5 - Sono un'assassina

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L'ospedale era silenzioso come un cimitero. Ad illuminare la stanza c'erano i raggi del sole che penetravano dalle grandi finestre, nonostante fossero coperte dalle tende. L'unico rumore di sottofondo erano le voci degli attori in Una mamma per amica, in televisione.

Erano giorni che Joni non si alzava dal letto: ogni volta che provava a mettersi in piedi, le fitte allo stomaco si facevano più intense ed era costretta a fermarsi per il dolore. I dottori la aiutavano, però. Ingozzandola di antidolorofici.

Qualcuno bussò tre volte alla porta. Joni raddrizzò la schiena sul cuscino e spostò lo sguardo verso l'entrata: «Mamma?»

La porta si aprì, ma non era sua madre. Hallie entrò nella stanza, sforzandosi di sorridere. Il tenue sorriso che si era formato sul volto di Joni sparì subito, rimpiazzato da un'espressione di delusione. I suoi genitori non erano ancora andati a trovarla. Certo, attualmente si trovavano fuori città per lavoro, ma faceva male comunque.

«Ciao. Possiamo parlare?» le chiese Hallie e Joni si limitò ad annuire. La donna andò a sedersi sul letto «Mi dispiace tanto per quello che è successo.»

«Mi dispiace per Tania. Era la mia migliore amica.» dopo quella frase, Hallie distolse lo sguardo e si morse il labbro inferiore. Non poteva piangere, non adesso «Non gliene faccio una colpa. Non poteva sapere che quella fossi io. Era buio... come sta Meredith?»

«Beh... suppongo che stiamo tutti cercando di andare avanti.» Hallie fece un respiro profondo «Joni, devo chiederti una cosa e spero che tu mi perdonerai per questo.» mentre si preparava a farle la domanda, lei evitava di guardare Joni negli occhi «Conosci qualcuno che potesse avere un motivo per uccidere Tania?»

Questa domanda le fece gelare il sangue. Soltanto l'idea che uno dei suoi amici potesse aver avuto il coraggio di fare del male a Tania le metteva i brividi: «Io... non lo so.»

«Joni, ti prego. Tu sai qualcosa. Sei tu quella che conosce gli amici di Tania e le sue frequentazioni.»

La ragazza si sforzò di pensare a qualcuno, qualcuno di plausibile. I suoi amici erano esclusi dalla lista, loro non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. Restava soltanto una persona: «Forse... forse Michael.»

Quella risposta fece scattare qualcosa in Hallie. Si ricordò subito del ragazzo che le aveva fatto le condoglianze al funerale di Tania: «Vuoi dire Michael Foster?»

«Sì. Nelle ultime settimane, avevo notato un legame tra lui e Tania. O forse lui credeva che ci fosse un legame. Io avevo intenzione di spingere Tania a fare la mossa decisiva.»

Hallie si ricordò anche di aver buttato via il bigliettino che le aveva dato quel ragazzo, quindi domandò: «Hai il suo numero?» purtroppo, lei scosse la testa «Va bene. Grazie di tutto, Joni. Adesso devo andare.»

«Dimmi se trovi qualcosa, ti prego. Anch'io ho bisogno di sapere chi è stato.» a quella richiesta, Hallie sorrise e annuì.

Aprì la porta, uscì e la richiuse. Joni sospirò, nuovamente sola nella fredda stanza d'ospedale in cui era rinchiusa. Nessuna voce, nessun rumore. Soltanto la televisione accesa.

Calò la notte, sempre troppo presto, sempre troppo violenta. L'appartamento degli orrori era silenzioso, in netto contrasto con le urla di terrore che avevano spezzato la quiete qualche sera prima.

L'unico rumore di sottofondo era l'acqua del rubinetto che scorreva nel lavello mentre Hallie lavava distrattamente i piatti. Non si stava concentrando particolarmente su quello che stava facendo. Vagava con la mente verso pensieri impossibili. Ipotesi che la torturavano mentalmente.

E se lei fosse stata a casa quella sera, invece di andare a quell'appuntamento con Carter? E se Meredith non fosse mai uscita con Brandon? Se soltanto una di loro due fosse rimasta a casa, forse Tania non si sarebbe ritrovata in una bara. E se avesse preso anche Liam?

«So come ci si sente.» a distrarla da quei brutti pensieri fu la voce di Brandon, il quale era appena entrato in cucina.

Hallie terminò di lavare i piatti e si asciugò le mani con uno straccio, a testa bassa: «No, non lo sai.»

«Sì, invece. Tutti i giorni ho a che fare con pazienti che stanno affrontando un lutto. Mi parlano delle loro emozioni, si mettono a nudo davanti a me. Mi dicono tutto. Quindi lo so come ci si sente.»

Hallie non ribatté, anche se aveva molte cose da dire al riguardo. Lui l'aveva solo sentito dire, non lo aveva vissuto sulla propria pelle. Lui sapeva cosa si provava ad essere pugnalati? Sapeva cosa si provava a vedere tutti i tuoi amici morire l'uno dopo l'altro?

Brandon fece un respiro profondo e andò a sedersi al bancone. Incrociò le mani ed Hallie capì che voleva parlarle. Lui faceva sempre così quando aveva qualcosa da dire: si sedeva e incrociava le mani. Allora Hallie si sedette sullo sgabello, davanti a lui.

«Non è giusto. Tu non hai fatto niente per meritarti questo.» affermò Brandon, mantenendo lo sguardo basso.

«Ho ucciso molte persone, Brandon.» ribatté lei, a malincuore.

«Sì ma lo hai fatto perché era necessario, altrimenti adesso ti ritroveresti anche tu in una bara.»

«Non parlo solo di Helen e di Jim Kennedy. I miei amici sono morti a causa mia. Helen li ha uccisi soltanto per farmi soffrire e per far uscire Sidney allo scoperto. Sono un'assassina.»

«Non avevi il controllo. Non potevi saperlo, Hallie. Eri una ragazzina con dei sogni, delle aspirazioni. La tua adolescenza è stata rubata da due persone egoiste e infantili che viveano ancora nelle favole. Non vedevano com'è realmente il mondo.»

«E com'è il mondo, Brandon?»

«Crudele.»

Calò un silenzio tombale. Hallie resto a riflettere sulle sue parole. Era davvero così? La parola migliore per descrivere il mondo in cui vivevano era crudele? Forse sì. Forse aveva ragione lui.

«Io devo tornare a casa.» Brandon si alzò dallo sgabello «Resta vicina a Meredith, ha bisogno di te più che mai in questo momento.» Hallie annuì, come se non lo sapesse già. Brandon uscì dalla cucina, poi si sentì la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi.

Hallie si affrettò ad andare in salotto e chiuderla a chiave, mettendo anche la catena di sicurezza. Successivamente chiuse tutte le finestre, nonostante si trovassero al settimo piano e non ci fosse alcuna scala esterna che conducesse all'appartamento. Poi si sentì un rumore.

Hallie si allarmò subito e rivolse la sua attenzione al corridoio buio e stretto. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni ed estrasse un coltellino svizzero, tenendolo ben stretto in un pugno. In un attimo, l'oscurità la inghiottì.

La porta della cameretta venne aperta lentamente, cigolando e annunciando l'arrivo di Hallie. Si guardò attentamente intorno ma era tutto tranquillo. La stanza era buia e silenziosa, come tutte le sere, e Liam stava dormendo tranquillamente nel letto.

La fonte del rumore era un dinosauro di plastica che era caduto sul pavimento, a causa del forte vento che entrava dalla finestra spalancata. Hallie si affrettò a chiuderla e appoggiò nuovamente il giocattolo sulla mensola dei libri di scuola. Fece un sospiro di sollievo. Tutto sotto controllo.

Tornò in salotto, appoggiando il coltellino svizzero sul tavolino davanti al divano. Era stanchissima, ma aveva ancora un sacco di cose da fare prima di poter andare a letto. Mentre si dirigeva in cucina, la vibrazione del cellulare la costrinse a fermarsi.

Il cellulare vibrò di nuovo. Era una telefonata? No, aveva smesso di vibrare. Hallie afferrò il cellulare dal tavolo e controllò lo schermo:

Da Carter: incontriamoci alla tavola calda, devo parlarti di persona.

Poi un altro messaggio:

Da Carter: è urgente.

Scream - L'ultima chiamataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora