La donna dei pensieri occulti

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Mancava una sola settimana all'Incontro di Scambio e, per quanto non vi avrebbe preso parte, Geto non aveva saltato una sola sessione di allenamenti intensivi in palestra

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Mancava una sola settimana all'Incontro di Scambio e, per quanto non vi avrebbe preso parte, Geto non aveva saltato una sola sessione di allenamenti intensivi in palestra.
Dedito alla causa, vi aveva anzi trascorso ogni singolo giorno con lo scopo di diventare sempre più forte.
Quel pomeriggio vi si era recato piuttosto tardi, una volta rientrato in Istituto da una missione con Gojo, e l'intero salone attrezzato era rimasto completamente a sua disposizione per tutte e due le ore che vi trascorse.
Fu sul finire degli ultimi esercizi col bilanciere che il portone si aprì.
E da esso entrò lei.
La donna misteriosa dalla bellezza disarmante.
Irrigidendosi sulla panca, Geto riabbassò la salvietta dal collo e si concesse giusto il tempo di un sorso d'acqua per guardarla, prima di voltarsi di spalle e riprendere ad allenarsi.
Gli mancava solamente un'ultima serie di stacchi- e il giovane si ritrovò ad eseguirli immerso in un silenzio d'un tratto teso.
Silenzio che lei non fu affatto di aiuto ad alleggerire: quei pantaloncini aderenti e la canottiera stretta lasciavano ben poco alla fantasia.
Ad ogni piegamento sul macchinario, per quanto cercasse di trattenerlo, lo sguardo di Geto finiva puntualmente calamitato laggiù, sulle generose grazie della ragazza.
Frustrazione e disagio ci misero ben poco ad inasprirsi e Geto si ritrovò a sfogarli sul bilanciere in stacchi energici e senza sosta, fino a che i bicipiti e i tricipiti non cominciarono a bruciargli dolorosamente.
Solo allora, con un lamento strozzato, lasciò ricadere il peso sul tappetino e, afferrata di nuovo la salvietta per asciugarsi la fronte e il collo, voltò nuovamente le spalle alla donna.
Meglio se per oggi termino qui, pensò poi, ingollando qualche sorso d'acqua dalla bottiglietta.
Anche perché sta diventando insostenibile-
«Geto, ricordo bene?».
La voce della donna uscì in un ansimo tanto elusivo da trapassarlo da parte a parte, inchiodandogli i piedi ad uno scarto dalla panca.
«Sì», rispose, voltandosi.
«Ti rubo un paio di minuti».
Che fosse una pessima idea, Geto lo evinse dal ricordo stesso delle parole di Yaga: quasi che il professore gli si fosse materializzato accanto per metterlo nuovamente in guardia, sentì la sua voce suggerirgli da un angolino della mente di lasciar perdere, ché quel "diavolo di femmina aveva già combinato abbastanza guai".
Ah, che cazzate!, si rimproverò subito dopo e, ridatosi un tono, le si avvicinò sorridendo disponibile.
«Problemi con lo squat?»
«Credo di sbagliare qualcosa», spiegò lei, inquietantemente seria in volto. «Quando vado giù, sento tirare troppo i legamenti».
Geto annuì. «Fanne un paio, ti do un'occhiata».
La ragazza obbedì, eseguendo due piegamenti sotto gli occhi attenti del più giovane.
«Prova a spostare i piedi più avanti sulla pedana»
«Così?»
«Un po' di più»
«Meglio?», fece lei, avanzando di mezzo dito.
Geto si domandò se non lo stesse facendo apposta, ma ancora una volta mise in sordina gli ammonimenti di Yaga e le sorrise paziente, accovacciandosi vicino alle sue gambe per indicarle la posizione corretta.
Dopodiché, lottando strenuamente contro se stesso per non alzare gli occhi al di sopra della linea del ginocchio, le scivolò le dita sul polpaccio. «Scendi», le disse quindi, premendo lievemente nel muscolo.
E la giovane si piegò sul suo braccio, entrando completamente nel suo campo visivo, seni, bacino e fondoschiena compresi.
Deglutendo, Geto serrò i denti e restò impietrito al suo fianco, guardandola di sottecchi con gli occhi iniettati desiderio.
Al terzo piegamento, si forzò di placarsi e le sorrise. «La... linea della gamba deve restare perpendicolare alla pedana. Prima il baricentro era spostato in avanti, per questo sentivi tirare le ginocchia»
«Grazie della dritta», rispose lei, rialzandosi in piedi.
E Geto la imitò subito dopo. «Mi chiamo Suguru», le disse, porgendole la mano. «Tu sei una nuova allieva?».
Sorpresa della domanda, la donna gli strinse la mano. «Mimi Uzumoe. Ho interrotto gli studi circa due anni fa, ero una studentessa del quarto anno»
«Oh! Capisco», rispose lui, pur non avendoci affatto capito granché. Se due anni fa era già al quarto anno, allora doveva avere circa venti o ventuno anni. Perché indossava ancora la divisa da studentessa?
La donna, tuttavia, non sembrò troppo propensa ad addentrarsi nel discorso e Geto, facendone subito nota, preferì non forzare ulteriormente la conversazione.
Dicendosi lieto di averla conosciuta, le sorrise cordiale e la lasciò ai suoi esercizi. «Se hai bisogno di qualche altra dritta, mi trovi in spogliatoio», aggiunse, indietreggiando verso il fondo del salone.
Fece tuttavia in tempo a spogliarsi, a farsi una doccia e a rivestirsi e, con sua non poca delusione, la donna non lo raggiunse affatto.
Meglio così, pensò, afferrando la sacca dall'armadietto.
E più che alle parole di Yaga, il suo pensiero fece un giro più intricato e complesso fino a raggiungere i capelli bianchi di Gojo e il calore placido della sua testa abbandonata sul suo addome, mentre dormiva.
Per qualche assurda motivazione, uscendo dagli spogliatoi, si sentì persino più sollevato nel ricambiare il saluto appena accennato della misteriosa ex studentessa.
Tuttavia, l'alone di mistero che la avvolgeva lo seguì fino ai dormitori, lo accompagnò in mensa e, tornando dalla cena, lo tallonò fin sotto le lenzuola, dove Geto si lasciò infine vincere dalla tentazione e le dedicò un pensiero velatamente più torrido, poco prima di abbandonarsi al sonno.
Non la rivide più per tre giorni.
E posto che si era regalato del piacere sull'immagine ancora nitida di lei in completo da palestra, Geto non se ne disse troppo scontento: si sarebbe risparmiato volentieri un momento tanto imbarazzante.
La mattina del quarto giorno, però, mentre si dirigeva con Gojo e Shoko verso l'aula delle lezioni, la intravide subito dalle finestre della parete scorrevole.
E il fuoco del disagio gli crepitò all'istante in volto.
«Ma quella non è-».
Gojo annuì. «Sì è proprio lei», rispose a Shoko. «La senpai Uzumoe».
Senpai Uzumoe?, ripeté fra sé Geto, sorpreso che Gojo l'avesse appellata così. In genere non si prendeva mai quel tipo di disturbo.
«La conoscete?»
«Chi non la conosce?», sussurrò Shoko, studiandola a fondo dal corridoio. «Oh, giusto... sei un novello stregone, non puoi saperne molto dei fatti di quell'inverno»
«Quali fatti?»
«Favolette», sbuffò Gojo, scoccando un'occhiata beffarda alla compagna. «Niente di più».
Shoko, ignorandolo, seguitò invece a farne del pettegolezzo e si decise ad aggiornare l'amico sulla questione che aveva visto quella donna protagonista per un intero anno della cronaca nel mondo Jujutsu.
«Non si è parlato di altro fino alla scorsa estate», premise, facendo alzare gli occhi di Gojo al soffitto. «Quando la Uzumoe era al quarto anno, venne mandata in missione per conto dei Piani Alti con il compito di recuperare uno degli uteri maledetti ancora in circolazione prima che potesse capitare nelle mani di altri stregoni... poco raccomandabili-»
«Avanti, Shoko... dì la parolina magica, tanto non ti sente da qui», la provocò Gojo, incrociandosi le braccia sul petto.
«D'accordo, si trattava di stregoni neri... contento?»
«Bisogna chiamare le cose col loro nome».
Geto piegò le labbra in una smorfia, dicendosi d'accordo.
«Ad ogni modo, quando raggiunse il luogo della missione- si imbatté in uno di quegli stregoni. Genjo Kimura. I due ingaggiarono battaglia e la Uzumoe riuscì ad avere la meglio. Un mese dopo, tuttavia, scomparve nel nulla. E quando non si presentò neanche alla consegna dei diplomi, i più si allarmarono su un possibile rapimento o, peggio, un adescamento da parte di Genjo»
«Chissà perché-», sbuffò Gojo.
«Quello stregone si era invaghito di lei al punto da arrivare a soggiogarla e rapirla. È così che Mimi Uzumoe e Genjo Kimura sono diventati i nomi più chiacchierati dell'intero mondo Jujutsu», continuò a raccontare Shoko. «O almeno, fino alla scorsa estate»
«Perché, cosa è successo?».
Shoko alzò le spalle. «L'hanno trovato e l'hanno giustiziato sul posto, liberando così Mimi Uzumoe dopo un intero anno e mezzo di prigionia-»
«Ma quante cazzate!»
«La vuoi raccontare tu?!», si inalberò Shoko e l'altro ammutolì, sorridendo nervoso. «Comunque, sarà tornata per potersi prendere il diploma».
Geto si adombrò.
C'era qualcosa che non lo convinceva un istante, di quella versione dei fatti.
«Hai parlato di un rapimento?»
«Sì, esatto. Quanti anni avrà ora?», domandò la ragazza, riprendendo a camminare verso la porta dell'aula. «Venti?»
«No. Ne ha ventuno», la corresse Gojo, poco prima di chiudere il discorso e seguire gli altri oltre l'ingresso.
E a Geto fu subito chiaro che Satoru dovesse saperne qualcosa di più sull'intera faccenda.
La donna, inoltre, reagì in maniera del tutto singolare al loro arrivo: sul suo volto si accese un'espressione di pura gioia, mentre scivolava gli occhi da Geto a Gojo.
Non potevano esserci dubbi: quei due si conoscevano.
E il primo se ne convinse ancora di più nel notare che l'amico le aveva ricambiato lo sguardo con un'occhiata altrettanto accorata.
Fu una sottigliezza quasi impercettibile, tuttavia, perché subito dopo Satoru raggiunse il suo banco e parve del tutto intenzionato ad ignorare la presenza della Uzumoe, quasi non fosse più lì.
«D'accordo, ragazzi... c'è stato un cambio di programma sulla lezione di oggi», esordì Yaga, esortando la donna a precederlo verso l'uscita. «Dovrò assentarmi per un'ora o due con lei, vi raggiungo in palestra appena abbiamo finito. Andate ad allenarvi lì, nel frattempo e- Gojo, Geto... allenarvi non significa cazzeggiare come al vostro solito».
Pungolati, i due si scambiarono un'occhiata risentita e sbuffarono: c'era proprio bisogno di riprenderli come due mocciosi davanti a lei?

Svariati minuti più tardi, mentre Shoko si dava un po' al corpo libero, distendendosi e sciogliendosi le membra con degli esercizi di allungamento muscolare, Geto e Gojo andarono a recuperare una palla da calcio nel magazzino.
«Passaggi? O vuoi fare un po' di tiri in porta? Scegli tu, per me è uguale-»
«Satoru, perché ai Piani Alti sono contrari a che la senpai Uzumoe riprenda gli studi?»
«Uh? E tu cosa ne sai?», si allarmò il compagno, rialzandosi dall'enorme cesta ricolma di palloni e attrezzi.
«Settimana scorsa, prima di interpellare Yaga sulla faccenda dell'Incontro di Scambio, l'ho sentito parlare con lei», si spiegò. «Non ci ho capito granché, ma mi sembrava piuttosto chiaro che il professore ritenesse il suo ritorno sui banchi piuttosto difficile da realizzare»
«Sì, lo temo anche io», sospirò Gojo, adombrandosi. «Quei noiosi vivono ancora in piena Era Keicho»
«O forse quella tizia non era affatto contraria al rapimento»
«Suguru», lo fermò subito, spingendo le mani nel pallone per saggiarne la pressione. «È una faccenda del cazzo, la sua. I dirigenti ai Piani Alti non l'hanno gestita affatto come avrebbero dovuto, per questo preferirebbero levarsela il prima possibile dai piedi»
«Ho capito, ma allora perché far circolare una versione che la ridipinge come una vittima? A me sembra chiaro che sia stata più una complice di ciò che le è successo»
«Tu dici?», sorrise Gojo, beffardamente. «Chissà. Magari la verità sta nel mezzo».
Geto si incupì di fronte a quell'ennesima risposta ambigua. La posizione di Satoru nei confronti della misteriosa ragazza non stava facendo altro che aggiungere altri veli opachi e foschi a quell'intera storia, tanto che Suguru cominciò a chiedersi se non stesse cercando di tenergli nascosta la verità.
«Oh, andiamo! Che te ne importa? L'hai vista solo due volte, no?»
«Non mi importa di lei, Satoru», ribatté piccato. «Ma i Piani Alti hanno fatto una cosa simile anche con me. Non mi hanno voluto loro all'Incontro di Scambio- questa è già la seconda volta che sento dei loro giochi sporchi»
«E non sarà neanche l'ultima!», tagliò corto Gojo, lanciandogli la palla. Dopodiché lo precedette all'uscita. «Avanti, comincio io in porta! Al primo goal, ci scambiamo!».
E così il discorso venne chiuso prima ancora che Geto potesse capirci qualcosa di più.

Chiudere anche con l'intera faccenda, tuttavia, gli riuscì presto impossibile.
Geto aveva ormai calcato i piedi in un terreno tanto fangoso quanto vincolante- e in quelle sabbie mobili, dove la bella Mimi Uzumoe aveva da tempo stabilito la sua fissa dimora, il giovane aveva già attirato l'attenzione della proprietaria di casa.
Il giorno seguente e quello successivo, in più di un'occasione si sentì attraversare da un'agitazione improvvisa, tipica di quando si è osservati a distanza. Ovunque andasse e in qualunque posto si trovasse, a lezione, in mensa oppure in palestra ad allenarsi, non di rado percepiva addosso lo sguardo insistente di una presenza che lo scrutava di nascosto, seguendolo dall'ombra senza mai avvicinarsi.
E sul finire del terzo giorno, quella sensazione si fece ancora più nitida.
Sollevandosi in trazione, Geto sporse il viso oltre il ferro e vi serrò le dita.
«Ventitré».
Tornò giù e di nuovo si tirò su, raggiungendo col naso la lunga sbarra cui era appeso.
Ventiquattro.
Venticinque.
Infine, alla ventiseiesima trazione si fermò, inchiodando gli occhi sulla parete di fronte.
Con uno schiocco di adrenalina, il suo intero corpo gli notificò ancora una volta la presenza di quegli occhi che lo scrutavano dall'ombra.
Adesso basta, pensò- e riatterrando leggero sul tappetino si voltò fulmineo verso la porta sul fondo del salone.
Oltre la vetrata vide così una sagoma scura muoversi rapida sul lato, scomparendo alla sua vista.
«Ehi!». Senza pensarci su troppo, si fiondò di corsa verso l'uscita, prima che quell'insistente spia potesse dileguarsi.
Ma quella non se ne era affatto andata.
Quando Suguru spalancò il battente e si affacciò in corridoio, se la ritrovò anzi davanti, appoggiata al muro e in atteggiamento inoffensivo.
«Geto»
«Tu?!», ribatté incredulo, aggrottando lievemente le sopracciglia.
«Sembri sorpreso», rispose la donna, con la sua aria seria e apatica.
«Eri tu anche le altre volte?»
«Può darsi».
Bella, sicuramente. Ma d'un tratto tremendamente inquietante e dal sentore pungente di guai oltremodo giganteschi.
«Perché mi segui», le domandò, stavolta in tono fermo e ben poco socievole. «Cosa vuoi da me»
«Sei il migliore amico del piccolo Gojo, no?».
Sempre più aggrottate, le sopracciglia di Geto si incurvarono ulteriormente di allarme. Voleva qualcosa da Satoru, quindi?
«Che delizia, l'affetto tra ragazzi è forse il più leale che si possa trovare in giro», commentò piatta. «Sì!, sono veramente felice che si sia fatto un amico»
«Quindi lo conosci personalmente?»
«Lui, suo padre, la madre, la domestica, l'autista... i pesciolini rossi», confermò. «Chi pensi mi abbia aiutata a levarmi la taglia sulla testa?».
L'espressione di Suguru mutò all'istante: occhi e bocca gli si aprirono di sgomento di fronte a quel colpo di scena del tutto inaspettato nella tresca fra Genjo Kimura e Mimi Uzumoe.
Satoru Gojo e la sua famiglia ne erano altrettanto coinvolti.

L'ultima Calda Primavera - SatoSugu PrequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora