capitolo 1 Bedford Square, 1922

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Estelle si appoggiò al basso parapetto del balcone sella sua camera, con il viso rivolto verso il cielo sopra Bedford Square. La pioggia cadeva da un tappeto di nubi plumbee, e le gocce erano freschee corroboranti al contatto con la pelle. Aveva quindici anni. Era goffa e secchiona. Quasi troppo timida per saper come farsi degli amici. Per fortuna, niente di tutto questo importava, in quella piovigginosa serata di maggio.
Quel giorno la sua vita era cambiata per sempre.
Quella mattina aveva incontrato l'uomo più meraviglioso del mondo. Ai suoi occhi, lei non era invisibile. Ai suoi occhi, lei era una persona meritevole non solo di attenzione ma anche di fiducia.
Lei l'aveva notato subito. Il cortile della scuola era pieno di gruppetti di ragazzine che parlavano sottovoce e di ragazzini che correvano in mezzo a loro, urlqndo come pazzi. Estelle non era né abbastanza popolare né abbastanza coraggiosa da suscitare l'interesse di questi due gruppi. Gli sforzi di suo padre, dirigente di banca, di sembrare più realizzato di quanto ffosse in realtà non si estendevano agli abiti della figlia. Aveva lo stesso vestito dell'anno prima e le stesse scarpe dell'anno prima. Ormai aveva finito di crescere, e lui si era infuriato quando lei aveva trovato la forza di chiedergli se poteva avere qualcosa di nuovo. Perché non peteva indossare degli abiti che ancora le andavano bene? Queto aveva avuto il coraggio di dire sopo essersi comprato un portasigarette d'oro, identico a quello che aveva il suo più grande rivale nella banca.
Altri eventi avevano coperto questi fastidi, quella mattina. Lei era appoggiata al muro contro cui si appoggiava sempre, con in mano un libro e con il suo tipico atteggiamento da non-me-ne-frega-proprio-niente a proteggerla da tutto quel casino. Un movimento aveva attirato la sua attenzione: un uomo che accompagnava attraverso il cortile una bambina dai capelli biondo oro.
La presenza dell'uomo l'aveva fatta muovere dalla posizione stravaccata che aveva assunto e aveva distolto la sua mente dai problemi. Capitava di rado di vedere un padre accompagnare la figlia, ed era ancora più raro vederne uno così giovanile e attraente. Di certo non assomigliava a nessun altro genitore che lei conosceva. Era alto e magro, con uno scuro cappello di feltro messo sulle ventitré. Mentre attraversava la folla i suoi passi erano differenti da quelli di qualunque altro uomo, pieni di grazia e tensione cone quelli di un predatore che caccia un'antilope nella savana. Il modo in cui l'abito marrone scuro seguiva i movimenti del suo corpo testimoniava non solo il suo essere in forma ma anche la bravura del suo sarto. I muscoli di Estelle si tesero, come se volesse segretamente correr via da lui, anche se forse non per fuggire.
Dev'essere vedovo, pensò. È per questo che sua moglie non è qui al suo posto.
Per via della fascinazione che provava, a Estelle servì un momento per accorgersi che la figlia stava piangendo. Le lacrime le rigavano il volto mentre si aggrappava disperatamente alla sua mano. Estelle avrebbe potuto dirle che non aveva niente da temere da quello strano ambiente. Era una bambina carina, con degli abiti costosi e di classe, e i capelli chiarissimi curvati in riccioli brillanti. Neanche una piega rovinava la perfezione del suo abito alla marinara. Sembrava una bambola esposta nel miglior negozio della zona. C'erano buone possibilità che prima della fine della giornata sarebbe diventata amica di una dozzina di quei piccoli ruffiani, tutti desiderosi di diventare il suo nuovo miglior amico. Le apparenze contavano, in un posto come quello, così come contava la posizione dei genitori. La Grande Guerra non aveva azzerato la concezione che i bambini avevano a proposito dell'apparenza alle diverse classi sociali. Estelle ritenne che il padre di quella bambina appartenesse a una classe molto più alta della sua.
Un cinismi troppo sviluppato per la sua età la portò ad affondare di nuovo il naso tra le pagine di poirot a Styles Court. Ai libri non interessava quanti anni avessero i vestiti che il lettore indossava, i libri permettevano invece al lettore di infilarsi nei panni dei personaggi. Si stava sforzando di farlo, quando il suono educato di qualcuno che si schiariva la gola le fece alzare nuovamente la testa. Il fiato le uscì dai polmoni come se una mano gigante le avesse schiacciato le costole. A essersi schiarito la gola era stato l'uomo alto con il cappello di feltro. La sua figlioetta era al suo fianco, ancora aggrappata alla sua mano e in lacrime, ma Estelle si rese conto a malapena della sua presenza. Da vicino l'uomo era incredibilmente bello. Sotto l'ombra inclinata del suo cappello, i capelli erano di un biondo oro più scuro di quelli di sua figlia, ed erano sorprendentemente lunghi come quelli dei poeti. I giacinti eano meno azzuri dei suoi occhi, che sembravano brilare di una ricca sfuatura. La bocca aveva una forma perfetta, come una pietra straordinariamente levigata. Estelle non poté evitare di leccarsi nervosamente le labbra."Mi perdoni" disse l'uomo come se non avesse appena cancellato tutte le sue fantasie su Rodolfo Valentino. La sua voce era chiara e profonda. "Mi spiace disturbarla, ma lei ha un viso incredibilmente gentile. Pensa che potrebbe occuparsi di mia figlia Sally? Solo fino a quando non entra in classe. È un pò nervosa, è il suo primo giorno di scuola."
Pensava che lei avesse un viso gentile? C'era per caso qualcosa che non andava nei suoi occhi? Risentito le si addiceva maggiormente. O imbronciato. E come se la sua mente volesse dimostrare che era così, tutti i pensieri poco gentili che Estelle aveva elaborato riguardo sua figlia le passarono nuovamente per la testa.
"Solo se non le spiace" aggiunse quel bellissimo uomo.
"So che le sto chiedendo molto"
"Rimani tu" lo pregò sua figlia, tirandolo per la manica della giacca."Resta con me, papà."
Lui abbassò lo sguardo sulla bambina, con sul viso un'espressione di amore e si pazienza che fece venire un nodo alla gola a Estelle. Pensò che i suoi genitori non l'avevano mai guardata in quel modo. Non la guardavano in nessun modo, più che altro.
"sai che lo farei, se potessi, tesoro"
"Preferisco restare a casa" insisté Sally. "Ben può insegnarmi a leggere quando torna dal collegio."
L'uomo le si inginocchiò davvanti e le strinse le mani.
"La guarderò io" disse Estelle prima che lui potesse proferire qualunque banalità paterna stesse per dire.
Chiaramente sorpresi di essere stati interrotti, l'uomo e la bambina si voltarono verso di lei all'unisono. Estelle ebbe la strana sensazione di essere messa sotto giudizio da entrambe le paia di occhi. Si sentì disonesta, ma non poteva forse decidere di essere gentile se voleva farlo? Ciò che quell'uomo aveva visto in lei doveva per forza essere una bugia?
"Baderò io a te, Sally" ripeté convinta, sorprendendo un pó anche sé stessa. "Io sono una delle ragazze più grandi. Sarai perfettamente al sicuro, con me."
Sally si morse un labbro e guardò il padre.
"Vedi?" le disse, stringendo le piccole spalle con le mani.
"Cosa c'è di meglio che avere una ragazza adorabile come lei che ti guida per la scuola?"
"Devo rimanere, allora?" chiese Sally.
"Devi" confermò suo padre, con un sorriso gentile che gli sollevò gli angoli della bocca quando si rimise in piedi.
"È incredibilmente gentile, da parte sua" disse a Estelle.
"Non ha idea di quale peso mi abbia tolto."
"Non è niente" mormorò Estelle, ancora confusa dall'essere stata definita adorabile.
"Sono Edmund Fitz Clare" disse tenendole la mano.
"Sono professore di storia all'università."
Doveva intendere l'università di Londra, che era la più vicina. Ma chi avrebbe immaginato che fosse un professore? I suoi abiti sembrano troppo costosi perché un professore potesse permetterseli. Estelle gli strinse la mano, così stranita da far quasi cadere il romanzo di Agatha Christie mentre cercava di infilarselo sotto il braccio sinistro. "Io sono Estelle Berenger."
Lui mise anche l'altra mano sopra la sua, inglobandola così tra i suoi guanti. Sotto la morbida pelle, le sue dita sembravano particolarmente forti. "Una stella tra le donne, di sicuro."
Sapeva che stava scherzando sul significato del suo nome
-Estelle, stella e tutta quella roba- ma lei arrossì proprio come se fosse serio. Come ci si sentirebbe a essere una stella tra le donne, e a essere una stella per un uomo come lui? Non conosceva abbastanza il mondo per sapere cosa questo avrebbe comportato, ma cercare di immaginarlo la fece scaldare così rapidamente che i suoi vestiti iniziarono a darle fastidio.
Poteva praticamente sentire le sue labbra morbide e delicate sul collo.
Così leggermente che lei quasi non se ne accorse, il professore Fitz Clare inspirò deciso. Forse il momento di quell'inalazione fu solo una coincidenza, forse gli stava solo prestando troppa attenzione, ma se lui avesse ummaginato cosa stava pensando.... cosa quel tocco involontariamente eccitante le aveva fatto...
Non poté finire quel pensiero. I suoi occhi sembravano più scuri di prima e un flebile respiro gli allargava le narici.
Lei ritrasse rapidamente la mano appena lui la liberò dalle sue.
"Bene" le disse. Rialzò il collo del cappotto, nonostante la temperatura mite di metà mattina. Aveva il collo arrossato, notò, come se fosse leggermente scottato dal sole. "Devo tornare ai miei libri."
"Ciao papà" disse Sally con tristezza.
"Ciao, tesoro" rispose lui.
Estelle e Sally lo guardarono entrambe attraversare la strada di corsa per poi trovare riparo in una Ford Model T che lo stava aspettando. Considerando quanto era parso aggraziato fino a quel momento, la sua andatura sembrava stranamente insicura.
"Il professore beve" annunciò tristemente Sally con quell'aria da bambina innocente che ripete qualcosa che ha sentito dire agli adulti. "È per questo che dorme tutto il giorno."
Quelle parole sembrarono false a Estelle. Il professore non puzzava di alcol, né la sua voce suonava impastata.
"Forse è un animale notturno" disse, accarezzando timidamente i morbidi riccioli di Sally. "Ma anche se non lo fosse, non dovresti dire a tutti quelli che incontri che lui beve."
"Non dovrei?"chiese Sally.
"Non dovresti" disse Estelle con decisione.
Fortunatamente Sally le credette, e il suo primo giorno di scuola fu esattamente come Estelle aveva previsto. Estelle aiutò Sally ad ambientarsi per quanto ne avesse bisogno, che prevedibilmente non fu molto. La bambina gorgogliava di entusiasmo quando il padre tornò a prenderla. Sally si ricordò di ringraziare Estelle senza che le si chiedesse di farlo, ed Estelle ne fu colpita. Il fatto che furono i ringraziamenti del padre di Sally a renderla davvero felice, Estelle lo tenne per sé.
Senza contare che Sally, la cui verbosità era impossibile da reprimere, le aveva rivelato che non era sposato e che aveva adottato lei e altri due ragazzi più grandi dopo che erano rimasti orfani durante l'ultima guerra. Estelle sapeva che Edmund Fitz Clare non pensava a lei in maniera romantica.
Non aveva importanza quanto sembrasse gentile, Estelle per lui era solo una ragazzina.
Una ragazza adorabile, ripeté silenziosamente verso il cielo. Si era fatto buio, era ormai quasi sera. Fulmini gialli guizzavano tra le nuvole, e quella vista fu inebriante per i suoi nervi tesi. Un cane abbaiò convinto nella piazza sotto di lei, reso i.visibile dagli alberi. Estelle avrebbe voluto stringere a sé quel suono per suo piacere. I lupi ululavano in quel modo quando erano separati dalle loro compagne, anche se ovviamente nessun vero lupo sarebbe mai venuto a ululare a Londra!
Si domandò se il padre di Sally le avrebbe parlato, il giorno dopo.
"Estelle!" la chiamò sua madre da dietro la porta chiusa della sua stanza. "Tuo padre è tornato dalla banca. È ora di scendere per il tè."
"Arrivo subito" rispose, riluttante a lasciare la magia di quel suo sogno a occhi aperti.
Il tè con i suoi genitori non era altro che un fastidio, una riunione di famiglia pro forma cui nessuno era interessato.
Suo padre si sarebbe lamentato della politica economica della Gran Bretagna, di come impediva a uomini come lui di avere la carriera che meritavano, sua madre avrebbe detto 'Sì, tesoro' ed Estelle si sarebbe divertita a infilare la forchetta nelle sue tartine fino a quando sua madre non le avrebbe detto di smetterla. Guardare un temporale che si avvicinava era molto più eccitante, sentire il rimbombo dei tuoni, vedere il potere della natura avvicinarsi inesorabilmente. Estelle avrebbe dovuto cambiarsi d'abito, per il tè. Era bagnata fradicia, con la pioggia che batteva pesantemente sul suo vestito di cotone. Il tessuto incollato alla pelle la rendeva più conscia del proprio corpo, della sua forza e della sua femminilità. Forse stava diventando una donna. Forse quel giorno era parte della sua crescita.
Ciò che avvenne poi non diede alcun preavviso.
Il cane triste abbaiò nuovamente, e un lampo riempì l'aria sopra il balcone. Estelle non poteva credere a ciò che stava vedendo: un fulmine si stava formando proprio davanti a lei. Tutti i peli del suo corpo si rizzarono.Lo scoppio di elettricità si diresse verso di lei, accecandola come avrebbe fatto il sole. Sarebbe morta, ma non ebbe modo di provare null'altro che sorpresa.
Davvero?, pensò nel millisecondo che le rimaneva. Devo andarmene proprio adesso?
Avrebbe potuto giurare di aver sentito qualcuno ringhiare un 'no!' .
Il tuono le tormentò le orecchie quando un'ombra saltò tra lei e la vampata di luce. Avrebbe chiuso gli occhi, se avesse fatto in tempo. L'ombra sembrava un lupo in piena corsa.
Un'allucinazione, di sicuro.
Come per provarlo, il fulmine colpì il fantasma, rompendosi in tanti frammenti multicolore. Uno le polpì l'occhio destro, corse giù per il braccio e uscì dal dito medio della mano. Lei fu sbalzata all'indietro, volando per tutta la stanza fino a colpire con la schiena il muro dietro il letto, crepando il gesso sotto la carta da parati. Nessuno dei suoi arti si muoveva. Incapace di fermare la caduta, scivolò fino a metersi per metà seduta e per metà accasciata sul materasso. De fumo fuoriusciva in grigi sbuffi dalle suole delle sue scarpe. Le sembrava di avere del carbone bollente infilato nell'orecchio sinitro.
"Estelle!" urlò sua madre, ma Estelle aveva perso la capacità di rispondere.
Vedeva una serie di disegni attraverso l'occhio che era stato colpito dal fulmine. Cavalieri a cavallo. Una donna di piccola statura, con i capelli neri e la pelle candida come la neve.
Mio dio, pensò, forse sono davvero morta.

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