Ho sempre percepito il mondo come qualcosa di estraneo. Come se non fosse mio. Come se io e lui fossimo qualcosa di sbagliato, due pezzi di un ingranaggio che non combaciano. E le persone che ho incontrato nella mia vita non hanno fatto altro che avvalorare questo mio pensiero. Vedevo le persone fare amicizia subito, ridere, scherzare, divertirsi. Io mi sentivo estraneo a tutto questo. Sempre. Non sono mai riuscito a capire come facessero a parlare o a relazionarsi così facilmente con completi estranei.
Io riuscivo a malapena a relazionarmi con mio padre.La verità è che, dopo la morte di mia madre, le cose sono cambiate drasticamente per me. Credo che il mio problema principale sia stato l'età. Ero troppo piccolo per capire, troppo piccolo per accettare, troppo piccolo per tutto. Ma ho dovuto adattarmi. Non ho fatto altro nella mia vita se non adattarmi a questo mondo per me ostile.
Ho perso ogni ricordo dell'unica persona che mi abbia amato incondizionatamente, l'unica che mi abbia capito e accettato per ciò che ero, l'unica che mi abbia mai abbracciato. La verità è che non ricordo più il suono della sua voce, il suo volto, il suo sorriso. Per me è solo un volto in una fotografia appesa al muro. Ed è orribile perché sento perfettamente il vuoto che la sua mancanza ha creato. E ho pianto tante, troppe volte per questo.
A volte mi chiedo se ricordarla farebbe più o meno male di adesso. Ma non posso saperlo. Così cerco di non pensarci. Il trucco sta proprio in questo: non pensare. Perché se inizio a farlo entro in un vortice che mi risucchia sempre più giù, finché non sono troppo stanco anche solo per respirare.Poco prima di morire, i miei genitori avevano divorziato. Nonostante fossi piccolo e la mia famiglia fosse "distrutta", mi andava bene: preferivo vederli separati che insieme a distruggersi l'un l'altro. Anche se non ricordo bene quel periodo, ricordo di aver preso bene la notizia del divorzio: odiavo vedere mia madre piangere. Il divorzio dei miei non era stato tanto lungo, comunque. Mia madre si era ammalata poco dopo e non era passato molto prima che morisse. Io ero lì accanto a lei, anche se la mia mente non lo ricorda più. So che sono stato io a chiamare il 119 per dire che mia madre non si svegliava quella mattina. Avevo una recita quel giorno, ma lei stranamente non mi aveva svegliato. Io ero troppo emozionato per dormire così mi ero alzato troppo presto e quando ero andato da lei per svegliarla come lei svegliava me tutte le mattine, lei non apriva più gli occhi. Era morta nel sonno. Dicono che non abbia sofferto.
Ho sofferto io per entrambi.Ho iniziato a provare quella sensazione di sbagliato quando sono tornato a casa da mio padre. All'epoca ero troppo piccolo per capire cosa fosse quella sensazione e cosa me la causasse, così com'ero troppo piccolo per capire cosa succedeva attorno a me.
Ero un bimbo in balia del mare.Nessuno mi venne mai a salvare, così cercai il modo di farlo da solo. Adattamento. Adattarsi agli ambienti ostili divenne la mia specialità. Ma mi distrusse l'anima, un centimetro dopo l'altro.
Nessuno parlava di lei e con il tempo capii di non doverlo fare neanche io. In casa non c'erano più sue foto, ma io ne avevo una nella mia stanza. Era piccola, rovinata, ma non potevo averne altre e non mi importava. Era una sua foto, era questo l'importante. So che all'inizio piangevo spesso, mi nascondevo sotto i tavoli, mi sedevo per terra agli angoli, mi nascondevo negli armadi.
Il buio e il freddo erano i miei compagni di dolore.Poi ho dovuto imparare a piangere di notte, in silenzio per non fare rumore. Non potevo piangere. Alcune volte non riuscivo a controllarmi, così stringevo i miei piccoli pugni e cercavo di svuotare la mente, fissando qualcosa.
«Non adesso, non adesso. Adesso non puoi piangere.» mi ripetevo.Poi le cose sono cambiate. Ancora.
Mio padre era un uomo a cui piacevano i vizi. Voleva il meglio delle cose, alcool buono, belle e giovani donne. La nuova moglie di mio padre mi odiava. A lei non piacevo perché ricordavo troppo a mio padre la sua ex moglie ormai defunta. «L'unico vero amore della mia esistenza.» confessò una volta, in preda all'alcool.
La sua presenza rese il mondo che mi circondava ancora più ostile e io fui costretto ad adattarmi, di nuovo. Era passata appena qualche settimana dalla morte di mia madre.Alla mia matrigna piaceva il controllo su ogni cosa, le piaceva sentirsi potente. E io ero il suo giocattolino preferito.
La morte di mia madre mi aveva reso depresso e nessuno mi aveva aiutato a superarla e lei si divertì un mondo con me. Scoprì tutte le cose che odiavo e mi costringeva a mangiarle.
«Non ti alzerai finché non finirai di mangiare. E se non lo mangerai oggi, lo mangerai domani.»Una volta mi propose lo stesso disgustoso piatto per una settimana. Con lei ho imparato cos'è la fame. E ho imparato a restare in piedi anche senza cibo. Una volta non ho mangiato niente per tre lunghi giorni. A volte penso che se mio padre non fosse stato così ricco da avere la servitù e avesse dovuto cucinare lei, sarei morto per la fame. Ma fortunatamente avevamo una cuoca e qualche cameriera.
Ma il suo gioco preferito non riguardava il cibo. A lei piaceva giocare con la mia mente.Questo lo ricordo bene. I momenti orribili me li ha impressi nella mente e non sono più andati via. In realtà, credo non lo faranno mai.
Ricordo che non faceva che ripetermi che non valevo niente, che non avrei mai fatto niente nella vita, che non ero niente. E se neanche mio padre mi voleva, come poteva volermi qualcun altro?
E continuava a ripetermelo guardandomi dritto negli occhi, con quel suo dannato sorriso. Odiavo quando sorrideva in quel modo, perché per me voleva dire solo dolore. Ogni volta che me lo ripeteva si portava via un pezzetto della mia anima.Ma mi sono adattato.
Adesso so vivere anche se sono un piccolo e orribile relitto.
Non faceva che dirmi che non dovevo pensare, non dovevo parlare, dovevo solo fare quello che lei mi diceva.
Così il mio "Non piangere adesso" si è evoluto. Per proteggermi da tutto questo sono finito per rinchiudermi nella mia stessa mente e quando qualcosa cercava di tirarmi fuori, io mi chiudevo ancora di più. Quando i miei sentimenti provavano a prendere il sopravvento, chiudevo gli occhi e ripetevo sempre le stesse parole, come un mantra.«Io non sento niente, non provo niente.»
Funzionava. Tornavo quel guscio vuoto che viveva in quella casa.La cosa divertente è che non facevo che ripetermi che le cose non potevano peggiorare e puntualmente lei mi dimostrava che sbagliavo.
Per anni mi sono svegliato sperando che fosse l'ultima volta, mi sono addormentato pregando di non risvegliarmi più. Ma non succedeva mai.Credo che quella donna abbia toccato il fondo l'unica volta in cui ho pianto davanti a lei per mia madre. Ricordo perfettamente le sue parole.
«Puoi dire che ti manca tua madre, ma non puoi dire che vuoi tua madre, perché tua madre è morta.»
Ero solo un bambino.
Ero solo un bambino quando sono stato rinchiuso in un collegio, lontano da casa.Adesso sono un uomo adulto, ho 23 anni. Ma ho ancora lo stesso sguardo spento di quando mi hanno portato via da casa e ho un miliardo di cicatrici invisibili che non smettono di sanguinare.
Sono un uomo adesso. Un uomo che si sente ancora sbagliato, che continua ad adattarsi in un mondo che non è il suo, in un mondo che gli è ostile.Sono un uomo adesso. Un uomo che ha paura delle persone, delle relazioni.
Sono un uomo adesso. E sto tornando in quella maledetta città dopo anni.
Sono un uomo adesso.
Sono Kim Seokjin.
♡♡♡♡ ANGOLO DISAGIO ♡♡♡♡
Finalmente anche quest'avventura inizia. Spero abbiate molti fazzoletti a disposizione e tanta camomilla, perché vi serviranno entrambi.
Ma non temete, dopo la pioggia esce sempre il sole. Bisogna solo avere fede...
Ci vediamo domenica con il primo capitolo, intanto fateci sapere cosa ne pensate di questo capitolo💛
_Snappo_
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In Your Eyes [Namjin - Taekook]
RomansaA volte mi fermo a guardare le persone che mi circondano e mi chiedo cosa le renda felici. Un cane? Un conto in banca pieno di soldi? L'amore? Le guardo e mi chiedo che tipo di vita conducano. Ma poi mi ripeto di non pensare. Perché se lo faccio, en...