Capitolo 6 Harley Street

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La vampira, completamente nuda, scostò le pesanti tende si seta alla finestra del salottino. Voleva vedere la schiera di case in stile georgiano, così da ricordarsi per cosa stava combattendo. All'interno di quel salottino, le lampade erano tutte spente. Quasi per compensare questo fatto, la vampira brillava leggermente di una pallida fosforescenza che si estendeva a un centimetro dalla sua pelle. Il suo incanto tendeva a essere imperfetto quand'era rilassata. Se qualcuno avesse alzato lo sguardo da Harley Street a quell'ora, avrebbe pensato di aver visto un fantasma. Una parte di lei voleva essere vista, non era mai passata inosservata quand'era mortale.

"Che ore sono?" chiese al suo compagno.

Anche Frank era nudo, seduto scompostamente su un'elegante sedia vittoriana che sembrava troppo delicata per lui. Era un grande uomo dai capelli biondi, con il volto più nobile che lei avesse mai visto, come un angelo guerriero ritratto in un dipinto rinascimentale. Il suo corpo era forte e snello, massiccio. L'esatto opposto di quello di lei, e lei lo apprezzava. Aggiungeva qualcosa ai loro rapporti sessuali. Sospirando leggermente, esasperato dal sentirsi fare la stessa domanda per l'ennesima volta, Frank aprì il suo orologio d'argento da taschino. Lo portava sempre con sé, e conteneva alcuni granuli di ferro grezzo bagnati del sangue della donna. Contrariamente alle informazioni sbagliate che gli esseri umani si bevevano, l'argento non aveva alcun effetto su di lui. Il ferro, invece, gli permetteva di condividere il dono che lei aveva di impedire agli altri di leggerle la mente contro la sua volontà. La vampira aveva un aspetto giovanile, rispetto ad altri, ma in quella capacità eccelleva.

"Sono le quattro e venti" disse.

Quindi avevano due ore prima di dover tornare di corsa alla metropolitana dove, ignoti agli umani, tutti e tre i gruppi di succhiasangue di Londra avevano stabilito la loro base. Se avessero atteso più a lungo, le stazioni sarebbero state affollate di lavoratori e di treni. Secondo il loro intrepido capo, la ragione per cui gli upyr vivevano sottoterra era la sicurezza: i bunker erano difficili da attaccare. La vampira aveva un'altra teoria. Era convinta che la vera ragione dietro quella scelta fosse la volontà di radunarli tutti sotto il controllo della regina.

Ci ha trasformati in topi, pensò. Anche se, a parte qualche occasionale infiltrazione d'acqua, gli alloggi sotterranei erano lussuosi.

"Ti piacerebbe possedere una casa come questa, un giorno?" le chiese Frank, nascosto nell'ombra.

Quello che le sarebbe piaciuto era non sentirsi ricordare che non era sua. Il proprietario, un medico giovane e virile, era profondamente addormentato al piano di sopra, dopo che lei e Frank avevano ridotto di oltre mezzo litro la quantità di sangue che aveva nelle vene. La vampira si leccò le labbra nonostante il fastidio che le aveva provocato quella domanda. Si era stupito persino quel buon dottore accorgendosi di essere interessato a Frank che lo stava mordendo tanto quanto era interessato a pompare il suo uccello dentro di lei, e la sua reazione era stata troppo marcata per poter essere considerata una semplice risposta al morso. Appena la coppia se ne accorse, lo obbligò a scoparsi Frank fino a che venire non gli faceva male. IL giorno dopo il medico non si sarebbe ricordato nulla, di tutto quello; avrebbe semplicemente pensato di essersi abbandonato troppo all'alcol. Però, in fondo, avrebbe potuto provare un fremito di interesse proibito la prossima volta che avesse incontrato un maschio teutonico grande e grosso. La vampira e il suo compagno avevano solo fatto emergere verità preesistenti.

"Sento il rumore dei tuoi pensieri" le ricordò Frank. "Perché non vieni qui e condividi con me i tuoi ricordi?"

Il cuore di lei iniziò a battere prima ancora che si girasse. Lo amava, più di quanto amava sé stessa. Un miracolo cui non avrebbe mai pensato di assistere. Sarebbe per sempre stato un principe, ai suoi occhi.

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