A me basta avere lui

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«Satoru!»«Satoru!!!»

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«Satoru!»
«Satoru!!!».
Merda, non si vede un accidenti!, ansimò Geto angosciato.
L'aria era fredda.
Il buio si faceva sempre più assoluto.
Gola e bronchi bruciavano terribilmente ad ogni respiro.
«Satoru!», lo chiamò di nuovo, spingendo lo sguardo in ogni direzione.
Circondato da arbusti su ogni lato, lo stregone si domandò come avrebbe fatto a trovarlo: per quanto piccolo rispetto a tanti altri nella zona, quel bosco era comunque molto fitto e si estendeva per un raggio di circa dieci miglia ai margini dell'area urbana.
Okay, d'accordo.
Respira.
Calmati.
Come aveva detto il professor Yaga? Prendi visione del punto di raccolta.
«Okay, il- punto di raccolta», deglutì il ragazzo, sciogliendo i muscoli del collo e del torso.
Si sforzò quindi di regolarizzare il respiro e chiuse gli occhi, strizzandoli, quasi, nella semioscurità, pur di far emergere nella mente l'immagine più nitida che gli riuscisse.
Il punto di raccolta.
Serrando i denti, calcò i piedi al suolo e divaricò le gambe.
Sì. Lo vedeva, ma era ancora troppo lontano.
Istintivamente sporse un braccio nel vuoto.
La mano, sospesa nell'aria gelida, sfiorò qualcosa di inconsistente, come uno squarcio nero e sottile.
Stringendo ancora di più le palpebre, Geto lo chiamò a sé, forzandolo ad avvicinarsi.
«Avanti, avanti-», sibilò tra i denti.
Ma subito dopo un'intenso bagliore gli incendiò la vista, nonostante i suoi occhi fossero ancora chiusi.
Sbarrandoli, scartò di lato e si sentì investire da un vento caldo e intenso, seguito dall'inconfondibile odore di legna bruciata.
«Satoru!», esclamò, fiondandosi nella direzione dell'incendio.
Resisti, amico. Sto arrivan-
Sorpreso nel bel mezzo di quella corsa disperata, Geto venne investito alle spalle da una potente onda d'urto che lo sbalzò in avanti di qualche metro.
Atterrato sulle ginocchia e sui palmi, rialzò il volto e sgranò gli occhi nel buio.
L'incendio era scomparso.
Così come anche gli alberi e l'intero bosco.
Non vedeva più nulla di ciò che lo circondava.
Di fronte ai suoi occhi vedeva solo lo squarcio allungarsi e distorcersi.
Fino ad aprirsi totalmente.

«Avanti, gattino! Non ti sarai offeso!», gemette Satoru, ripulendosi le vesti sporche di terra e aghi. «Hai mai visto un cane fare tutte queste sceneggiate?», aggiunse, serrando subito dopo i denti nello scorgere l'enorme mostro piombargli addosso da un ramo.
Prontamente, Satoru schivò l'agguato e rotolò agile sul terreno.
Il suo intero corpo baluginò allora di un intenso azzurro e, accompagnando il gesto e la fatica con un lamento sommesso, disarcionò uno dei tronchi nelle vicinanze per scagliarglielo addosso.
«Troppo lento- merda», sibilò contrariato, vedendo il Nekomata spiccare un balzo di un paio di metri per schivare l'arbusto ed arrampicarsi su uno degli alberi vicini.
Ci siamo, pensò.
E preparandosi, Gojo riattivò l'infinito.
Come la volta precedente, l'enorme sfera infuocata lo raggiunse dall'alto ed esplose al suolo, incendiandolo all'istante e rendendo l'aria un inferno irrespirabile.
Era il momento: protetto dalle fiamme, lo stregone si lanciò in mezzo al fuoco in direzione opposta all'attacco, sorprendendo la creatura nell'atto di tornare a terra.
«Preso!», esclamò, serrando le braccia attorno all'enorme felino.
Sì. E ora?
La sua energia malefica era ridotta all'osso, non avrebbe potuto mantenere attivo l'Infinito ancora per molto.
Che idea del cazzo, gemette tra sé, rotolando a terra insieme a quella creatura dagli artigli lunghi almeno quanto coltelli.
Non ebbe tempo di rialzarsi e sfuggire a quelle lame: schiacciato al suolo dal corpo della bestia, questa riuscì a vincere la barriera ormai indebolita, lacerandone la serie di infiniti convergenti una dopo l'altra.
Una zampa. Una seconda.
E poi una terza sulla spalla.
Il suo fiato feroce gli lambiva ormai il coppino.
Gojo sgranò gli occhi.
«Cazzo-».
Il Nekomata prese ad affondare sempre più brutale gli artigli, graffiando e lacerando la barriera attorno al corpo dello stregone.
Inchiodato al suolo dalle sue zampe poderose, questi cercò invano fino all'ultimo di liberarsi da quella presa mortale.
Finché non arrivò la prima sferzata.
E il dolore lancinante gli mozzò il respiro in gola.
Squarciate le vesti e la carne, non poté fare altro che rinunciare completamente all'Infinito per concentrare l'energia malefica sulle ferite e minimizzare la perdita di sangue.
Un'altra sferzata.
E una terza.
Quegli artigli abominevoli continuarono imperterriti ad aprirgli solchi e squarci nella schiena, senza concedergli tregua.
Il sangue spruzzava in ogni dove.
La carne ridotta a brandelli si staccava dalle ossa del costato.
Latrando di dolore, Gojo affondò le dita nella terra e sbarrò gli occhi sotto ogni singolo fendente di quei micidiali artigli.
Si... mette male- si mette malissimo.
Ma non poteva restare fermo.
Non aveva altra scelta o quella bestia lo avrebbe ridotto in poltiglia.
Perciò, nonostante il dolore dilaniante, svincolò di nuovo l'energia malefica e la concentrò in un ultimo disperato attacco: aiutandosi con un enorme ammasso roccioso, si levò di dosso quella fiera indomita scaraventandoglielo sul fianco.
Finalmente libero, si trascinò quindi verso il margine opposto del piccolo spiazzo divorato dalle fiamme.
Era senza forze.
L'energia malefica rimastagli in corpo bastava giusto ad arginare le emorragie più gravi, così da evitargli il dissanguamento.
Yaga lo avrebbe ammazzato, se non fosse morto.
«La prima regola- davanti ad una maledizione di livello... speciale», sogghignò. «Che stronzata- sono anche io un livello speciale, no?», ansimò, stringendosi il braccio sanguinante e brutalmente sfregiato.
Di nuovo, il Nekomata si scagliò su di lui.
Stavolta lo avrebbe finito.
Ma irriducibile, Gojo lo schivò.
Scartò di nuovo a lato, rispondendo all'ennesimo attacco sfruttando il mero corpo a corpo.
Con un solo affondo riuscì a spezzargli qualche costola, rinunciando però ad altra preziosa energia.
Guadagnò giusto una manciata di secondi e, sfinito, crollò sulle ginocchia.
«Ah, che palle-», ansimò poco dopo, sollevando il braccio ridotto meno male per contenere l'imminente nuovo agguato.
L'urto fu tanto violento da sbalzarlo indietro e farlo schiantare contro un tronco.
«Lo vedi? È- per questo che preferisco i cani-», gracchiò tra i denti, serrando con forza le dita attorno al collo della maledizione per contrastarla.
Intrappolato tra quel demonio e l'arbusto, non avrebbe resistito ancora troppo a lungo: sia che lo avesse azzannato al collo, sia che lo avesse incendiato con un altro dei suoi attacchi di quel genere, Satoru si sentì ad un passo dalla vera fine.
E gli ritornò tanto assurdo quanto inaccettabile.
Dai, ammazzato da un gatto?
Non scherziamo.
Rifiutando categoricamente quel genere di sconfitta, impresse ancora più a fondo le dita nella pelliccia della fiera e, con un urlo disumano, spinse tutto il corpo a contrastare la forza del Nekomata.
«Non- da un maledetto- gatto!», gridò fuori di sé, piegando le gambe e strisciando i piedi nel suolo.
Soffiando e digrignando furioso tra i denti, alzò quindi anche l'altro braccio, a discapito della sofferenza e del dolore.
No. Doveva vincere lui.
E in un ultimo disperato tentativo, gli afferrò il muso tra le dita sanguinanti, infilando indice e anulare nelle orbite fino a spappolargli entrambi i bulbi oculari.
Il Nekomata, finalmente, arretrò.
Fu allora che arrivò l'impatto finale.
Enorme.
Bianco.
Satoru non vide altro.
Solo una gigantesca bocca allungata e spalancata, che afferrò il Nekomata all'addome e lo spezzò in due con un grottesco scricchiolio di ossa rotte.
Finalmente libero, Gojo si accasciò sul fianco e, ai piedi dell'arbusto, perse i sensi dallo sfinimento.

L'ultima Calda Primavera - SatoSugu PrequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora