AUSTIN BLAKE

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"Lo giuro, per sempre.
Se questo serve a tenerci uniti nel mentre"

Quel giorno Austin, aveva perso per sempre un pezzo della sua anima e avrebbe vissuto con quella perdita per sempre.

Denise Lodge-Blake e Marcus Blake, provenivano entrambi da famiglie benestanti. Le loro carriere gli avevano permesso di fare molti investimenti e possedere molte proprietà al fine di estendere il loro cognome. Cleveland ospitava la loro Villa, la loro casa, anche se quella, era piu la casa di Austin e Gabriel, non tanto dei genitori. Dopotutto, i loro viaggi continui e i loro lavori importanti, nn gli permettevano di dormire a casa loro figuriamoci occuparsi dei loro figli. Austin era stato cresciuto sin dai primi mesi di vita da Amedea, la cuoca della casa, che si occupava di dirigere tutti gli inservienti di Villa Blake. Aveva scoperto presto che il fatto di non potere avere figli ma avere il figlio dei Blake di cui occuparsi, gli curava un lutto che non pensava avesse avuto modo di curare.
Austin aveva frequentato sin da subito scuole private, in una scuola pubblica, non avrebbe ricevuto il rispetto che il nome della sua famiglia pretendeva. Si era integrato velocemente, giocando a football sin da subito e circondandosi di amici. Vista da fuori la vita di Austin era un perfetto clichè ma non mancava molto all'alba di una vita tragica. Quando aveva quattro anni, Denise Blake, diede alla luce Gabriel, il piccolo di casa, ma com'era stato destino di Austin, cosi lo era stato di Gabriel, finendo con l'essere cresciuto dalla cuoca anche lui. Denise e Marcus non erano cattive persone, semplicemente non erano nati per fare i genitori, avevano generato degli eredi solo per lasciare il loro duro lavoro in eredità e per portare avanti il cognome della famiglia, inoltre per loro il lavoro era tutto e veniva prima di qualsiasi cosa. Era il lavoro l'unica responsbilità che volevano avere, non di certo dei marmocchi da accudire, specialmente Denise, che per ogni trimestre della gravidanza aveva lavorato, voleva dare sempre un'immagine impeccabile di sè.
Austin odiava provare amore verso i suoi genitori, amare e ammirare persone che non sapevano nemmeno chi fossero i loro figli. Aveva solo nove anni quando, suo padre, era a casa alla Villa Blake per il fine settimana, era solito a chiudersi nel suo ufficio e trascorrere il tempo a parlare con colleghi al telefono, organizzando Meetings e riunioni per le settimane successive. Erano le dieci di sera, quando Austin, determinato come poteva essere a quell'età, irruppe nello studio di suo padre con la volontà di discutere. Loro non lo facevano mai, quelle poche occasioni in cui si vedevano si guardavano e si trattavano come estranei, ed era quello il problema più grande, loro non parlavano mai. "Ciao figliolo." Le uniche due parole che suo padre gli rivolgeva al suo arrivo e quando se ne andava. Austin era sempre stato un bambino sveglio, i soldi non gli importavano, vedeva fin troppo bene con i suoi occhi quanto i soldi avessero reso schiavi i suoi genitori e non voleva fare la loro stessa fine. Tuttavia però, i suoi genitori lo avevano reso un bambino molto arrabbiato, odiava il fatto che i suoi genitori non vedessero e non capissero i bisogno di Austin. Voleva amore, non materiali, voleva affetto non un cognome importante, voleva essere considerato come figlio e non come proprietà. "Ti richiamo tra poco Steven." Aveva detto suo padre appena Austin aveva messo piede nel suo ufficio, prima di appendere la chiamata. "Austin, ti serve qualcosa?" Quelle parole stavano fomentando la sua rabbia. Come poteva suo padre, trattarlo come fosse un disturbo anziché rivolgergli parole di gioia per avere un figlio che faceva esattamente cio che i genitori gli dicevano. "Il tuo tempo." Aveva risposto Austin con sguardo titubante, ma era determinato a volersi confrontare col padre. Marcus sgranò gli occhi sorpreso e questa reazione generò fastidio ad Austin. Davvero Marcus conosceva così poco suo figlio da sorprendersi di come si rivolgesse agli adulti? Beh dopotutto non lo avevano cresciuto loro, era Amedea che lo stava crescendo educatamente. Marcus alzò le braccia come ad invitarlo ad entrare. "Prego." Austin avanzò di pochi passi, divaricò le gambe e si mise le mani dietro la schiena alzando il mento. Amedea gli aveva insegnato che un uomo educato e rispettabile, iniziava ad essere tale partendo dalla postura. "Perchè avete messo al mondo me e mio fratello se non potete occuparvi di noi?" Aveva iniziato quel discorso con il groppo in gola, troppo addolorato per scoprire le loro motivazioni, ma molto piu determinato per lasciar perdere. Marcus si sedette composto, gomiti sul tavolo e mani giunte. C'erano tre metri a separarli e nessuno dei due era intenzionato a chiudere quella distanza, perchè quei tre metri, rappresentavano perfettamente il tipo di rapporto che avevano: pieno di lacune nel mezzo. "Figliolo, la nostra dinastia ha fatto progressi nel mondo. Sapevi che tuo nonno, Reggie Blake, era fondatore delle Blake'Industries?" Austin scosse il capo. Come poteva sapere qualcosa sulla sua famiglia se a malapena sapeva di farne parte. "Beh lo era, e quando è morto, ha lasciato l'eredità a me e io l'ho condivisa con tua madre, la donna della mia vita." Un moto di rabbia incendiò il petto di Austin. Non era geloso, ma gli dava fastidio che una donna fosse la luce degli occhi di suo padre, ma suo figlio, sangue del suo sangue no. Le sue labbra si incurvarono in una smorfia infastidita ma cercò di rimanere calmo. "Sai cosa sono le Blake Industries?" Prosegui il padre, e quelle domande facevano male, perchè erano estranei e non doveva essere cosi. Quello che Austin sapeva o no sul mondo e la vita, dovevano essere i suoi genitori ad insegnarglielo, in teoria, ma la sua realtà era ben diversa e ben più tormentato da un desiderio incolmabile. Gli occhi scuri di suo padre si assottigliarono apparentemente turbati. "Mi sorprende che Amedea nn vi educhi su questo." I denti da latte di Austin stridettero dalla forza con cui strinse la mascella in una morsa furiosa. Era pronto a dirgli che loro, avrebbero dovuto educarlo e invece non si erano nemmeno presi la briga di avere un dialogo con i loro figli sin dal momento in cui erano venuti al mondo. Molte volte Austin si domandava se sua madre avesse almeno provato un po' di gioia nel momento in cui aveva dato alla luce i suoi bambini. Gli piaceva immaginare di si, anche se una parte di lui sospettava che non li aveva nemmeno guardati in faccia nel momento in cui erano usciti dal suo utero. "Le Blake Industries sono società appartenenti alla nostra famiglia da generazioni. Si occupano di creare componenti elettronici e motori per l'aviazione. Sono disponibili per molte aziende e società, ma i loro investimenti nelle nostre industrie, ci permette di evolvere e di essere ovunque. Senza i nostri motori, gli aerei di oggi non avrebbero potenza e capacità sufficiente a permettere lunghi voli commerciali. Il nostro è un servizio pubblico molto innovativo e di grande impatto. Figliolo, è importante che tu sappia di cosa si tratta, tu sarai l'erede primo genito, non ora, ma un giorno avrai la responsabilità di portare avanti il nostro nome." Il tono di Marcus si era fatto fiero e un pò perentorio nel rimarcare per l'ennesima volta, il grande valore del suo lavoro. E lui? Lui che valore aveva per suo padre? Era intenzionato a scoprirlo. "Signore, mi state dando molta responsabilità con le vostre parole." Il tono di Austin era deciso anche se dentro aveva le viscere ingarbugliate a causa della difficoltà di quel dialogo. I suoi modi di fare erano educati e il fatto che avesse preso a dare del lei a suo padre, dipendeva dal desiderio di generare una reazione e dal fatto che per una volta, benché avesse nove anni, si sentisse un pari a suo padre per il modo in cui si rivolgeva. Marcus inarcò un sopracciglio confuso, ma lo nascose appoggiando la schiena alla poltrona. "Austin sono tuo padre, non è necessario che tu mi dia del lei." Rimarcò sistemando alcun documenti sulla sua scrivania. Anziché piangere per la tensione di quel confronto, il ragazzo prese a ridere sarcasticamente. "Non serve? Ne sei sicuro?" Chiese Austin con la rabbia sulla lingua, si sorprese di se stesso nel mentre che pronunciava quelle domande. Suo padre, dal canto suo, lo guardò con sufficienza, riprendendo a trattarlo come un bambino. Evidentemente non era abituato a questi confronti sul personale. Era possibile che il potere, la ricchezza e l'autorità gli annebbiassero la mente? Tanto da ignorare l'affetto che si dovrebbe provare verso un figlio? "Dovresti trattarmi come un figlio non come un oggetto o un semplice erede." Rispose Austin ora piu velenoso. suo padre lo scherni con uno sbuffo divertito. "Semplice erede dici? Sei solo un bambino, ora non capisci ma un giorno capirai quanto potere avrai tra le mani." Distolse lo sguardo, facendo scorrere delle lettere tra le mani, portandosi la caviglia sul ginocchio con fare annoiato. "E se non lo volessi?" Chiese allora Austin, voleva disperatamente che suo padre gli dimostrasse amore o perlomeno di tenerci affettivamente. Suo padre non smise di guardare i documenti, parlandogli ora con fare annoiato. "Ci sarebbe sempre tuo fratello su cui fare leva."

D E S T R O Y E D <<oscuro come il futuro, misterioso come chi ti sta vicino>>Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora