Per quanto lo stesse cercando, di Satoru sembrava non esserci più traccia in tutto l'Istituto.
Non era in aula, non in camera o in ala ristoro, non in palestra né tanto meno nei corridoi dell'edificio principale.
Geto incrociò anche Mei Mei ed Utahime, ma nemmeno loro sembravano averlo rivisto dalla notte precedente.
E come loro nemmeno i due studenti del secondo anno, quelli del terzo e tanto meno quelli del quarto avevano saputo aiutarlo.
Per ultima si imbatté in Shoko, a pochi passi dall'uscita del laboratorio: vedendola sola, si lasciò andare in un sospiro rassegnato.
«Quando si dice che il buongiorno si vede dal mattino», commentò la compagna, sistemando i suoi appunti nello zainetto. «Cos'è quella faccia da funerale? Damaru te le ha cantate, finalmente?»
«Eh?»
«Niente, niente», tagliò corto, avviandosi lungo il corridoio.
«Sto cercando Satoru».
Che novità, sogghignò Shoko, ma subito si premurò di mordersi la lingua: non aveva voglia di imbarcarsi in una seconda discussione.
«In realtà lo sto cercando da più di un'ora»
«È successo qualcosa?»
«Sì, in effetti... ma non importa, la risolverò», sospirò il giovane, aprendole la porta sull'esterno. «Tu, piuttosto? Ti sei rigenerata dopo stanotte?»
«Cavoli, deve essere anche qualcosa di grave, allora! Cosa sono tutte queste premure?»
«Premure?! Hai prosciugato la tua energia malefica per salvare Satoru, mi sembra il minimo», ribatté Geto, seguendola all'esterno. «Hai fame? Io non ho ancora pranzato»
«Sto andando in mensa»
«Perfetto. Mi manca solo quel posto prima di dichiararmi sconfitto»
«Mi vuoi dire cos'è successo? O è un segreto?», lo incalzò Shoko, sbirciandolo attentamente. Aveva un'espressione piuttosto tesa, in volto.
«Abbiamo litigato»
«Anche voi?»
«Perché, ci hai litigato pure tu?»
«Sai che novità. Andarci d'accordo è praticamente impossibile»
«No, Shoko, nel mio caso... fa impressione persino a me dirlo, ma ho sbagliato io».
Questa sì che mi è nuova invece, pensò la giovane, interrogandolo poi sulla discussione.
E dovette ammettere che aveva ragione di sentirsi in colpa: Satoru si era comportato da vero amico. Anzi, si poteva dire avesse agito per la prima volta in nome del buon senso.
«E contro i suoi stessi interessi, stento quasi a crederci»
«Già», sospirò Geto. «E io in cambio l'ho trattato al pari di tutti gli altri»
«Adesso però non ti fustigare», commentò Shoko, oltrepassando l'ingresso della mensa. «Se consideriamo la quantità di volte in cui si è comportato da perfetto imbecille, si può dire che con questa abbia giusto cominciato a saldare il debito».
Suguru, tuttavia, non riuscì affatto a vederla in quel modo. Al contrario, più si soffermava col pensiero e più non gli riusciva di inchiodare nella mente una sola circostanza, di quegli ultimi due mesi e mezzo, in cui gli fosse venuto meno come amico. «A dire la verità... forse sono state più le volte in cui mi ha spalleggiato lui, che neanche io».
Le dita di Shoko si ammorbidirono attorno alle bacchette, di fronte a quella considerazione: lei aveva sempre avuto la sensazione di stargli addirittura antipatica.
Quasi fosse un peso, una noiosa zavorra ai piedi della coppia di stregoni all'occhiello.
Ma per Geto, ovviamente, non valeva lo stesso.
«La notte in cui ho assimilato il Drago Arcobaleno, ad esempio... te l'ho già raccontato?», sorrise, rimescolando il riso nella ciotola.
Shoko scosse la testa, inghiottendo l'amarezza: quando mai l'avevano resa partecipe delle loro avventure, quei due?
«Sono stato malissimo, Shoko. Infinitamente peggio della notte in cui mi avete visto assimilare la mia prima maledizione»
«E... che ha fatto?».
Suguru ne sorrise ancora al solo ricordo. «Mi ha trascinato fino in metropolitana, nonostante vomitassi ogni due o tre passi»
Oh beh.
«Una volta lì, mi ha mollato sul muretto all'ingresso per andare a comprarci qualcosa da bere e quando è tornato indietro si è messo a litigare con due poliziotti che non volevano farmi salire in carrozza».
Oh.
«Dopodiché ha chiamato suo padre, per farci venire a prendere».
Shoko trasalì: la fama del Signor Gojo precedeva persino il suo nome, in quanto a rigidità e severità. Tutti sapevano quanto fosse algido nei confronti di chiunque, compresi la moglie e l'unico figlio.
Scorgendo la sua espressione sinceramente colpita, Geto annuì. «Già. Si è preso una lavata di capo per colpa mia... quella era una sua missione, io non avrei dovuto accompagnarlo. Ci sono andato di nascosto da Yaga per poter assimilare la maledizione del Drago Arcobaleno», le spiegò. «E non è tutto!»
«No, eh?»
«Mi ha scortato dall'ingresso dell'Istituto fino in camera mia e una volta lì mi ha persino rimboccato le coperte, ci credi?», continuò, sempre più amareggiato. «Ah, dannazione...», scosse il capo. «Senti, mangia anche il mio riso, se hai fame. Io torno a cercarlo», si arrese infine, alzandosi dalla sedia.
E Shoko lo richiamò, roteando gli occhi dall'esasperazione. «Smettila di fare il melodrammatico. Finiamo di mangiare, poi andremo insieme a chiedergli scusa, se ci tieni tanto»
«Ah, giusto! Tu perché ci hai litigato? Non me l'hai più detto», si accigliò il ragazzo.
E Shoko scosse vaga il capo. «Non è un motivo così grave, in realtà... mi ha solo dato fastidio una cosa»
«Sarebbe?»
«Si è lamentato dei due senpai del secondo anno. A quanto ho capito l'hanno avvicinato, stamattina, mentre veniva in mensa... e gli hanno chiesto di potersi allenare con lui».
Geto alzò incredulo un sopracciglio.
«Si è sentito... usato»
«Lo credo bene, quei due l'hanno etichettato come un figlio di papà fino a ieri sera», commentò il ragazzo, sedendosi di nuovo. «Satoru sarà pure uno sbruffone... ma c'è da dire che la sua arroganza è largamente giustificata. E quei due, invece, sono dei voltagabbana eh? Buono a sapersi».
Battendo attonita le palpebre, Shoko lo squadrò a fondo e si sentì improvvisamente un'idiota.
L'avevano già lasciata indietro.
La loro amicizia si era fatta salda e profonda, mentre lei se ne stava lì a lamentarsi del tempo che non le dedicavano.
Sogghignando imbarazzata, si sentì quanto di più simile al terzo incomodo che se ne lamenta senza cognizione di causa. E ricordando le parole che Satoru aveva usato in loro difesa, quando aveva sostenuto che Mei Mei e Utahime li avevano seguiti, si sentì persino più stupida.
«Perché sorridi?»
«Nulla, stavo pensando», sussurrò, rialzando gli occhi sul volto del compagno. «Suguru... ieri sera avete invitato voi le senpai?»
«Ah? No, ci hanno raggiunti per non tornare da sole in metropolitana», rispose, serrando subito dopo le labbra. «No, d'accordo... in realtà non è andata propriamente così», aggiunse, adducendo al loro vero scopo.
«Quindi... non ho capito, la senpai Utahime ha una cotta per Gojo?!».
Geto ne ridacchiò. «Per come la vedo io, deve esserle già passata. Satoru le ha dato un due di picche clamoroso»
«Ma dai?»
«Giuro! Avresti dovuto vedere la scena, mi stavo sentendo male».
La sua reazione non fece altro che insospettirla ancora di più. «Sembri quasi compiaciuto della cosa-»
«Eh? Ma no, intendo dire che è stata una scena esilarante-»
«Addirittura, Suguru?! Sei persino geloso?!», scoppiò a ridere la ragazza, intenerita quasi dal risvolto dell'intera faccenda. Quei due si stavano comportando alla stregua di due amichetti delle scuole medie che non vogliono sentir parlare di femmine all'interno del loro sodalizio. «Mi dispiace dirtelo, ma temo che il rischio che vi facciate entrambi la ragazza a breve sia piuttosto concreto»
«Ma che c'entra?»
«C'entra eccome, perché tardi o prima dovrai accettare di condividere il tuo prezioso nuovo amichetto con una fidanzata esigente e gelosa... e non credo che una serata in sala giochi possa battere il genere di attività che farebbe con lei».
Suguru restò basito dall'altra parte del tavolo, domandandosi per quale motivo avesse tirato fuori dal sacco un'argomentazione del genere e interrogandosi anche sul perché questa gli stesse causando un sincero mal di stomaco.
«A parte che Satoru non ci parla neanche con le ragazze», commentò. «E se lo fa, o si atteggia da sbruffone o le prende in giro»
«In effetti... posso dire che dei due quello più ambito sia tu. Ma ti assicuro che nei discorsi delle ragazze, viene fatto spesso anche il suo nome-»
«Davvero?»
«Siete i due livelli speciali, Suguru. Questo basta a rendervi i ragazzi popolari della scuola», ribatté Shoko, alzando annoiata gli occhi al soffitto. Lei ne sapeva qualcosa, suo malgrado: la sua posizione l'aveva fatta scivolare nel mirino delle poche ragazze in Istituto. In due mesi l'avevano già braccata tutte per estorcerle quante più informazioni possibili sui due compagni di classe.
«Quindi, mettiti subito l'anima in pace», sospirò poco dopo, riprendendo a mangiare. «Che sia tu o lui, il primo, poco importa. Una volta che si intrometterà una ragazza nel vostro sodalizio, le cose cambieranno».
Lo aveva detto più per goliardia e forse anche per una forma di vendetta personale, eppure quelle parole cariche di cinismo ebbero un effetto immediato sul bel moro.
Ammutolendo, Geto si rimise a mangiare e non toccò più la questione.
Fu allora che nella mente vide riemergere il ricordo della misteriosa ragazza che aveva incrociato in aula, poco prima di affrontare il professore.
E con esso rivisse nitide le sensazioni e la reazione subitanea che il suo corpo aveva manifestato solo a trovarsela davanti.
D'un tratto incupito, si domandò se anche a Satoru fosse già capitato un incontro simile; sarebbe stato normale, del resto era un ragazzo dotato di una fama pressapoco incontrastabile, oltre che di una bellezza ineccepibile.
Già, pensò. Le probabilità sono piuttosto alte.
E la possibilità del tutto realistica.
Oltre che del tutto naturale, nel corso degli eventi.
Ma allora perché gli stava dando così fastidio il solo pensiero?
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L'ultima Calda Primavera - SatoSugu Prequel
FanficTokyo, estate 2005. Suguru Geto incontra per la prima volta Satoru Gojo. Tutti i diritti sui personaggi sono riservati a Gege Akutami, autore del manga Jujutsu Kaisen. I diritti inerenti la storia narrata sono frutto della mia fantasia e pertanto so...