Capitolo 3

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«Fuma?» domandò il russo a Steuer porgendogli il pacchetto di sigarette.

«Nein» replicò secco l'altro.

Doskov aveva la netta impressione che l'uomo non cercasse minimamente di celare una certa insofferenza nei suoi confronti.

«Com'è l'alloggio?» tentò nuovamente di rompere il ghiaccio.

«Adeguato.»

«Ha già preso "confidenza" con la zona in cui si trova?»

«Ovviamente, commissario. Acclimatarsi nell'ambiente in cui si opera e conoscerlo gradualmente è il primo passo da compiere. E soprattutto va fatto con discrezione, cercando il più possibile di mimetizzarsi tra la popolazione.»

«Ovvio» commentò sbrigativo l'altro.

«Lo è, Doskov? Perché da quel che so a lei non è riuscito molto bene, visto che l'hanno quasi ammazzata.»

Dimitri fu leggermente spiazzato dall'uscita del tedesco ma cercò di non darlo a vedere. Werner se ne accorse e intimamente soddisfatto proseguì. «Sì, ovviamente so cos'è successo all'appartamento in cui alloggiava. Le informazioni, Doskov, sono ciò su cui si basano il potere e la sicurezza e a noi non mancano mai. Informazioni e sicurezza sono la priorità. Mi perdoni se mi permetto di dirlo, non è stato proprio un bel colpo.»

Il Ministero per la Sicurezza dello Stato Tedesco era un servizio di spionaggio ben più efficiente del sempre più imbolsito KGB sovietico; pur essendone stato per diverso tempo una quasi diretta emanazione, da quando le Germanie si erano riunificate sotto la bandiera della DDR il mare di risorse umane, finanziarie e informative su cui avevano messo mano i tedeschi dell'est aveva reso il ministero un colossale apparato di spionaggio che nulla aveva da invidiare a quello sovietico e anzi era ormai probabilmente più ramificato. Più efficiente, capillare ed organizzato di quello sovietico, gli agenti della Stasi nutrivano un misto di superiorità, insofferenza e quasi disprezzo verso i sovietici che ormai percepivano come agenti stranieri con cui collaborare controvoglia. Siamo tedeschi e le cose le sappiamo fare certamente meglio dei russi, si diceva sempre meno di nascosto nella DDR, e i risultati che il ministero della sicurezza raggiungeva sembravano dimostrarlo. Quell'atteggiamento sprezzante si manifestava anche nel comportamento di Steuer che non nascondeva un certo biasimo verso Doskov. Puntare alle mancanze del russo sembrava essere per lui una soddisfazione quasi patriottica.

«Fatto. Di cosa parlavate?» Aldo sbucò dall'entrata del bar, spezzando senza saperlo una situazione sempre più tesa.

«Stavamo ricapitolando la situazione» rispose compassato il tedesco.

Dimitri rimase in silenzio, annuendo appena.

Saliti in macchina riprese la parola. «Che contatti potrebbe avere questo agente della Gehlen?»

«Questo dovreste dirmelo voi. È probabile che sia qui per stabilizzare i contatti coi movimenti eversivi in zona e forse aiutarli a mantenere intatta la rete dopo il duro colpo che, va detto, avete inflitto loro con la recente operazione. Anzi, complimenti per il successo» il tono di Werner nell'ultima frase suonò vagamente canzonatorio.

«Il clan Laurana è fuori dai giochi» rispose Doskov. «Il capo della famiglia è sotto interrogatorio da giorni ma non sta dicendo tutto ciò che sa. Certo, se potessimo metterci mano io o uno dei miei probabilmente avrebbe già vuotato il sacco, ma il SID e la polizia italiana si sono impuntati nel condurre direttamente l'interrogatorio.»

«Gli italiani non si fidano di voi?» domandò Werner malizioso.

Doskov ignorò la stilettata del tedesco e proseguì. «I Laurana erano solo un pezzo del mosaico, siamo ben lontani dal mettere in crisi la rete. Se da un lato l'abbiamo destabilizzata, scoprendo il sistema con cui le armi arrivano, dall'altro il vuoto lasciato da loro verrà riempito in fretta dagli altri clan e con una famiglia rivale in meno in circolazione i Di Marzio si sentiranno più forti. Saranno ancora più accorti di prima nel gestire la propria logistica e questo rende più difficile il nostro lavoro.»

Napoli non crede alle lacrimeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora