1.13 - Il corvo

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Da qualche giorno per le strade di Anenco si notava l'inconsueta presenza di un uomo sconosciuto ai più. Lo si vedeva passeggiare tra i banchi dei mercati, far visita alle taverne e lanciare alle fanciulle occhiate truci e lascive. Indossava sempre un mantello ed un cappello che rendevano incerti i suoi lineamenti. Sarebbe stata una figura insignificante se non fosse stato per un'inquietante faccia da brutto ceffo che dominava il corpo massiccio di tale individuo.

Un pomeriggio, dopo esser stato a zonzo per diverse ore, l'uomo si infilò in uno stretto e desolato vicolo, avanzando con un incedere goffo, ma veloce. Bussò impaziente a una porta di legno collegata a un'elegante magione, una dimora che poteva appartenere solo a un nobile o a un ricco borghese. Mani misteriose vennero ad aprirgli e quello, una volta trovato rifugio all'interno, chiuse la porta con il chiavistello. Si ritrovò in una grande stanza dal basso soffitto, con strette finestre ingraticciate che impedivano alla luce di illuminare la maggior parte dello spazio.

«È una bella giornata Maschera. Perché non esci a prendere aria anche tu?» disse a un uomo che si stava stravaccando su una sedia in un angolo buio, poggiando i piedi su uno sgabello toccato dalla luce.

«Lo sai che non mi piace farmi notare» mugugnò freddamente quello.

L'altro si strinse nelle spalle e mise la mano sotto la mantella dalla quale tirò fuori due mele rossastre. Ne lanciò una a Maschera: la afferrò al volo e, dopo averla strofinata sulla veste consunta e ornata di freddi colori, le diede un morso.

Rumori di calpestio provennero dai piani superiori e poi giù per le scale. L'irritato viso di Guiscardo fece capolino nella stanza. «Ebbene Grigio, hai finito di fare il perdigiorno?»

«È dura stare tutto il tempo al chiuso in questa topaia come fa Maschera» brontolò quello, togliendosi di dosso i soprabiti.

«Almeno lui mi crea meno pensieri di te.» ribatté Guiscardo scendendo le scale. Si avvicinò a una di quelle finestrelle ad arco che affacciavano nel vicolo deserto e guardò furtivamente.

«Non temete, signore. Nessuno può starmi alle calcagna senza che me ne accorga» disse Grigio, dopo aver addentato la sua mela.

«Evita di fare lo spaccone.» La voce del signorotto si fece distinta e sottile come la lama di un rasoio. «Ad Anenco sono abituati a riconoscere facce nuove e sospette.»

Grigio si appoggiò con una spalla alla parete, incrociando le braccia. «Non mi riesce difficile crederlo. Questi popolani sono piuttosto chiusi e la noia sembra regnare sovrana in quelle strade. Nulla a che vedere con la gente di Glida.»

«Questo posto brulica di così tanti nobili che nella capitale non sarebbero nemmeno capaci a contare.»

«Per l'appunto!» commentò Grigio, senza nascondere l'amarezza. «Se i divertimenti sono solo nei salotti in cui non posso entrare, c'è ben poco per me in questa città!»

«Ti rammento che non siamo venuti qui per soddisfare i tuoi bassi pruriti» rispose distratto Guiscardo, continuando a scrutare il vicolo.

«Per quanto ancora dovremmo fermarci qui?»

«Fin quando sarà necessario!» Il tono perentorio della risposta di Guiscardo intendeva fargli capire chi comandava. Si allontanò rasserenato dalla finestra e portò le mani dietro la schiena, assumendo una postura altera e decisa. «Sappi che non torneremo a Glida senza i beni di mio cugino.»

La gola di Grigio emise un sordo mugugno. Con il volto imbronciato lanciò un'occhiata di sfuggita verso Maschera, la cui magra figura era avvolta dall'ombra e si poteva udire solo il rumore del suo masticare. «Ditemi signore, perché vi interessano tanto i valori di vostro cugino. Non siete un aristocratico già ricco e potente?»

Il sentiero del dragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora