Capitolo 13 L'Imperial

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L'Imperial era il cinematografo preferito da Sally e Ben, sfarzoso ma confortevole. Di sera era pieno di famiglie, ma questo non li infastidiva. A loro piaceva scambiarsi commenti a bassa voce durante il film, e la rumorosità del locale rendeva meno probabile che qualcuno li zittisse.
Solitamente si sedevano in disparte, nelle prime file o nelle ultime, a seconda di come si sentivano sul momento. Quella sera, per la costernazione di Edmund, avevano scelto di sedersi lasciando lui ed Estelle nel mezzo della fila, con Graham seduto proprio davanti a lui. Edmund adorava la sua famiglia, ma in quel momento la loro vicinanza lo faceva star male. Si era abituato troppo a nascondere i propri appetiti sessuali ai suoi figli.
Determinato a non farsi distruggere tutte le speranze per quella notte, appena le luci si spensero prese la mano di Estelle. Sorrise a sé stesso quando le dita di lei si chiusero intorno alle sue, divertito dalla sua stessa felicità. Era un piacere così semplice. Calore umano. Affetto umano. Niente poteva eguagliare la sua meravigliosa innocenza.
Poi Estelle accavallò le gambe, e il debole sibilo delle sue calze accese la sua libido come un fiammifero.
Serrò le mascelle e ordinò ai propri occhi di rimanere fissi sullo schermo, dove uno sciame di donne in costume da bagno, per qualche ragione a lui sconosciuta, stavano formando con i propri corpi dei fiori giganti sull'acqua blu di una piscina. Estelle accavallò e gambe al contrario.
Dannazione, pensò Edmund. Il suo tocco probabilmente la stava facendo eccitare. Teneva la mano destra di lei nella propria sinistra, e lampi dei pensieri di lei scorrevano lungo quel collegamento. Si stava chiedendo se lui ce l'avesse duro (e a quel punto lo fu di sicuro!) e stava ricordando quant'era caldo e delicato quell'uccello sulla sua lingua. Si sentiva disorientato, a dir poco. Le strinse la mano, con la remota speranza che quel gesto spostasse i suoi pensieri su un argomento più tranquillo. Invece, si chiese se lui avrebbe onorato la promessa di baciarle il clitoride e se lei sarebbe stata troppo imbarazzata per apprezzarlo. Lei sperava che non lo sarebbe stata. Il suo piccolo organo pulsava in maniera fastidiosamente insistente, e avere la sua bocca proprio lì, a succhiarla con la stessa esperienza con cui le aveva succhiato i seni, le avrebbe probabilmente donato il piacere supremo.
Poi lo immaginò che si inginocchiava tra le sue gambe proprio lì nel cinematografo.
Edmund balzò in piedi come se l'avesse punto un forcone infuocato. Il che, a essere sinceri, non era poi molto lontano dalla verità.
"Scusate" borbottò parlando con i canini completamente esposti. "Avrei dovuto ritirarmi prima di uscire di casa."
Signore, quant'era suonato idiota. Eppure Estelle disse: "Anch'io" saltando su anche lei.
Edmund grugnì in silenzio. Aveva le guance arrossate a causa di quello che sospettava essere umano imbarazzo. I suoi familiari li guardavano straniti, e purtroppo lui non ebbe la forza d'animo di convincere Estelle a rimanere.
"Mamma" si lamentò un bimbo dietro di loro "falli sedere!"
"Voi rimanete" disse lui ai suoi figli, aggiungendo una spinta mentale a quell'ordine. "Torniamo subito."
Nonostante l'imbarazzo, tenne Estelle per mano mentre percorreva la fila fino ad arrivare al corridoio. Lui riusciva a vedere nel buio meglio di lei.
"Scusa" gli sussurrò lei mentre cercava di stargli dietro.
"Non riuscivo a star seduta lì un secondo di più. Non con te accanto. Non dopo che ho pensato a te per tutto il giorno."
"Va tutto bene" ansimò Edmund, con tutti i sensi che gli dolevano in un modo che lui poteva definire solo come maledetto. Strinse le labbra in modo che gli nascondessero i canini. Faceva fatica a pensare, mentre cercava nell'atrio dell'Imperial il più piccolo angolo che potesse dar loro un pizzico di privacy. I bagni sarebbero stati ma possibilità, se non fossero stati divisi per sesso. Anche se avrebbe potuto nascondere entrambi con il suo incanto, dubitava che Estelle avrebbe accettato quella scelta senza fare domande, e in quel momento le domande erano fuori questione. Le domande avrebbero ritardato di svariati terribili minuti il momento in cui lui l'avrebbe fatta sua.
"Ti prego" lo pregò Estelle. "Trova un posto dove possiamo stare da soli."
Guardo il suo viso arrossato dal desiderio, gli occhi luminosi e pieni di fiducia. Per un secondo tutto ciò che riuscì a pensare fu che i suoi zigomi chiari erano nati per essere di quel colore. Il cervello gli tornò lucido un istante dopo, e dovette chiedersi cosa lei avesse detto. Estelle non era una persona volgare. I bisogni di lui erano stati così ovvi per lei, oppure la loro relazione stava portando alla luce la sua anima più terrena? Entrambe le possibilità lo facevano gemere. Le cosce di lei strusciavano l'una contro l'altra sotto la gonna, con il peso del corpo che passava in continuazione da un piede all'altro.
"Un guardaroba" gli suggerì. "Qualunque cosa, ma sbrighiamoci."
Lui le afferrò una mano e la trascinò nel corridoio più vicino, camminando sempre più velocemente per l'urgenza che lo pungolava. Forse il desiderio di entrambi finiva per influenzarsi a vicenda. Estelle iniziò a inciampare, ma non se ne lamentò. Lui sarebbe impazzito se non avesse potuto prenderla. Avrebbe finito per sbatterla a terra e....
"Sgabuzzino!" gemette Estelle, indicandolo con una mano. Lui girò la maniglia troppo in fretta per rendersi conto se fosse chiusa o meno, o se la sua forza aveva spezzato la serratura. Si gettarono baciandosi in quello spazio angusto e buio.
"Scusami"disse Estelle tra una famelica intrusione di lui e un'altra. I canini di Edmund erano affilati come spade ormai. L'avrebbe tagliata da un momento all'altro. "Credevo di impazzire."
"Io sono già impazzito" la rassicurò. L'Imperial era riscaldato in maniera mediocre, quindi gli spettatori raramente si toglievano le giacche. Lui lottò per toglierle la giacca da cosacco che le arrivava ai fianchi, così da poterla toccare meglio. Per sua frustrazione, lo sgabuzzino era troppo piccolo per permettergli di sfilare la manica dal braccio di lei. Anche la sua giacca Chesterfield non aiutava, era grande abbastanza da essere una persona vera e propria. Quando provò a muoversi, colpì col piede uno spazzolone e un secchio.
"Dannata giacca" mormorò. "E non sento nemmeno il freddo."
"Non fa nulla." Sempre pratica, Estelle era intenta a slacciargli i bottoni. "La apro io." Gli cinse i fianchi con le mani, lasciando andare un gemito, e le fece subito scivolare sulla sua erezione. Quel contatto fu così benvenuto che anche lui gemette. "Oddio, Edmund, è per questo che ti sei chiuso in bagno quella notte nel mio appartamento? Eri talmente eccitato da doverti dare piacere?"
Lui non riusciva a parlare. Le dita di lei lo stavano massaggiando fin sotto le palle. E come se non fosse abbastanza, lui pensava che stesse sottintendendo di essere anche lei così eccitata, e questo gli fece andare in cortocircuito il cervello. Lei abbassò le mani, e lui sbatté le palpebre quando tornò in grado di pensare lucidamente.
I suoi occhi da upyr si erano abituati alla piccola lama di luce che arrivava da sotto la porta. Quando vide cosa stava facendo lei, dubitò di poter rimanere in grado di pensare ancora a lungo.
"Oh, signore" gemette Estelle, tirandosi freneticamente su la gonna. "C'è spazio a malapena per alzare le gambe." C'era spazio a malapena, ma stavano per far baccano con tutti gli attrezzi per le pulizie che c'erano in quello sgabuzzino. Edmund aveva dei dubbi che potesse concentrarsi a sufficienza da fotterla e coprire il rumore con il proprio potere. Perlomeno non si stavano più baciando. La bocca gli ronzava, e aveva paura che l'avrebbe ferita leggermente. Chiuse gli occhi quando sentì un nuovo flusso di sangue dirigersi verso il suo bacino. Disperato com'era, una scopata senza freni era l'unica cosa che poteva concedersi.
"Possiamo cercare un altro posto" disse ansimando mentre si abbassava con violenza i calzoni. Il suo uccello svettò libero senza alcun aiuto, una creatura minacciosa troppo grande per la sua pelle, che voleva fortemente infilarsi tra le carni morbide e bagnate di lei. Tra poco, promise a sé stesso.
"Forse possiamo trovare un posto più grande."
"No" grugnì Estelle. "Voglio che tu mi prenda ora."
Le dita di lei trovarono la fonte della sua follia, circondando l'asta e alzando il cerchio che avevano formato con dolce decisione. La sua mano destra ricordava perfettamente come gli piacesse che il prepuzio sfregasse sulla corona del glande. Avere la mano di lei che lo faceva invece della propria - le sue dita calde e femminili - fecero impazzire i nervi di Edmund. Con un barlume di lucidità dovuta al bisogno, la alzò dal pavimento e diede un calcio a un bancale pieno di non si sa cosa.
"Tieni scostata la gonna" le disse con un tono rauco per il grande desiderio. "E apri le gambe. Sei all'altezza giusta per farmi entrare."
"Voglio salirti sopra."
"Urteresti troppe cose con i piedi, e qualcuno verrebbe a controllare. Fidati, funzionerà."
O almeno sperava che funzionasse. Se era per quello, non era sicuro di cos'avrebbe fatto, se non avesse funzionato. Lei gemette quando le infilò un dito per controllare. Era talmente bagnata, talmente calda, che lui avrebbe potuto gridare di frustrazione per non avere ancora l'uccello dentro di lei.
"Sssh" la cullò, smanacciandole il corpo con decisione.
"Cerca di non fare rumore."
Sperando di farla rilassare, o forse di rilassare sé stesso, la portò a un rapido orgasmo con la mano. I suoi gemiti e le sue contrazioni erano quasi troppo per lui. Con l'impressione di essere sulla strada diretta per l'inferno o per il paradiso, mise il suo pene pulsante all'entrata della sua vagina.
L'orgasmo non sembrava averla calmata.
"Entra dentro di me" gli disse. Le sue dita si piantarono nel collo di lui mentre apriva le gambe ancora di più. "Mettimelo dentro, adesso."
Non si poteva più aspettare. Lei era pronta, e lui stava morendo dalla voglia. Nonostante la durezza della sua erezione, la penetrò totalmente con un colpo solo. L'estasi lo accecò, fu come infilare l'uccello in un mare di fuoco liquido. Che Dio benedica Estelle e il suo essere così accogliente. I muscoli della parte interna delle sue cosce guizzarono contro il corpo di lui. Si dimenticò quasi di fermarla, quando tentò di alzare le gambe per stringerle attorno ai suoi fianchi.
"No" grugnì, lasciandola giù. Il corpo gli tremava, provava un desiderio immenso ma aspettò di essere certo che lei avrebbe obbedito. In quel momento di pausa, la mano di lei scivolò tra i loro due corpi per accarezzarsi le parti intime, stringendo il clitoride rigonfio tra le dita. Emise un suono che pareva un gemito. Quando lui poggiò le labbra sulla sua guancia, trovò la traccia di una lacrima. Lo voleva tanto da piangere, letteralmente.
Tutto ciò che nel suo corpo poteva ammorbidirsi lo fece. Tutto ciò che nel suo corpo poteva irrigidirsi, stabilì un nuovo record.
"Lo faccio io" le disse con gentilezza. "Lascia che mi prenda cura di te."
Si prese cura di lei, ma senza gentilezza. Non sarebbe andato bene per nessuno dei due. Invece, si piantò sui piedi e spinse dentro di lei come una macchina impazzita, mentre con le dita le massaggiava il clitoride con tanta forza quanto pensava che il corpo umano di lei potesse reggere. Era umido e molto rigonfio, contraendosi dentro e fuori sotto la pressione circolare che lui stava esercitando sul suo bottone del piacere. I suoi singulti di piacere erano talmente violenti che lui dovette tener ferma la porta che lei aveva dietro le spalle per evitare che la scuotesse. Evitare di sbattere il corpo di lei contro il legno, quella era una vera sfida. Sapeva che lei voleva esserci sbattuta contro, che voleva essere penetrata violentemente a ogni spinta, tanto quanto lui voleva penetrarla violentemente. In quel momento, però, su era l'unica direzione in cui era sicuro andare.
Lo fece con così tanta forza da sollevarla da terra.
Tutto - l'ostacolo dei loro vestiti, lo spazio angusto, il disagio della posizione - lo fecero concentrare su quel piccolo spazio di nudo contatto, in cui la parte più dura di lui aveva come unico scopo nella vita di pompare e pompare nella parte più morbida di lei. Le terminazioni nervose del suo uccello facevano male da tanto erano vive. Non era mai stato così conscio di ogni movimento, di ogni più piccolo spostamento di pressione o dell'aumento della scivolosità della propria partner. I succhi di Estelle scivolavano lungo il suo corpo, e avrebbe giurato di poterne contare le gocce.
"Edmund" gemette lei in tono spaventato. Anche lei sentiva l'intensità della loro unione e temeva la potenza con la quale avrebbe raggiunto l'orgasmo.
"Mordimi la spalla" le ordinò mentre la sua vagina si stringeva, segnalando l'arrivo dell'orgasmo. "Altrimenti urlerai."
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