffico costante, ma la musica nelle orecchie la aiutava a isolarsi e dopo poco riusciva sempre a trovare il ritmo giusto. Tagliò per il parco di San Donato per evitare un po' di cemento, e prese tutte le strade meno trafficate e all'ombra.

Cati aveva ragione, era troppo caldo per correre, e aver saltato il pranzo, anche se ci era abituata, non era stata una grande idea. Ma riuscì comunque a raggiungere la sua meta in quaranta minuti. Non male. Forse Pietro non sarebbe troppo deluso. Sorrise pensando al suo vecchio allenatore mentre raggiungeva una fontanella; si sciacquò il viso e bevve. Poi si concentrò sul suo obiettivo.

L'edificio dell'albergo era uno dei molti palazzi antichi del centro storico, con la tipica facciata a blocchi di pietra serena al pianoterra e di un chiaro color crema per i tre piani superiori, con le finestre del primo piano decorate con cornici ad arco e un lungo balcone con la balaustra in pietra sopra l'elegante portone principale. La strada in cui si trovava era privata, riservata solo ai clienti dell'albergo.

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