1.25 - Il cielo in una stanza

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Una fresca brezza notturna entrò dalla finestra, soffiando sulla cappa asfissiante di umidità che opprimeva la stanza di Taur. Si girò inquieto nel letto, torturandosi il cervello con i ricordi degli avvenimenti di quei giorni. In mezzo agli intrighi multiformi che si andavano tessendo intorno a lui, risaltava ciò che Eolfo gli aveva detto quando lui e Friso avevano bussato alla sua porta. Sentivano l'urgenza di parlargli, associando al maestro la capacità d'una guida in grado di calmare la loro agitazione.

«Dimmi la verità» aveva detto Friso. «Hai mai visto un uomo muoversi così velocemente?»

Eolfo aveva dato loro le spalle, tenendo le mani giunte dietro la schiena. Sembrava quasi che avesse difficoltà a reggere il loro sguardo e questo era un atteggiamento inusuale per lui. «Solo una volta.»

Quell'unica volta vedeva protagonista sempre Giun, il giorno del suo incontro con Onfugi. Il maestro ricordava come, in quell'occasione, lo scatto del nocediano fosse stato simile a quello profuso contro Taur. Quel bestione, raccontò, non ebbe neanche il tempo di difendersi: provò disperatamente a colpire laddove vedeva la sua figura muoversi, ma coglieva solo la sua ombra.

«Quello ci nasconde qualcosa di grosso...» continuò Friso. «So per certo che Giun conosce pratiche simili all'alchimia e sa creare sostanze portentose! Se appartiene alla casta dei maghi dovresti confessarlo!»

«Sei diventato pazzo? Come ti salta in testa di sostenere certe accuse?» esclamò Eolfo, esplodendo in un tono d'ira.

«Non sappiamo nulla di quell'uomo! E non possiamo credere che una persona qualsiasi possa muoversi in quel modo!»

Taur rimase completamente passivo, incapace di emettere parola. Udiva lontanamente le voci degli altri due e il suo sguardo spaesato si muoveva lentamente lungo la stanza del tallista. Era poco più grande di quella dei cuniatori e l'unico dettaglio che la rendeva immediatamente riconoscibile era un rustico tavolino in legno di pioppo, dove vi erano posati stralci di carta e un carboncino. Tuttavia, si respirava un'aria solenne perché raramente vi entrava qualcuno.

Quando la sua attenzione si risvegliò, Friso stava tartassando Eolfo di domande.

«Allora si può sapere chi è questo Giunbida di Surina? Parla almeno tu, dato che sai perfettamente che quell'uomo non apre bocca.»

«Cosa vuoi che ti dica? Ne so quanto te! O pensi che lui sia ciarliero nei miei confronti?»

«È stato veramente preso anche lui dai predoni?» chiese Friso, scrutando il maestro con sospetto.

«Certo» rispose Eolfo. «Come tutti voi. Come tutti noi» abbassò la testa in un attimo di malinconia.

«Allora loro ti avranno detto qualcosa su di lui! Qualche informazione sul suo passato.»

«Non sapevano molto di più neanche loro. L'unica cosa a cui erano interessati era sbarazzarsi di lui il prima possibile.»

«Che razza di demone deve essere per inquietare anche i predoni!» esclamò Friso.

Taur pensò che quegli uomini dovevano aver sfiorato con le loro sudicie mani qualche segreto raccapricciante di Giun, eppure erano stati abbastanza fortunati da rimanere sani e in vita. Per un attimo, i suoi muscoli si rattrappirono e fu investito da una tensione a cui non riusciva a darsi ragione. Probabilmente dovette essersi fatto pallido o aver emesso un suono simile a un gemito, perché lo sguardo degli altri due puntò attentamente su di lui.

«Almeno sai dirci dove è stato catturato?» chiese Taur, più per ostentare calma che per vera convinzione sull'utilità di quell'informazione.

«Sai che non sta bene raccontarlo» rispose il maestro con un tono severo.

Il sentiero del dragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora