Capitolo 23 Heaven's Lake, Manciuria

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A Roma la moglie di Aimery stava organizzando un banchetto di addio, a cui Auriclus - l'ospite d'onore - non aveva alcuna intenzione di partecipare. Anche se organizzato con le migliori intenzioni, l'evento gli sembrava malinconico e superfluo. Auriclus aveva detto ad Aimery cos'aveva intenzione di fare poiché la sua dipartita avrebbe influenzato i mutaforma, non perché voleva le smancerie di qualcuno. Aveva sempre preferito amare la sua gente da lontano.
Per questo si trovava in Manciuria quella gelida mezz'ora prima dell'alba, sulle montuose rive di un lago così immobile, così dimenticato dell'umanità, che il suo silenzio era una presenza palpabile quanto il freddo gelido.
Heaven's Lake era da tempo uno dei luoghi preferiti da Auriclus. Formato da un cratere vulcanico, il suo specchio d'acqua cristallina era talmente puro che anche un upyr avrebbe potuto abbeverarcisi. Quella notte il cielo si allungava come ossidiana sulla sua superficie ghiacciata, la sua incommensurabile oscurità rotta solo dai puntini delle stelle. Con l'arrivo della ferrovia russa e, in seguito, l'invasione giapponese, molti esseri umani avevano scoperto quell'angolo di remota bellezza. Fortunatamente, le nevi dell'inverno li avevano rimandati a casa: gli escursionisti, i turisti e i Kazaki con le loro iurte. I pini ghiacciati e le cime coperte di neve appartenevano ad Auriclus, ora; erano sue per essere contemplate mentre ripensava alla sua lunga vita.
Appoggiò la schiena contro un grande masso grigio, consapevole del freddo ma non per questo scoraggiato. La sua stanchezza gli pesò leggermente, una compagna così familiare da essere diventata parte di lui quanto un qualunque organo del suo corpo. Lo divertì pensare di non sapere nella più di un mortale su ciò che viene dopo la morte. Una vita lunga insegna a una persona cos'è la vita, non ciò che traspare dall'altra parte. Con tutti i sistemi di pensiero che aveva visto arrivare e scomparire, non era per lui un mistero più piccolo che per chiunque altro.
Sorrise, e i canini gli scesero con piacere. Le  sue orecchie, più fini di qualunque marchingegno da ascolto inventato fino a quel momento, udirono il profondo e irregolare ruggito di una tigre siberiana che allontanava i rivali da una fresca preda. Era un suono che non aveva sentito da diverso tempo. I grandi predatori stavano diminuendo, anche i suoi amati lupi.
Per un istante pensò: Potresti rimanere, cercare di proteggerli. Ma interferire non era il suo modo di comportarsi. I branchi andavano ancora a caccia su quelle montagne. Doveva avere fiducia nel fatto che sarebbero sopravvissuti. In ogni caso, nessuno avrebbe potuto impedire al mondo di cambiare. Il pianeta stesso era stato disegnato per farlo. Vulcani, terremoti, incendi, inondazioni... cos'erano se non il modo in cui la natura faceva il cambio della guardia? Ogni cosa ha il suo tempo, e il tempo, e il tempo di Auriclus era giunto a conclusione.
Un barlume color perla iniziò a illuminare l'orizzonte sopra il versante del Changbai Shan. Quell'alba non sarebbe arrivata a Roma ancora per diverse ore, un fatto su cui Auriclus faceva grande affidamento.  La condivisione del suo grandissimo potere sarebbe stata uno shock per alcuni, ma avrebbero almeno avuto la sicurezza della notte per assorbirlo e adattarcisi.  
Alzò la pistola moderna e scintillante che aveva tenuto nella sua rilassata mano destra. Il caricatore era pieno di pallottole di ferro, realizzate per lui da un umano che aveva controllato mentalmente. L'uomo gli aveva anche mostrato come usare l'arma, rassicurandolo che avrebbe funzionato anche al freddo. Un upyr vecchio come Auriclus avrebbe impiegato moltissimo tempo per bruciare. Molto meglio morire rapidamente e lasciare che il sole si prendesse cura di ciò che restava - una rete di sicurezza, se vogliamo, nel caso in cui la pallottola non fosse abbastanza.
Delle figure iniziavano a prendere forma attorno a lui: bianchi dirupi scoscesi delle montagne, banchi di nebbia che ricoprivano la superficie del lago come fantasmi. Le lacrime gli bruciarono gli occhi, alla bellezza di quella scena, e divennero ghiaccio non appena iniziarono a scendere lungo la sua guancia color avorio.
Ho avuto una bella vita, pensò. Ho avuto una bella vita. 
Alzò il cane della pistola come il mortale gli aveva insegnato e premette forte la canna contro la tempia. Il metallo aveva esattamente la stessa temperatura della sua pelle. Così flebile che si domandò se non l'avesse immaginato, il lugubre ululato di un canis lupus si alzò e scomparve dietro di lui.
Il suono proveniva da ovest, dal leggendario Regno delle Ombre.
Perfetto, pensò mentre il suo cuore immortale batteva un'ultima volta.
Senza rimpianto né esitazione, premette il grilletto.

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