Capitolo 11.5

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"Resta qui" gli aveva sussurrato. "Resta qui."

Come poteva pensare che le avrebbe dato ascolto? L'aveva raggirato, l'aveva ingannato per settimane e ora voleva che facesse come voleva lei e restasse lì? E per cosa poi? Per farsi arrestare? Che andasse all'inferno, non sarebbe rimasto a farsi prendere in giro ancora.

Ascoltò per qualche minuto il silenzio del magazzino, poi scivolò fino alla porta e una volta certo che non ci fosse nessuno uscì. Raggiunse il muro che delimitava il parcheggio del club. Era poco più alto di lui, e salendo sul cofano di una macchina parcheggiata riuscì a issarsi, scavalcarlo e atterrare dall'altra parte senza difficoltà. Ma una volta al di là del muro si guardò intorno esitando: non sapeva dove andare, negli ultimi due anni aveva vissuto in quel buco di stanza sul retro del locale, la sua vita si poteva ridurre solo al suo schifoso lavoro, l'unica cosa che gli apparteneva e a cui potesse dire di tenere era la sua vecchia Golf, che però era nel parcheggio dove al momento stazionavano le pantere della Polizia. Avrebbe dovuto aspettare che la retata finisse per andare a riprenderla. Si accese una sigaretta e si incamminò lungo il marciapiede più buio, deciso a mettere più distanza possibile tra sé e quei bastardi in divisa.

*

Camminò per più di un'ora pensando a tutto quello che era successo nelle ultime settimane, cercò a lungo nei ricordi: cosa gli era sfuggito? Perché non si era reso conto che quella stronza lo stava ingannando? Come aveva potuto farsi fregare in quel modo? Si sentì uno stupido per non aver capito niente, e si sentì ancora peggio quando si rese conto che invece aveva capito tutto da un po' ma aveva fatto finta di nulla, rimuovendo il pensiero a causa di quei grandi occhi verdi e quell'espressione orgogliosa e testarda. Sentì una profonda rabbia crescere fino ad annebbiargli la ragione.

Fece mente locale su dove si trovava e svoltò in una stradina secondaria dove sapeva esserci il Molly, un piccolo Irish Pub dall'entrata in legno che, a dispetto della pacifica insegna verde costellata di trifogli, era un ritrovo per poco di buono con una vera passione per la birra e le risse.

Non dovette aspettare a lungo per quello che cercava: dopo dieci minuti, a metà del suo boccale di Guinness, due uomini decisamente ubriachi seduti al bancone vicino a lui iniziarono a infastidire la cameriera e gli altri avventori con volgarità e insulti, poi presero a discutere tra loro e a spintonarsi, finché uno dei due gli finì addosso. Non aspettava altro.

Si alzò, afferrò l'uomo con entrambe le mani e lo mandò a sbattere contro il bancone. La ragazza alle spine gridò ai tre che se volevano fare a botte dovevano andare fuori, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Quell'ultima parola fu troppo per Ares. Caricò il malcapitato a testa bassa e lo colpì con una spalla alla bocca dello stomaco, spingendolo verso la porta che si spalancò sotto il peso dell'uomo, facendolo finire sdraiato sul marciapiede. Ares gli fu subito addosso, lo trascinò lontano dalla porta mentre quello si dimenava cercando di farsi lasciare. Ma Ares non gli dette modo di rialzarsi e iniziò a colpirlo, gli occhi offuscati dalla furia. Sorrise soddisfatto vedendo che il tipo sotto di lui si sapeva difendere, tanto che gli dette modo di rialzarsi. Non voleva vincere tanto in fretta.

L'uomo lo caricò a sua volta, colpendolo al volto con un destro e un sinistro in rapida successione, ma Ares reagì prontamente con due pugni allo sterno che tolsero il respiro al suo avversario, poi lo colpì alla gola facendolo indietreggiare. Mentre quello si piegava appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, il suo amico arrivò alle spalle di Ares e lo afferrò con un braccio intorno al collo. Dopo un istante di sorpresa Ares gli piantò un gomito nelle costole facendogli perdere la presa, quindi si girò verso di lui e con una gamba dietro le sue, lo spinse indietro facendolo cadere, per poi prenderlo a calci.

Finito con lui si voltò di nuovo verso l'altro, che però non sembrava avere intenzione di continuare. Gli sferrò un ultimo pugno, mandando a terra anche lui, e finalmente sentì la rabbia scemare. Riprese fiato mentre i due si rialzavano e se ne andavano. Si pulì le mani insanguinate sui pantaloni, poi le mise in tasca e si rimise in cammino.

«Aspetta!»

Era la voce della cameriera. Si voltò con sguardo truce. La ragazza che lo aveva richiamato indietro, invece, gli sorrise.

«Quei due vengono qui ogni sera e finiscono sempre per infastidire tutti. Era ora che qualcuno gli desse una lezione. Credo che per un po' non torneranno. Grazie.»

La guardò confuso credendo di aver capito male. Si aspettava che la ragazza lo cacciasse in malo modo, o che chiamasse la polizia, invece lo stava ringraziando.

«Non l'ho fatto per te. L'ho fatto per me» e subito il déjà vu lo fece pensare alla rossa, alla sera in cui l'aveva ripescata all'hotel. Strinse i denti notando che la ragazza c'era rimasta male, ma non si era mossa e gli porgeva un tovagliolo chiuso a fagotto indicandogli la faccia. Se la toccò e sentì che un occhio era gonfiato e che perdeva sangue dalla bocca. Lo asciugò col polsino della camicia, poi le andò incontro cercando di abbozzare un'espressione meno rabbiosa e quando le fu davanti tese la mano per prendere il fagotto di ghiaccio.

«Grazie» mormorò tra i denti. Poi si mise il ghiaccio sul viso e si rimise in cammino. Erano quasi le una. Decise che era l'ora di andare a riprendersi la macchina.

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