1.17 - Solitudine

68 6 27
                                    

La dimora del marchese de Ferrere era una piccola villa a tre piani con una modesta torre che spiccava oltre i tetti. Pur non essendo una costruzione imponente, era circondata da un ampissimo e meraviglioso giardino, delimitato da mura in pietra e intonacate con una calce color panna. Era perfetta per quei ricevimenti che non avevano altro scopo se non l'ostentazione della ricchezza, l'ingordigia ed il puro bisogno di divertimento per non cadere nella noia.

La carrozza di Cinperga passò oltre il caratteristico arco del cancello, decorato da una rigogliosa edera verde che copriva interamente l'intonaco, fermandosi davanti ad una piccola scalinata. Apparvero immediatamente dei servitori per aiutare la dama a salire quei gradini e la accompagnarono oltre un ampio portone ad arco dove fu annunciata solennemente.

Il primo piano era interamente dedicato ad un grande atrio, un ampissimo salone ed una sala per il banchetto collegata direttamente alle cucine. I soffitti erano altissimi, attraversati da travi di legno e decorati a cassettoni. I pavimenti erano in marmo liscio e splendente alternati da tessere di pietra più piccole per creare un delizioso effetto visivo.

Come Cinperga entrò nel salone, circondato da eleganti panche in legno e raffinatissime consolle, la marchesa le si fece subito incontro per accoglierla mentre gli uomini si producevano in inchini e gesti di cortesia. Erano già presenti numerosi e distinti invitati tra cui Guiscardo e Tassia, Vannuccia con il marito ed il barone Arrigo. La duchessa liquidò quasi tutti con formali convenevoli e si sedette su una panca per conversare con le due amiche; il rumore che producevano era molto simile ad un acuto e continuo cinguettio inframezzato da risatine irriverenti. Ad un primo momento poteva suscitare simpatia, ma col passar del tempo non faceva altro che irritare gli altri ospiti.

Per ultimo fu annunciato l'arrivo del principe Modegisilo e della moglie Rosmunda. Il nobile indossava un invidiabile veste di seta color sabbia con ricami d'oro, sormontata da un mantello cremisi con i bordi decorati di pelliccia e da una grande catena ingioiellata al collo. Inoltre portava un ampio berretto in velluto con una grande piuma in testa di cui si vociferava fosse appartenuta ad un grifone. Avanzò per il salone lentamente con la donna sottobraccio e ad ogni suo passo sembrava aumentare in lui la sua estrema alterigia ed una compiuta indifferenza verso tutti i presenti che gli facevano largo, prostrandosi nelle maniere più umili.

Più tardi fu servito il pranzo e gli invitati furono messi a sedere intorno ad una lunga tavolata disposta a ferro di cavallo. Nel lato corto si accomodarono il principe e la principessa, affiancati dai padroni di casa, e la stessa Cinperga. L'aroma delle pietanze e gli odori dei frutti si espansero piacevolmente nella sala, man mano che le portate venivano presentate. Un intenso vapore si levava dai numerosi piatti di carne e pesce, cotti in diverse maniere. Le coppe furono riempite con del vino freddo, contraddistinto da un particolare colore rubino.

La duchessa era così abituata a quegli sfarzi che non si curò troppo dei piaceri del gusto e dell'olfatto, perdendosi distrattamente nell'osservazione di quelle persone che cercavano di darsi un contegno posticcio mentre si abbuffavano in maniera scomposta. A pochi posti alla sua destra, il marchese de Ferrere ne approfittava per intontire Modegisilo con le sue richieste impossibili: intendeva costruire una rimessa per i suoi cavalli allargando il suo giardino, ma in quella cittadella compressa avrebbe finito con lo sconfinare nel terreno del signore Lorenzo di Visterra, il marito di Vannuccia. Sperava di ingraziarsi il principe con quel ricevimento, ma quello non aveva alcuna intenzione di avallare un tale sopruso che avrebbe procurato solo delle fastidiose controversie. Alla paventata possibilità di sistemare la rimessa al di fuori dei bastioni, il marchese si risentì moderatamente poiché tutto ciò che era al di là delle mura di Anenco era da considerarsi provinciale.

Terminato il pranzo, riposarono per un po' e qualche nobile ben sazio ebbe la sfacciataggine di addormentarsi come un sasso sulle sedie e sulle panche. Poi tutti gli ospiti furono richiamati nel giardino dove un piccolo palco era stato montato per permettere ai buffoni e ai giullari di mettere in scena una piccola rappresentazione teatrale. Si trattava di una commedia conosciuta come "Le disavventure di Sor Straccion" e altri non era che una triste parodia di un uomo medio moliano, tormentato dalle ristrettezze della vita e da effimeri quanto goffi tentativi di cercar gloria e fortuna. Sarebbe stata considerata una storia drammatica da gran parte del popolo, ma non per quei nobili brutalmente insensibili a tutto ciò che non riguardava denaro, prestigio e potere. Essi trovarono infatti esilaranti le peripezie del povero Sor Straccion e il loro sghignazzare si fece sempre più volgare scena dopo scena. Lo spettacolo si concluse con applausi scroscianti e un'atmosfera d'ilarità generale.

Il sentiero del dragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora