04. Let him go

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Erano passati appena due giorni, con una velocità impressionante

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Erano passati appena due giorni, con una velocità impressionante.

Quello stesso giovedì mattina, percorsi la stessa strada per arrivare alla fermata del bus.

Mi persi nei meandri di quelle viuzze che incantavano per i gelsomini. Essi incorniciavano i giardini di alcune case e il loro odore si andava a confondere con quello dell'aria mattutina.

Tutto si andava a completare con l'odore di inchiostro e della carta giallastra di quei sonetti, che portavo sempre con me

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Tutto si andava a completare con l'odore di inchiostro e della carta giallastra di quei sonetti, che portavo sempre con me.

I miei occhi si accostarono a quelle parole nere, al sonetto n. 22:

"[...]For all that beauty that doth cover thee,

Is but the seemly raiment of my heart,Which in thy breast doth live, as thine in me:How can I then be elder than thou art?O! therefore love, be of thyself so waryAs I, not for myself, but for thee will;Bearing thy heart, which I will keep so chary[...]"

Versi di una tale bellezza e cura.

O, meglio, versi così sublimi che erano capaci di racchiudere tutto quello che una persona conservava dentro di sé.

Quasi una forma di calore ebbi al petto, mentre risvegliandomi dalla lettura continuai a camminare.

Nel bus incontrai Fernand, che come due giorni prima, mi fece segno con la mano di sedermi accanto a lui.

In dieci minuti arrivammo a destinazione, quasi non fui a terra per non aver visto un maledetto scalino.

«Di prima mattina non sei granché sveglio o sbaglio?» mi domandò Ferny, divertito.

«In realtà la notte leggo molto..» e rimasi a sguardo basso, finché l'attenzione non si spostò sulle auto che parcheggiavano lì davanti.

C'era chi clacsonava a dei vicini, per farsi riconoscere.

«Direi di andare, che corso hai stamattina?» mi chiese Ferny, con sguardo fiducioso.

«In realtà scienze, dovrei recarmi al laboratorio del secondo piano.» gli risposi molto lentamente.

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